L’anziano è davvero “fragile”?

di Alessandra Lupo, Chiara Mignogna, Priscilla Rosini

La cura e il benessere della salute mentale della terza età rimangono sempre da sfondo rispetto alle problematiche fisiche dovute all’età che avanza

Durante questo periodo di pandemia, è stata sottolineata l’importanza di proteggere le categorie cosiddette “fragili”. Tra queste rientrano le persone anziane, considerate le più vulnerabili dal punto di vista fisico e da considerarsi maggiormente esposte a un rischio di sintomi severi causati dal virus. L’attenzione rivolta alla popolazione senile ha messo in luce quanto sia importante avere cura dei nostri cari e del loro stato di salute. Tutti ci siamo impegnati a proteggerli, a stare ben attenti a mantenere le distanze, sacrificando anche un contatto diretto con loro. Nonostante l’attenzione si sia focalizzata sull’anziano e sul suo stato di salute, sono sempre più marginali, invece, la cura e il benessere della salute mentale della terza età, che rimangono sempre da sfondo rispetto alle problematiche fisiche dovute all’età che avanza. Spesso le persone anziane non hanno la possibilità di approcciarsi alla cura dei loro disagi psicologici, eppure secondo i dati Istat si registra un innalzamento dell’età media di chi ne soffre, con un conseguente aumento di problematiche della salute fisica e mentale. Spesso, quando si fa riferimento alla salute mentale e al benessere psicologico della persona anziana, si tende a banalizzare o sminuire di molto l’importanza dei sintomi. Tale atteggiamento conduce all’aumento di stereotipi che diventano dei propri “miti” sempre più difficili da sfatare. Tra i più comuni è presente, ad esempio, la convinzione che tali sintomi siano dovuti all’età che avanza, e che quindi siano “normali” e sui quali è impossibile poter intervenire per una loro risoluzione. Molto comune è anche la credenza di essere “troppo vecchio per poter cambiare”, che scoraggia la persona anziana a rivolgersi ad un professionista quando prova una sofferenza di natura psicologica. A questo si aggiunge spesso la sensazione, vissuta dall’anziano, che la richiesta di aiuto sia un’ammissione di debolezza e di vulnerabilità.

Tali credenze portano a una ridotta richiesta di aiuto, aumentando così i fattori di rischio per l’insorgenza o l’ingravescenza di patologie psichiche, con un conseguente peggioramento della qualità della vita. La vecchiaia viene considerata come una condizione di inesorabile declino fisico e cognitivo, di peso economico e sociale, di tristezza, isolamento e asessualità.

La psicologia dell’invecchiamento promuove una visione differente dell’anziano, da considerarsi come risorsa sociale e improntata sulla cura e il benessere, che vuole rimettere al centro la persona, promuovendo il benessere psicologico ed eliminando gli stereotipi culturali.

Generalmente dell’avanzare dell’età si considera soltanto l’aspetto negativo, in termini di perdita: perdita del ruolo lavorativo, della salute, delle capacità cognitive e fisiche.

La psicoterapia che si occupa dell’anziano, oltre a diagnosticare tempestivamente una problematica psicologica, promuove una nuova visione positiva della vecchiaia. Partendo dalla visione degli studiosi dell’invecchiamento Paul B. Baltes e Margret M. Baltes, si può comprendere come in questa fase di vita si riscontrino guadagni e non unicamente perdite (come ad esempio la perdita della salute o dell’integrità sensoriale). Uno dei guadagni è rappresentato dal fenomeno della saggezza, che rappresenterebbe una forma di pensiero “tipica” dell’età anziana che consente capacità di giudizio etico-morale e di gestione della complessità delle questioni sociali e della vita superiori a quelle delle età precedenti di vita. Secondo gli studiosi, per vivere bene l’età che avanza è importante ottimizzare i guadagni, scegliendo accuratamente le aree della propria vita in cui investire per stare bene, compensando le eventuali perdite che possono essere correlate all’età.

L’importanza della cura e l’attenzione della salute mentale dell’anziano antepone il prendere visione nello specifico della sintomatologia che talvolta non viene considerata rilevante, in quanto erroneamente attribuita ai cosiddetti “acciacchi della vecchiaia”. La depressione e i disturbi d’ansia nell’anziano hanno una manifestazione sintomatologica differente rispetto a quella presentata nei giovani adulti. Spesso il malessere è riconducibile a manifestazioni somatiche che possono forviare il clinico non esperto.

Per tale motivo è importante promuovere la conoscenza e ampliare i servizi di cura della salute mentale negli anziani.

