Predire i sottotipi di DOC usando i fattori cognitivi

di Martina Maderloni
a cura di Barbara Basile

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) è un disturbo d’ansia caratterizzato da ossessioni, ovvero idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti ed intrusive, che spesso comportano preoccupazione, e dalle quali segue la messa in atto di rituali compulsivi mentali o comportamentali.

Non è il contenuto delle idee intrusive a determinare la psicopatologia bensì la drammaticità con cui questo contenuto viene vissuto. Solitamente quando alcune normali intrusioni sono valutate come importanti ed altamente inaccettabili o immorali esse diventano ossessioni.

Attualmente c’è un crescente consenso circa il fatto che i fattori cognitivi e particolari tipologie di credenze disfunzionali siano correlati ai sintomi del DOC tuttavia pochi studi hanno tentato di determinare quali particolari fattori cognitivi possano specificatamente predire i differenti sottotipi del disturbo ossessivo.

Recentemente i ricercatori dell’Obsessive Compulsive Cognitions Working Group (OCCWG) hanno analizzato 3 domini di credenze rilevanti nell’eziologia e nel mantenimento del DOC: responsabilità/ sovrastima della minaccia; importanza/ controllo del pensiero; perfezionismo/ intolleranza dell’incertezza.

  • L’iper-responsabilità è la credenza di essere responsabile di aver causato o impedito un evento negativo ed i suoi esiti a causa dei pensieri intrusivi;
  • La sovrastima della minaccia è la credenza che eventi negativi siano molto probabili;
  • La sovrastima dell’importanza del pensiero consiste nel credere che i propri pensieri negativi ossessivi possano causare un evento negativo oppure che avere brutti pensieri equivalga moralmente ad agire una cattiva azione;
  • Il controllo del pensiero è la credenza che un completo controllo dei pensieri intrusivi sia necessario e possibile;
  • Il perfezionismo consiste nella credenza che sia necessario essere perfetti e non commettere errori;
  • L’intolleranza dell’incertezza è la credenza di dover essere certi al 100% che eventi negativi non si verifichino.

Ramezani e colleghi (2016) hanno indagato se i fattori cognitivi proposti dall’OCCWG possano specificatamente predire i sottotipi di DOC trovando che la responsabilità/ sovrastima della minaccia è un predittore significativo della maggior parte dei sottotipi del disturbo inclusi i sottotipi “controllo” (checking), “lavaggio” (washing) e “accumulo”. Invece, il sottotipo “ordine e simmetria” è predetto dalle credenze di perfezionismo/intolleranza dell’incertezza e dall’importanza/controllo del pensiero. Il sottotipo “accumulo”, nello specifico, è predetto oltre che dalla responsabilità/sovrastima della minaccia anche dalle credenze di perfezionismo/intolleranza dell’incertezza. A differenza degli altri due domini di credenze, quindi, le credenze di responsabilità/sovrastima della minaccia predicono la maggior parte dei sottotipi di DOC. Anche se emergono correlazioni significative fra le credenze di perfezionismo/ intolleranza dell’incertezza e quelle di importanza/ controllo del pensiero con tutti i sottotipi di DOC questi domini cognitivi, invece, non fungono da predittori distintivi e specifici del disturbo ossessivo. Gli autori suggeriscono che queste ultime due classi di fattori cognitivi siano cruciali anche per altri tipi di disturbi: le credenze di perfezionismo, ad esempio, possono giocare un ruolo chiave nei disturbi dell’alimentazione mentre le credenze di intolleranza dell’incertezza possono essere cruciali nel disturbo d’ansia generalizzata.

 

 

Il cervello si adatta alla disonestà

di Rossana Otera
a cura di Maurizio Brasini

È esperienza comune che le persone confessino di essersi confrontate in passato con decisioni per cui avevano scelto di essere disoneste, seppur per azioni di poco conto, come viaggiare sull’autobus senza biglietto o dire piccole bugie nelle relazioni interpersonali. Il rischio è che gradualmente si allentino le remore che ci trattengono dall’agire fuori dalle regole socialmente condivise e così, quelle che in un primo momento possono sembrare piccole deviazioni dalla norma, finiscono per essere accettate anche quando portano a conseguenze più gravi, in una sorta di assuefazione alla corruzione morale. Questo comportamento è stato spiegato scientificamente, grazie a una ricerca condotta da un gruppo di studiosi di Londra, che hanno analizzato le basi neuroanatomiche dell’agire disonesto e forniscono specifiche indicazioni per anticiparlo.
Abitualmente, quando agiamo in maniera disonesta per trarne un vantaggio personale, percepiamo una situazione di disagio, causata da specifici segnali fisiologici e chimici, che accompagnano l’arousal neurovegetativo, provenienti dall’amigdala, il centro emotivo del sistema nervoso.
Un’evidenza emersa dalla ricerca dimostra come però, al ripetersi di azioni disoneste, l’amigdala gradualmente blocchi i recettori chimici che causano il disagio, per cui è come se si adattasse ai comportamenti che normalmente indurrebbero una reazione di avversione.
Nel disegno sperimentale sono state create, in maniera artificiosa, le condizioni per cui i partecipanti potessero compiere azioni disoneste, senza doverlo dichiarare esplicitamente. La prova richiedeva ai soggetti di fornire una stima a un secondo partecipante, complice degli sperimentatori, di quante monetine fossero contenute in un vaso e, in base alla correttezza della risposta, avrebbero ricevuto un compenso. I soggetti sperimentali venivano posti in condizione di poter indurre in errore l’altro partecipante; in un caso, l’inganno sarebbe andato a loro vantaggio, in un altro avrebbe favorito il complice.
Aumentando le trasgressioni perpetrate dai soggetti, si è riscontrata con la risonanza magnetica funzionale, una riduzione della saturazione di ossigeno nel sangue a livello dell’amigdala, segno di un adattamento alla condotta sleale; sulla base del livello di disonestà agita, i ricercatori erano in grado di prevedere l’entità della trasgressione nelle prove successive.
Un’altra evidenza significativa è che la disonestà andava incontro a un’escalation solo quando era “self-serving”, a proprio beneficio, rispetto a quando ne avrebbe tratto vantaggio l’altra parte, o rispetto alla condizione in cui ne sarebbe derivato un danno personale.
Quindi non è sufficiente che si ripeta un atto disonesto perché questo di per sé aumenti nel tempo, bensì è necessario che l’azione disonesta causi un vantaggio personale e non a terzi.
È da precisare che, nei contesti reali, altre variabili giocano un ruolo rilevante nel ricorso alle azioni disoneste, come la presenza di feedback esterni, di premi/punizioni e dell’opportunità di agire disonestamente, ma occorre considerare soprattutto la motivazione sottesa all’atto disonesto, ovvero gli scopi dell’agente e l’utilità percepita dell’illecito.
L’escalation documentata in questa ricerca potrebbe preoccupare, in quanto prospetta la possibilità che, a partire da piccole menzogne, si possa arrivare con relativa facilità ad assumere comportamenti esponenzialmente rischiosi se non, addirittura, criminosi.
Questo studio, dunque, solleva riflessioni sulle responsabilità delle diverse istituzioni educative e politiche perché concepiscano sistemi deterrenti, che impediscano e anticipino il graduale coinvolgimento in azioni disoneste da parte degli agenti sociali.