Le istituzioni ponte di affetti

di Roberto Petrini
Perché competere è cosi importante per determinare la nostra identità e il nostro successo individuale?
Lo psicologo britannico John Bowlby, partendo dalle intuizioni di Konrad Lorenz, comprese per primo come agisce la disposizione innata a cercare cura e conforto quando ci troviamo in una situazione di pericolo, malattia o solitudine; per ricevere aiuto ci orientiamo verso chi consideriamo più forte e saggio. Bowlby è consapevole di come il sistema che descrive influenzi anche gli altri sistemi motivazionali come la cooperazione e la costruzione delle relazioni interpersonali.
Molte delle nostre motivazioni ci spingono a costruire legami interpersonali e ci guidano poi nella costruzione di significati che useremo per adattarci all’ambiente. Le relazioni interpersonali positive come i farmaci sono in grado di regolare i nostri neurotrasmettitori nei punti strategici del nostro cervello. Relazioni basate sulla fiducia, tolleranza e rispetto fanno crescere la disponibilità della serotonina, mentre le relazioni aggressive e competitive ostacolano la disponibilità di questo neurotrasmettitore.
 Per sentirci “nutriti affettivamente”, dobbiamo per forza riferirci a un gruppo, dove grazie alla condivisione, si realizzano dei legami positivi e grazie a questi un clima di fiducia e ottimismo. Il principio consumistico opera anche nei gruppi, le economie di cambiamento incoraggiano le rotture a svantaggio della riconciliazione, del ricongiungimento e mediazione dei conflitti.
Nel gruppo, se domina l’atteggiamento competitivo, spesso non si forma nessun vincolo sentimentale e i sentimenti ostili alla fine arrecheranno dei danni.Il clima agonistico ci farà essere rapidi nelle nostre valutazioni, rigidi e rigorosi, attenti ai segnali di pericolo; proveremo rabbia, paura, invidia, disprezzo e saremo orgogliosi. Questo tipo di pensiero ci porterà a considerare solo le nostre ragioni e quelle dei nostri compagni di scontro, ma non ci metterà in condizione di decentrarci e quindi in grado di cogliere le ragioni dell’altro; alimenterà il sospetto e la polarizzazione dei pareri.
I vincitori alla fine si trasformano in vinti: per legge di natura, “la fiumana del progresso”, descritta da Giovanni Verga, alla fine travolge tutti. Mastro don Gesualdo, dopo aver conquistato potere e rispetto, è schiacciato dall’aridità degli affetti di chi lo circonda, dalla solitudine.
I beni primari, nella maggior parte delle società, non sono scarsi. Allora perché competere è cosi importante per determinare la nostra identità e il nostro successo individuale? Non è più vantaggioso collaborare per raggiungere obiettivi comuni per poi dividersi e condividere gioie e risultati? Come fare adesso che la fiducia e la generosità dei singoli è stata logorata da decenni di condizioni disoneste?
Le istituzioni ponte di affetti come l’oratorio, la sede di partito, la società sportiva, il circolo, le associazioni creano un collegamento di fiducia e affetti tra le persone, aumentano tolleranza e visione ottimistica del mondo. I gruppi che generano relazioni emotive ci discostano dal pensiero individualista, pongono un obiettivo sentito come comune, che avvicina le persone e crea legami e valori condivisi. Spesso siamo più felici quando ci mettiamo da parte e andiamo verso qualcun altro, oltre noi stessi, verso un gruppo dove viene soddisfatto il nostro bisogno di dare e ricevere nutrimento affettivo.
Il grado di fiducia tra le persone, le reti relazionali che si creano e la disponibilità a cooperare determinano la motivazione individuale a vedere e poi a salire su quel ponte che ci collega gli uni agli altri.

Collaborare per difendersi dai lupi

di Roberto Petrini

La cooperazione genera legami, aumenta fiducia e tolleranza, ma è un “bene” fragile molto facile da logorare e difficile da ricostituire

Se un comportamento perdura nel tempo, significa che è al servizio della sopravvivenza della specie che ne è depositaria. Negli animali, l’aggressività seleziona i migliori, regola la gerarchia all’interno dei gruppi, serve alla conquista e alla difesa del territorio. Essi, però, si accordano nel non superare certi limiti (aggressività ritualizzata): il lupo assale l’avversario ma non lo morde mai alla gola, il cervo non colpisce mai il fianco del rivale ma si scontra solo frontalmente.
L’animale più violento in natura è quello più vicino a noi, cioè la scimmia e come l’uomo ha poca pietà per i suoi simili. L’uomo, addirittura, compie massacri senza essere presente sui luoghi del crimine e così non è nemmeno più esposto al dolore e ai rimorsi.
Fortunatamente, competere non è stata mai l’unica soluzione per accedere alle risorse materiali, per risolvere i conflitti, per accedere ai ranghi superiori. Oltre alla selezione naturale e alla mutazione, ha operato come principio fondamentale dell’evoluzione la cooperazione.
La caccia al cervo è un esempio di come il gruppo degli uomini è cresciuto collaborando. Lo psicologo evoluzionista Michael Tomasello lo spiega così: “Nella caccia al cervo, ognuno preferisce collaborare in vista delle ricompense che questo porterà a ciascun individuo e al gruppo. Il problema è come poter arrivare al punto di unire le forze. E non è una faccenda da poco, dato che ciò che io faccio in situazioni del genere dipende da ciò che penso, farai tu e viceversa, ricorsivamente, il che significa che dobbiamo essere in grado di comunicare tra noi in modo soddisfacente e di fidarci l’uno dell’altro”.
Continua esponendo cosa occorre per passare al comportamento collaborativo, individuando tre condizioni essenziali:

  • abilità e motivazioni per l’intenzionalità condivisa;
  • tolleranza e fiducia reciproca;
  • presenza di norme sociali pubbliche.

Collaborare significa percepirsi di pari valore e lavorare insieme per un vantaggio comune e dimostrarsi cooperativi e pronti ad aiutare gli altri spesso porta a ricevere in cambio altre offerte di aiuto e collaborazione. Un altro fattore che spinge in direzione della cooperazione è costituito dalle norme e dai valori del gruppo come anche l’essere sottoposti al giudizio altrui.
È oramai chiaro che le disuguaglianze crescono insieme a tutti gli effetti collegati a essa, per primo la riduzione della mobilità sociale e l’accesso equo alle risorse. La norma ha perso potere e spesso non riesce a garantire che sia tutelata la giustizia, quindi diminuisce la fiducia nel prossimo: la nostra propensione all’altruismo e ai legami si logora, i circoli, gli oratori, le sedi di partito si svuotano.

La competizione falsata tipica delle politiche neoliberiste promuove economie consumistiche di cambiamento che rovinano i legami sociali e incoraggiano le rotture a discapito della mediazione e del ricongiungimento, con il risultato di un capitale sociale che s’impoverisce sempre di più.
La disuguaglianza viola la nostra aspettativa di giustizia e logora i beni relazionali.
Solo disponendosi in cerchio i cavalli selvatici si difendono dai lupi.

Per approfondimenti:

Tomasello M. (2010). “Altruisti nati”. Bollati Boringhieri

Tomasello M. (1999). “Le origini culturali della cognizione umana”. Tr. It. il Mulino, Bologna 2005

Liotti, Fassone, Monticelli (2017) “L’evoluzione delle emozioni e dei sistemi motivazionali” R. Cortina editore