di Emanuela Pidri
Stile affettivo depressivo e psicopatologia grave
Lo stile affettivo (modalità adulta di stabilire legami, compreso l’amore), essendo una forma matura di affettività, ha come caratteristica di avere maggiori possibilità di astrazione rispetto all’attaccamento infantile e tende nelle situazioni normali ad arricchirsi e articolarsi nel corso della vita. Lo stile affettivo è una modalità autoreferenziale di produrre pattern emotivi che si accordano con la continuità del proprio senso di sé. Pertanto, se da una parte definisce un approccio di relazione con l’altro, dall’altra questo approccio relazionale deve mantenere la coerenza con il modo in cui vive la persona. C’è una modalità dello sviluppo umano in cui il senso di solitudine sembra acquisire una centralità ed una prevalenza legata a specifiche esperienze di vita e di attaccamento. Lo stile depressivo è uno stile affettivo derivante dall’attaccamento evitante in cui, per il bambino, l’accesso alla figura di attaccamento è chiaramente poco o per nulla accessibile. La caratteristica centrale di questo stile è la sensazione di solitudine, di separazione dal resto del gruppo, dovuta all’esperienza di perdita, di abbandono, con il conseguente senso di auto-sufficienza sperimentata fin dall’infanzia, che porta a una posizione, nell’adulto, di “evitamento” dei rapporti affettivi. Le emozioni prevalentemente attivate sono la disperazione e la rabbia ed è intorno a queste due polarità che si costruisce un tema di significato personale. L’evitamento depressivo è collegato a un senso di non proponibilità interno, derivante dalla considerazione di sé come strutturalmente “non idoneo” ed è pertanto poco modificabile dal contesto esterno. Di qui il senso di inaiutabilità del depresso, di non potere e non dovere essere aiutato. L’inaiutabilità entra a far parte del sistema del sé, in quanto facilita un maggior controllo degli eventi esterni. Ma cosa succede nelle relazioni affettive? Nei casi in cui il depresso si permette una relazione affettiva, la percezione della sua possibile perdita è immediata. Una delle strategie possibili è di evitare il coinvolgimento: “se non c’è attaccamento, non c’è separazione, meno investo nella relazione e minore sarà la sofferenza, inevitabile, per la perdita che ci sarà”. Ciò non significa che non ci possa essere l’avvicinamento all’altro, nella immediatezza della sua percezione, però successivamente vi è una ricostruzione cognitiva che riporta al ritiro e alla solitudine. Nelle forme gravi di psicopatologia (disturbi bipolari, schizofrenici, disturbi di personalità borderline, schizoide, evitante, antisociale) questo stile tende ad assumere forme e contenuti particolari. Già nelle forme “normali” si evince come alla base dello stile affettivo depressivo ci sia questa non idoneità, indegnità, non proponibilità (sentirsi fuori dal contesto sociale), sentita profondamente e continuativamente come un aspetto intrinseco del sé. Ma già qui sembra emergere una caratteristica emotiva, dovuta all’assenza o all’impossibilità di vivere emozioni piacevoli nel rapporto con persone significative. Nelle forme più gravi, come la psicosi o i disturbi di personalità, sono maggiormente compromesse le capacità di riconfigurazione dell’esperienza, di mentalizzazione e sequenzializzazione. Nell’organizzazione depressiva le forme sintomatologiche che prende questo senso di inaiutabilità e di autosufficienza, siano esse temi organizzati dal linguaggio come i deliri che modalità comportamentali e relazionali come i disturbi di personalità, tendono a strutturare questo evitamento di un confronto esterno, con modalità concrete, pervasive e continue: il senso di non poter ricorrere all’aiuto altrui porta ad auto-confermarsi il tema di solitudine e a limitare la possibilità di riscontri da parte di altri “affettivi”, vissuti come inattendibili.
Per approfondimenti:
Cutolo G. (1991). “L’organizzazione di personalità depressiva tra normalità, nevrosi, psicosi: un approccio cognitivista sistemico” su RASSEGNA DI STUDI PSICHIATRICI vol. LXXX Fasc. n.3 pag.344-348
Cutolo G., Coscarella C. (1991). “Appartenenza, separazione, affettività. Il Servizio Psichiatrico come base sicura” su ETRURIA MEDICA 1\91 pag. 109-113
Cutolo G. (2012). L’empatia: comprendere gli altri facendoci capire da loro. Neuroni specchio, mentalizzazione, attaccamento” su L’Altro, anno XV, n.1 genn.-apr.2012, pag.12-19
Guidano V.F. (2007) Psicoterapia cognitiva post-razionalista F.Angeli ed. Milano
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Guidano V.F., Liotti, G., (1983). Cognitive processes and emotional disorders, Guilford, New York 1983.
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Reda, M. A. (1986). Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia. Roma: Carocci.