Noi e Loro: il pregiudizio sociale

di Maurizio Brasini

Esistono distorsioni a favore della propria etnia (e contro le altre) già a partire dai sei mesi di età

Poche cose mettono così drammaticamente in luce le contraddizioni della natura umana come il pregiudizio sociale, cioè quella serie di convinzioni e atteggiamenti che regolano il nostro rapporto con quella parte dei nostri simili (intesi come genere umano) che, tuttavia, percepiamo diversi da noi, generalmente in base ad una diversa appartenenza (etnica, religiosa, culturale, eccetera).
Come mai in certi casi sentiamo così forte il legame tra noi e gli altri esseri umani, mentre in altri casi li percepiamo come pericolosi estranei?
Senza la pretesa di rispondere esaustivamente a questa domanda, qui di seguito si prenderanno in considerazione un paio di recenti indicazioni emerse dalla ricerca scientifica che forse possono migliorare la nostra comprensione di questo fenomeno.

La prima indicazione riguarda un neurotrasmettitore diventato ormai famoso: l’ossitocina, meglio nota come “ormone dell’amore”. Inizialmente studiata in relazione al parto (è l’ormone che stimola le contrazioni e la produzione di latte), si è scoperto in seguito che l’ossitocina gioca un ruolo fondamentale nella formazione di legami affettivi, non solo tra la madre e il neonato, ma anche nelle coppie adulte e, infine, nel rinsaldare le relazioni di gruppo. Ed è proprio nei gruppi che l’ossitocina ha rivelato un “lato oscuro”; infatti, la somministrazione di ossitocina non soltanto rinforza i comportamenti a favore del proprio gruppo, ma tende a incoraggiare di pari passo i comportamenti contro gli altri gruppi.

Uno degli esperimenti che dimostra questo lato oscuro dell’ossitocina funzionava così: immaginiamo un treno lanciato a tutta velocità contro un nostro connazionale; l’unico modo di salvare questo innocente è tirare una leva per deviare il treno su un altro binario, dove verrebbero travolti due innocenti, ma stavolta di una diversa nazionalità. Che fare? Posta di fronte a questo dilemma, la maggior parte delle persone accetta di non intervenire, e sacrificare una vita per salvarne due, senza tenere conto della nazionalità. Tuttavia, quando veniva somministrata l’ossitocina, aumentava significativamente la percentuale di persone favorevoli ad azionare la leva per salvare il loro connazionale… sacrificando due “stranieri”! Esperimenti come questo sostengono l’idea che la nostra tendenza naturale, biologicamente fondata, a stringere rapporti di appartenenza reciproca e a difendere i “nostri”, possa avere come contraltare la possibilità di diventare più spietati verso gli “altri”.

La seconda indicazione riguarda i meccanismi che possono contribuire a stabilire una base per il pregiudizio: la percezione di una o più differenze che favoriscano “noi” a svantaggio “loro”. La scoperta sorprendente degli ultimi anni è che esistono distorsioni a favore della propria etnia (e contro le altre) già a partire dai sei mesi di età, e che a tre anni di età la capacità di distinguere tra “noi” e “loro” va di pari passo con queste distorsioni. Ma come facciamo a rilevare delle distorsioni sociali in bambini così piccoli? Ecco un metodo: si mostrano dei volti su un tablet accompagnati da due faccine (vedi figura); quando compare un volto della propria etnia bisogna schiacciare la faccina sorridente e quando compare un volto di un’altra etnia la faccina imbronciata; nella seconda parte dell’esperimento si fa il contrario. Se l’associazione tra faccina sorridente e volto della propria etnia avviene in tempi più rapidi, significa che è più automatica e più “intuitiva” per la nostra mente, cioè: tendiamo ad associare più facilmente cose positive con i “nostri” e negative con gli “altri”. Un esperimento analogo è stato effettuato anche con delle musichette, una piacevole e una spiacevole, al posto delle faccine; i risultati non cambiano: esiste una distorsione automatica a favore dei propri simili (e a sfavore dei “diversi”) che si riscontra a partire dai sei mesi di età, in tutte le culture studiate.

Non è facile in realtà stabilire cosa significhino questi risultati; gli studiosi suggeriscono che l’avversione verso le “configurazioni devianti” (per esempio: una fila di triangoli con un triangolo disallineato) possa giocare un ruolo in questo fenomeno; in altri termini, tutti abbiamo una preferenza stabile per le “buone forme”, quelle che riflettono un mondo ordinato e prevedibile. Se questo mondo di “buone forme” sia basato su lineamenti asiatici o africani o di altro tipo, dipenderà dalle persone che ci circondano per la maggior parte del tempo fin dalla nostra nascita. Dopo di che, man mano che impareremo a distinguere, avremo anche gettato le prime basi per una preferenza. Preferenza che tenderemo a rinforzare, perché è utile alla sopravvivenza prendere le parti dei propri simili. Tuttavia, naturalmente, le esperienze successive potranno anche giocare un ruolo fondamentale di ampliamento della nostra conoscenza; c’è sempre tempo per estendere i confini di quel mondo che percepiamo e sentiamo simile a noi, riducendo l’avversione per quello che invece ci appare come altro da noi, e che oscuramente sembra continuare a minacciarci.

Per approfondimenti:

De Dreu CKW, Greer LL, Van Kleef GA, Shalvi S, Handgraaf MJJ (2011). Oxytocin promotes human ethnocentrism. PNAS January 25, 2011. 108 (4) 1262-1266

Gollwitzer A, Bargh JA, Marshall J, Wang Y (2017). Relating pattern deviancy aversion to stigma and prejudice. Nature Human Behaviour, 1, 2397-3374

Setoh P, Lee KJJ, Zhang L, Qian MK, Quinn PC, Heyman GD, Lee K2 (2017). Racial Categorization Predicts Implicit Racial Bias in Preschool Children. Child Development,  Jun 12.

Xiao NG;  Quinn PC,  Liu S,  Ge L,  Pascalis O,  Lee K (2017). Older but not younger infants associate ownrace faces with happy music and otherrace faces with sad music. Develpomental Science, 21,2