Obiettivi personali e benessere

di Rosanna De Angelis
a cura di Roberta Trincas

“La qualità non è mai casuale; è sempre il risultato di uno sforzo intelligente”. John Ruskin

Nell’ultimo decennio, si è andata affermando una Teoria Motivazionale del Benessere Soggettivo. L’approccio fondato su questa teoria si basa sul presupposto che il successo in obiettivi significativi abbia un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento del benessere psicologico delle persone. In questa prospettiva, il benessere soggettivo è tanto più elevato quanto più l’individuo è impegnato in progetti di vita – piani di azione estesi tesi al raggiungimento di obiettivi personali – significativi, ben strutturati, supportati da altri, non eccessivamente stressanti e generativi di un senso di autoefficacia.
Uno studio longitudinale a breve termine, condotto su un campione di 88 studenti universitari, ha cercato di esaminare in che modo le caratteristiche degli obiettivi personali possono spiegare le differenze e i cambiamenti del benessere soggettivo nel tempo.
La ricerca si è focalizzata su tre caratteristiche degli obiettivi personali: l’impegno nel perseguimento dell’obiettivo, la valutazione che il soggetto formula sulla raggiungibilità dell’obiettivo e i progressi percepiti nel raggiungimento dell’obiettivo.
L’impegno nel perseguimento dell’obiettivo indica fino a che punto l’obiettivo personale è associato ad un forte senso di determinazione nel perseguirlo, all’urgenza di investire le proprie energie nel suo conseguimento e alla disponibilità a compiere un grande sforzo per realizzarlo.
La valutazione soggettiva sulla raggiungibilità dell’obiettivo rappresenta il risultato del confronto che il soggetto fa tra l’esistenza di condizioni favorevoli e l’esistenza di condizioni sfavorevoli al raggiungimento del suo obiettivo. Le condizioni favorevoli indicano che una persona ritiene di avere abbastanza tempo e opportunità per dedicarsi al suo obiettivo, di avere il potere di raggiungerlo e di ricevere un adeguato sostegno sociale nella sua realizzazione.
Dopo aver chiesto ai partecipanti di elencare sei obiettivi personali che si proponevano di realizzare nei primi mesi dell’anno accademico ed aver rilevato il loro stato di benessere iniziale, le tre dimensioni-obiettivo ed i livelli di benessere soggettivo sono stati misurati in 3 tempi diversi in un arco temporale di 14 settimane. Il benessere soggettivo è stato considerato nei suoi aspetti sia affettivi (umore euforico/depresso) che cognitivi (soddisfazione di vita).
Dallo studio in esame, è emerso che l’intensità dell’impegno dedicato al perseguimento dei propri obiettivi è una variabile di moderazione, perché determina la misura in cui le differenze nella percezione della loro raggiungibilità spiegano i cambiamenti positivi e negativi del benessere soggettivo nel tempo. Questo significa che, rispetto agli individui che dedicano uno scarso impegno alla realizzazione dei loro obiettivi, le differenze nella stima della loro raggiungibilità non sono indicative di differenze nel benessere soggettivo, mentre, rispetto a coloro che si impegnano molto per realizzare i propri scopi, la percezione di raggiungibilità degli obiettivi è predittiva di maggiori livelli di benessere soggettivo e, al contrario, la percezione di difficoltà o ostacoli nella raggiungibilità degli obiettivi implica una compromissione significativa dei livelli di benessere.
È emerso, altresì, che i progressi percepiti nel raggiungimento degli obiettivi hanno un effetto diretto sui livelli di benessere soggettivo e mediano l’effetto dell’interazione tra l’impegno e la raggiungibilità degli obiettivi sul benessere.

Per approfondimenti:

Brunstein J.C. (1993). Personal Goals and Subjective Well-Being: a longitudinal study. Journal Personality and Social Psychology, Vol. 65, No. 5, 1061-1070.

