Ruminatori si diventa?

di Daniela Fagliarone

Il ruolo dei comportamenti genitoriali nello sviluppo della ruminazione

Negli ultimi anni il concetto di ruminazione ha assunto notevole importanza nella ricerca psicologica per il suo contributo nello sviluppo dei disturbi depressivi. È stato dimostrato come la ruminazione predica la depressione negli adulti e negli adolescenti. Vediamo da vicino di cosa si tratta: è una catena di pensieri, quesiti generici e astratti che una persona inizia a porre a se stessa in risposta a uno stato emotivo di tristezza o di umore depresso, sulle sue cause, significati e conseguenze (es. “Perché succede a me”?; “Perché mi sento così triste”?; “Perché reagisco sempre in questo modo”?, ecc.). Lo sviluppo della ruminazione è stato collegato allo stile genitoriale, anche se finora è un ambito di ricerca poco investigato. La studiosa che negli ultimi anni si è più interessata dello sviluppo di questo fenomeno è stata Susan Nolen-Hoeksema, che fu professoressa e ricercatrice dell’Università di Yale. Secondo la sua Response Styles Theory, la ruminazione esacerba l’umore depresso, le ragazze e le donne adulte tendono a ruminare di più rispetto agli uomini e questo può spiegare la differenza di genere nella prevalenza femminile dei disturbi depressivi.
Alcuni comportamenti genitoriali possono favorire lo sviluppo della ruminazione nei figli e nelle figlie in particolare: dato che i figli di madri depresse tendono ad avere difficoltà nel regolare i loro stati affettivi negativi, la tendenza a ruminare può essere trasmessa via modelling (apprendimento indiretto che avviene copiando i comportamenti dei genitori che funzionano da modello) e attraverso frequenti critiche e comportamenti controllanti (perché non spingono il bambino a sviluppare strategie di coping attive, di fronteggiamento degli stati emotivi e degli eventi negativi  e lo portano a prediligere uno stile passivo). Un altro autore interessato a questo argomento, Michael Gate, ricercatore all’Università di Melbourne, ha suggerito che le attività di problem solving attive che non vengono rinforzate positivamente dai genitori, ad esempio attraverso una lode: anche se sono comportamenti adattivi tendono a essere meno ripetuti e a non continuare nel tempo. Di conseguenza, bassi livelli di comportamenti positivi dei genitori verso i figli possono portare a modalità passive di risposta, come la ruminazione. In uno studio recente, Douglas e colleghi hanno esplorato la relazione tra la ruminazione in ragazze adolescenti e la ruminazione materna, con particolare riferimento al “criticismo” e alla “positività”. Se l’ipotesi della trasmissione delle risposte ruminative via modelling è vera, i punteggi relativi alla ruminazione delle madri e delle figlie dovrebbero essere correlati. Similmente, se il criticismo materno è un fattore di rischio per la ruminazione e se la positività è protettiva, ciò dovrebbe analogamente risultare in una relazione significativa tra i punteggi madri-figlie. I risultati indicano un’associazione tra bassa positività materna e alti punteggi di ruminazione nelle figlie mentre non risulta quella tra i punteggi della ruminazione. Non è possibile, però, concludere che la bassa positività materna causa lo sviluppo della ruminazione nelle adolescenti e nemmeno confermare l’ipotesi del modelling di Nolen-Hoeksema, che però in altri studi è stata confermata. Infine, la relazione tra criticismo materno e ruminazione nelle figlie non è stata esplorata a causa dei poco frequenti commenti critici riscontrati nel campione di questa ricerca. Sono necessari ulteriori studi di indagine e approfondimento ma questi risultati rappresentano uno spunto di riflessione importante sulla necessità di identificare le variabili interiori e quelle ambientali che mediano il rischio di sviluppare depressione cosi da creare dei programmi di prevenzione e trattamento sempre più efficaci.

 

Per approfondimenti:

Douglas, J.L., Williams, D. & Reinolds, S. (2017). The relationship between adolescent rumination and maternal rumination, criticism and positivity. Behavioural and Cognitive psychotherapy, 45(3), pp. 300-311.

Gate, M., Watkins, E., Simmons J., Byrne, M., Schwartz, O., Whittle, S., Sheeber, L. & Allen, N. (2013). Maternal parenting behaviors and adolescent depression: the mediating role of rumination. Journal of Clinical Child & Adolescent Psychology, 42(3), pp. 348-357.

