Perché un Master in Psicologia Cognitiva del Lavoro

di Andrea Pompili e Roberto Noccioli

Cenni storici

Da quando la Psicologia è uscita dai Laboratori Scientifici, sono cominciate a nascere riflessioni e sperimentazioni di come poter applicare le conoscenze acquisite in diversi ambiti e contesti. Il mondo del lavoro non ha fatto eccezione; le aziende e i contesti organizzati hanno ben presto intravisto la possibilità di ottenere benefici.

In Italia, ad esempio, già agli inizi del ‘900 iniziarono i primi tentativi di applicare le conoscenze psicologiche. Guarda caso furono le grandi strutture ad avvalersi per prime degli psicologi: in ambito militare, l’Aereonautica per la scelta degli aviatori, e le strutture parastatali, le Ferrovie dello Stato per la selezione dei macchinisti. Ovviamente per portare avanti questo tipo di attività furono chiamanti esponenti del mondo accademico: Agostino Gemelli e Mario Ponzo.

La Selezione

Fin da subito fu individuato l’ambito della selezione come attività principe per la Psicotecnica, così veniva chiamata la branca applicativa della Psicologia. Il presupposto teorico era che esistessero attitudini e capacità fondamentali per svolgere “al meglio” una determinata attività; una volta elencate e definite tali capacità si andava a ricercarne la presenza nei candidati. Il lavoro, o meglio l’attività lavorativa, era parcellizzato in compiti e azioni elementari; lo psicotecnico doveva, quindi, misurare la presenza/assenza delle capacità con strumenti creati appositamente.

Le selezioni erano tutte su mansioni, ruoli e lavori di tipo prettamente manuale e operativo; Siamo in un periodo in cui grandi masse di persone dovevano essere “scelte” per lavorare come operai, tranvieri, macchinisti o militari; il lavoro di concetto era riservato a chi poteva studiare e ambire ad altri ambiti.

L’orientamento professionale

Quasi di pari passo si sviluppano tentativi di orientamento professionale. Dal punto di vista teorico i presupposti erano i medesimi, si cercavano le attitudini delle persone per indirizzarli al mestiere per il quale erano più “inclini”.

Oggi

Master di Alta Formazione in Psicologia Cognitiva del Lavoro

A più di un secolo di distanza possiamo notare che oggi in alcune selezioni il sotteso teorico non è molto diverso: si costruisce una job description, la scheda che formalizza le principali caratteristiche di una posizione lavorativa, da questa si stila un elenco di capacità e competenze necessarie per svolgere un’attività (ed eventualmente si stabilisce il grado in cui queste devono essere possedute). In fase di valutazione si “misurano” i candidati rispetto a queste ultime attraverso strumenti specifici (test, questionari, simulazioni di ruolo, colloqui di gruppo, interviste più o meno strutturate, ecc.).

Il valore aggiunto dello psicologo

La specificità psicologica, vale a dire il valore aggiunto che lo Psicologo può apportare in questi casi, è nella competenza nell’utilizzo degli strumenti. Possiamo dire di più: quando la variabile è di personalità, e quindi sono richiesti test specifici, per legge solo lo Psicologo può gestire lo strumento. Non è un caso che alcune Aziende o alcune organizzazioni, soprattutto di matrice statale, richiedano l’iscrizione all’Albo professionale per svolgere alcune selezioni.

Sempre più spesso, però, ci si rende conto che una visione più ampia, che comprenda ad esempio la lettura del contesto lavorativo, la relazione con cui le persone si pongono nei confronti del lavoro, la cultura piuttosto che il clima che caratterizzano gli ambienti di lavoro, incida in maniera significativa sul modo in cui le persone lavorano.

Per capire meglio a cosa si faccia riferimento, anche in questo caso la storia della Psicologia può venirci in aiuto.

Torniamo un momento indietro

Sul finire degli anni ’20 (circa un secolo fa!) Elton Mayo condusse una serie di esperimenti all’interno di una fabbrica: l’intendo era quello di capire come aumentare la produttività e diminuire il turnover delle operaie. La sperimentazione prevedeva la variazione di alcuni elementi strutturali (ad esempio illuminazione, retribuzione e pause) per verificare quanto queste impattassero sulla produzione. Oggi, a differenza di allora, non ci dovrebbero stupire i risultati che emersero; vale a dire che l’impatto maggiore fosse dettato da variabili di contesto e psicologiche. Più che il numero delle pause, la retribuzione o la quantità di illuminazione dei luoghi, il fatto stesso che le operaie fossero state coinvolte e interpellate su cosa per loro fosse fondamentale per produrre meglio, risultò essere l’elemento cruciale sulla produttività. Si cominciò, quindi, a parlare di “Fattore Umano” come elemento rilevante nel lavoro.

Da “personale” a “risorsa umana”, per arrivare al concetto di persona

L’evoluzione di queste riflessioni oggi si chiama wellbeing; le Aziende si interrogano su come creare o irrobustire un contesto lavorativo che sia funzionale agli obiettivi di business. Oggi nelle imprese si strutturano analisi di clima, si predispongono percorsi di coaching e corsi di formazione sulle soft skill, si valutano le persone e si formano su variabili comportamentali, si parla di sviluppo delle persone. L’elemento psicologico è ritenuto cardinale nella gestione di quelle che vengono ancora definite risorse umane, tanto che molto spesso nelle aziende esistono Unità Organizzative che prendono questo nome. Queste stesse unità organizzative oggi si interrogano proprio sul concetto di persona, non più risorsa.

È chiaro che le competenze psicologiche hanno assunto una rilevanza sempre più importante nelle aziende. Lo Psicologo è però capace di tradurre le proprie competenze (il sapere psicologico) in un linguaggio fruibile nei contesti aziendali? Lo Psicologo, formato nei contesti universitari e post-universitari, possiede gli strumenti per “mettere a terra” le conoscenze specifiche della propria disciplina? È capace di dialogare con le altre figure che operano all’interno dei contesti organizzati?

Diventa, quindi, cruciale avere percorsi che fungano da anello di congiunzione tra le conoscenze teoriche e le competenze applicative; è necessario che lo Psicologo che voglia operare nei contesti aziendali conosca la teoria, le tecniche, gli strumenti e anche le modalità con cui poter rendere efficace la Psicologia nel mondo del lavoro.

Per chi desidera approfondire il tema della Storia della Psicologia Applicata:

Lombardo G. P., Pompili A., Mammarella V., (2002), “Psicologia applicata e del lavoro in Italia. Studi storici”, Franco Angeli.

Visita la pagina web del Master a questo link: https://apc.it/lista-eventi/master-di-alta-formazione-in-psicologia-cognitiva-del-lavoro/

Foto di Kampus Production: https://www.pexels.com/it-it/foto/scrivania-ufficio-business-stanza-8463166/