Obiettivi personali e benessere

di Rosanna De Angelis
curato da Roberta Trincas

“La qualità non è mai casuale; è sempre il risultato di uno sforzo intelligente”. John Ruskin

Nell’ultimo decennio, si è andata affermando una Teoria Motivazionale del Benessere Soggettivo. L’approccio fondato su questa teoria si basa sul presupposto che il successo in obiettivi significativi abbia un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento del benessere psicologico delle persone. In questa prospettiva, il benessere soggettivo è tanto più elevato quanto più l’individuo è impegnato in progetti di vita – piani di azione estesi tesi al raggiungimento di obiettivi personali – significativi, ben strutturati, supportati da altri, non eccessivamente stressanti e generativi di un senso di autoefficacia.
Uno studio longitudinale a breve termine, condotto su un campione di 88 studenti universitari, ha cercato di esaminare in che modo le caratteristiche degli obiettivi personali possono spiegare le differenze e i cambiamenti del benessere soggettivo nel tempo.
La ricerca si è focalizzata su tre caratteristiche degli obiettivi personali: l’impegno nel perseguimento dell’obiettivo, la valutazione che il soggetto formula sulla raggiungibilità dell’obiettivo e i progressi percepiti nel raggiungimento dell’obiettivo.
L’impegno nel perseguimento dell’obiettivo indica fino a che punto l’obiettivo personale è associato ad un forte senso di determinazione nel perseguirlo, all’urgenza di investire le proprie energie nel suo conseguimento e alla disponibilità a compiere un grande sforzo per realizzarlo.
La valutazione soggettiva sulla raggiungibilità dell’obiettivo rappresenta il risultato del confronto che il soggetto fa tra l’esistenza di condizioni favorevoli e l’esistenza di condizioni sfavorevoli al raggiungimento del suo obiettivo. Le condizioni favorevoli indicano che una persona ritiene di avere abbastanza tempo e opportunità per dedicarsi al suo obiettivo, di avere il potere di raggiungerlo e di ricevere un adeguato sostegno sociale nella sua realizzazione.
Dopo aver chiesto ai partecipanti di elencare sei obiettivi personali che si proponevano di realizzare nei primi mesi dell’anno accademico ed aver rilevato il loro stato di benessere iniziale, le tre dimensioni-obiettivo ed i livelli di benessere soggettivo sono stati misurati in 3 tempi diversi in un arco temporale di 14 settimane. Il benessere soggettivo è stato considerato nei suoi aspetti sia affettivi (umore euforico/depresso) che cognitivi (soddisfazione di vita).
Dallo studio in esame, è emerso che l’intensità dell’impegno dedicato al perseguimento dei propri obiettivi è una variabile di moderazione, perché determina la misura in cui le differenze nella percezione della loro raggiungibilità spiegano i cambiamenti positivi e negativi del benessere soggettivo nel tempo. Questo significa che, rispetto agli individui che dedicano uno scarso impegno alla realizzazione dei loro obiettivi, le differenze nella stima della loro raggiungibilità non sono indicative di differenze nel benessere soggettivo, mentre, rispetto a coloro che si impegnano molto per realizzare i propri scopi, la percezione di raggiungibilità degli obiettivi è predittiva di maggiori livelli di benessere soggettivo e, al contrario, la percezione di difficoltà o ostacoli nella raggiungibilità degli obiettivi implica una compromissione significativa dei livelli di benessere.
È emerso, altresì, che i progressi percepiti nel raggiungimento degli obiettivi hanno un effetto diretto sui livelli di benessere soggettivo e mediano l’effetto dell’interazione tra l’impegno e la raggiungibilità degli obiettivi sul benessere.

Per approfondimenti:

Brunstein J.C. (1993). Personal Goals and Subjective Well-Being: a longitudinal study. Journal Personality and Social Psychology, Vol. 65, No. 5, 1061-1070.