Nolen-Hoeksema, S. & Davis, C. (1991). Responses to depression and their effect on the duration of depressive episodes. Journal of Abnormal Psychology, 100, pp. 569-582.

Urlare contro i figli è controproducente

di Giulia Panarelli

Come farsi ascoltare e rispettare dai propri figli?

Molti genitori si ritrovano spesso a urlare contro i figli disubbidienti, arroganti, sfaticati e in qualche caso anche a sculacciarli o schiaffeggiarli per poi magari pentirsene un attimo dopo, provando un grande senso di colpa, frustrazione e inefficacia. Rabbia genera rabbia, offesa genera offesa. Minacce e punizioni generano sfida, mancanza di rispetto e svalutazione; stima e fiducia reciproca vengono meno e si innesca così un vortice di rabbia da cui è difficile tirarsi fuori.

Esistono molti modelli genitoriali secondo cui “una sculacciata non ha mai fatto male a nessuno” o di pantofole volanti lanciate da madri furiose e “sono cresciuto bene lo stesso”, ma un clima familiare fatto di tensione, urla, insulti, rimproveri, minacce, punizioni, provocazioni, frasi umilianti, ribellioni, non ascolto, porte sbattute è controproducente e addirittura dannoso. Urlare contro i figli li rende aggressivi, irritabili, insicuri, li predispone ad adottare atteggiamenti da bulli, ad avere problemi di condotta; di fronte ai continui rimproveri i figli potrebbero sentirsi sbagliati e non amati dai propri genitori con ripercussioni sul loro benessere psichico.

È questo ciò che si vuole per i propri figli? È davvero questo il tipo di genitore che si vuole essere? Autoritario e temuto? Quando ci riflettono in terapia, i genitori si commuovono e rispondono di no, ma allora come si arriva a questo? Sicuramente molto dipende da alcuni probabili aspetti personali fatti di aggressività, impulsività oppure mancanza di fermezza, scarso senso di autoefficacia, incapacità di instaurare un dialogo, paura del confronto, elevato desiderio di conferma; oppure da modelli genitoriali ricevuti, aspettative su come dovrebbero essere un buon genitore e un buon figlio, interpretazione errata dei comportamenti del figlio letti come sfida o provocazione. Inoltre, possono esserci dei momenti di vita caratterizzati da forte stress e frustrazione, gravi problemi personali o di salute che possono peggiorare le reazioni, far aumentare l’irritabilità e far perdere la pazienza più facilmente. Urlare o dare schiaffoni sono frutto dell’esasperazione e dell’impotenza e quasi sempre sono modalità inefficaci per far comprendere ai figli i propri errori. Mortificato dalle urla, il bambino non si concentra sul contenuto del rimprovero, impara solo ad avere paura e reagisce opponendosi e attaccando. Il timore e la disistima verso il genitore creano un muro nella comunicazione e fanno chiudere in se stesso il ragazzo.
Cosa fare? Poche regole chiare, comunicazione efficace, rispetto.

Le regole devono essere poche, semplici, adeguate all’età e formulate in modo positivo. Per farsi ascoltare dai figli bisogna usare un tono fermo e calmo, quindi prima di far questo, la rabbia deve diminuire. Prendetevi tutti una pausa per recuperare la calma. I figli vi imitano, imparano di più dai vostri comportamenti che dalle parole, così si comportano con voi nel modo in cui voi fate con loro. Dunque, avvicinatevi a loro, chiedete scusa per i modi, ma spiegate come vi sentite e cosa non tollerate del loro comportamento. Poche parole che siano di conoscenza reciproca e non di convincimento. Trovate insieme nuove strategie, nuovi comportamenti più adatti, suggerite come superare il problema insieme.

Potete chiedere l’aiuto di un esperto e seguire un percorso di genitorialità (parent training) per capire cosa fa scatenare la vostra rabbia fino a farvi perdere il controllo; potete imparare a tollerare la frustrazione, accettare e gestire la ribellione dei vostri figli, imparare a riconoscere i bisogni dei vostri figli, sviluppare l’assertività e la fermezza, sviluppare la capacità di ascolto e di rinforzo emotivo e sviluppare la comunicazione efficace. Infine, è possibile definire gli obiettivi genitoriali e individuare quei comportamenti che aiutano a realizzarli, è importante che la coppia genitoriale proceda in modo coeso e coerente.

 Per approfondimenti:

Daniele Novara, Urlare non serve a nulla, Edizioni Bur