Ti perdono, lo faccio per me!

di Antonella D’Innocenzo

Perdonare è una scelta che fa bene, prima di tutto, alla mente e al corpo di chi la compie

Vendetta, evitamento e perdono sono possibili risposte che un individuo può attivare in seguito a un’offesa percepita; a differenza dei primi due, quest’ultimo implica la rinuncia al diritto di provare rancore nei confronti dell’offensore e la modificazione di pensieri ed emozioni negative, insieme a un incremento di sentimenti di compassione e di benevolenza verso chi riteniamo ci abbia fatto del male.
Perdonare non equivale a giustificare, scusare, dimenticare o minimizzare: per farlo è necessario che l’evento sia ricordato e che si abbia chiara consapevolezza delle sue conseguenze dannose. Le modalità di questo processo, tuttavia, non sono rabbiose e dolorose, ma consistono nel ripercorrere e rielaborare la sofferenza in modo funzionale, allo scopo di poter essere capaci di riporla nella giusta dimensione: il passato.
Perdonare non coincide necessariamente con la riconciliazione con l’offensore, anzi, essa va evitata, se può mettere a rischio l’incolumità psicofisica della vittima: mentre per riconciliarsi è infatti opportuna la negoziazione tra offensore e vittima, il perdono è un atto unilaterale e può essere praticato in qualunque circostanza e situazione.
È utile perdonare? La ricerca sul perdono in ambito psicologico ha mostrato come gli adulti con una più elevata disposizione al perdono facciano meno uso di farmaci, siano meno depressi, meno rabbiosi, meno ansiosi, presentino una più elevata qualità del sonno, in generale una maggior soddisfazione di vita e benefici per la salute fisica.
Incrementando i comportamenti di perdono, aumenterebbero anche altre variabili di benessere, come la fiducia, la speranza, l’auto-efficacia e la gioia. Gli individui con una bassa disposizione al perdono tendono a essere più rabbiosi e a ruminare di più sulle offese passate; un’intensa rabbia disfunzionale sembra essere correlata a un rischio più alto di diverse problematiche psicologiche, inclusa la depressione. In effetti, avere difficoltà a perdonare può implicare la tendenza a mettere in atto comportamenti vendicativi, aggressivi o di evitamento, portando a rottura delle relazioni, isolamento, solitudine e mancanza di risorse affettive; condizioni che contribuiscono alla genesi e al mantenimento di stati depressivi. Il processo del perdono può essere invece considerato una forma efficace di autoregolazione emotiva, in grado di modulare i sentimenti negativi e di preservare e riparare le relazioni interpersonali.
Negli ultimi vent’anni, in psicoterapia, si è tentato di utilizzare il potenziale benefico del perdono per la riduzione del malessere e l’incremento del benessere psicologico.
Sono due i principali modelli d’intervento, connessi al perdono, utilizzati: quello di Robert Enright & Human Development Study Group e quello di Everett Worthington; entrambi lavorano per favorire la consapevolezza di come l’ingiustizia ricevuta abbia provocato sofferenza, al fine di motivare all’assunzione del perdono come via d’uscita da questa condizione.
In questo processo, si aiuta l’individuo a modificare pensieri, emozioni e azioni nei confronti dell’altro, nella direzione della benevolenza e della compassione.
In molte tipologie di disturbi mentali, i problemi dei pazienti possono essere legati a tematiche relazionali irrisolte, a difficoltà nello stabilire rapporti duraturi e a lasciare andare offese passate: incoraggiare il paziente al perdono può rappresentare un’ottima opportunità per aiutarlo a uscire dalla sofferenza che sta sperimentando.

 

Per approfondimenti:

Barbara Bracaccia, “Il perdono interpersonale: analisi del costrutto. Efficacia, rischi e benefici per il benessere psicologico della terapia del perdono”, RASSEGNA DI PSICOLOGIA, n.3, vol.XXXIV, 2017 ISSN: 1125-5196 pp. 55-66