Nel nostro centro clinico di Roma, è presente il servizio di psicoterapia per l’anziano dove un’equipe specializzata si prende cura delle problematiche psicologiche dell’invecchiamento.

Per approfondimenti:

Baltes, P. B., & Baltes, M. M. (Eds.). (1990). Successful aging: Perspectives from the behavioral sciences. Cambridge University Press.

De Beni, R., & Borella, E. (Eds.). (2015). Psicologia dell’invecchiamento e della longevità. Il mulino.

Foto di Edu Carvalho da Pexels

 

La psicoterapia è sempre positiva?

di Chiara Mignogna

Se molti pazienti ottengono un cambiamento clinico significativo, alcuni di loro potrebbero sperimentare eventi avversi e indesiderati

Se un martello funziona per infilare un chiodo, funziona anche nel pestare un dito. La psicoterapia, nei suoi diversi approcci, è stata ampiamente dimostrata essere efficace e in grado di produrre effetti benefici sui pazienti.

Nel corso degli anni, la ricerca si è largamente occupata di dimostrarne l’efficacia, con lo scopo di individuare gli interventi più adeguati in relazione a specifiche problematiche psicologiche e quindi maggiormente in grado di produrre effetti positivi sui pazienti, ad esempio in termini di riduzione della sintomatologia e di una migliore qualità di vita.

Tuttavia è importante considerare che un trattamento che ha la capacità di aiutare una persona può essere anche causa di potenziali effetti negativi. Se sosteniamo, infatti, che la psicoterapia funziona ed è in grado di promuovere cambiamenti positivi nella vita delle persone, è allo stesso tempo lecito sostenere che sia potenzialmente in grado di produrne di negativi, altrimenti il suo funzionamento potrebbe essere messo in discussione!

Se l’interesse per l’efficacia e quindi per gli esiti positivi della psicoterapia è dimostrato dalla mole di studi presenti in letteratura, sorprende invece come non ci sia lo stesso interesse nel valutare e cercare quelli che possono essere gli effetti negativi di una psicoterapia, come se essa fosse esente dal rapporto rischio-beneficio in cui incorrono le altre pratiche cliniche, come la medicina o la farmacologia. Infatti, la maggior parte degli studi clinici si concentra esclusivamente sull’esito del trattamento e sul numero di pazienti che ottengono un cambiamento clinico significativo, ignorando il fatto che alcuni di loro potrebbero sperimentare eventi avversi e indesiderati.

La ricerca sugli effetti negativi in psicoterapia può, d’altro canto, essere complicata da diversi aspetti. In primo luogo, perché può essere difficile avere un consenso su cosa si intende per effetto negativo e cosa ancora più difficile è poter stabilire un rapporto di causa-effetto tra eventi avversi e psicoterapia.

Diversi eventi negativi e indesiderati possono verificarsi durante un trattamento terapeutico ma è importante saper riconoscere quelli correlati alla psicoterapia da quelli dovuti all’influenza di altri fattori interferenti, come ad esempio il decorso naturale di alcune patologie o l’impatto indesiderato di alcuni fattori stressanti quotidiani.

Si parla di effetti negativi della psicoterapia, invece, quando tali effetti sono attribuibili al trattamento terapeutico.

Secondo una definizione proposta dallo psichiatra tedesco Michael Linden e il suo gruppo di ricerca e ora adottata a livello internazionale, gli effetti negativi causati da una terapia eseguita correttamente vengono definiti “effetti collaterali”. Essi includono: la dipendenza dal terapeuta o la sua idealizzazione, lo stigma, il peggioramento dei sintomi o l’insorgenza di nuovi, le difficoltà relazionali con il proprio partner oppure difficoltà che insorgono in altri ambienti come lavoro, famiglia e amici.

Gli effetti collaterali di una psicoterapia vanno, però, distinti dagli effetti avversi dovuti a un trattamento effettuato in maniera inadeguata, ad esempio attribuibili a negligenza e a malpratica da parte del terapeuta, come una diagnosi o un trattamento sbagliato, oppure causati da condotte non etiche da parte del terapeuta stesso come abusi, violenze e pregiudizi.

La distinzione tra le conseguenze di una terapia eseguita in modo adeguato da quelle di una terapia impropria ed errata è di fondamentale importanza e permette di valutare oggettivamente quali possono essere gli effetti negativi di una corretta psicoterapia, ovvero gli effetti collaterali.

La conoscenza e la consapevolezza dei potenziali effetti collaterali permettono non solo di informare i pazienti sui rischi e benefici degli interventi terapeutici, ma forniscono al terapeuta l’opportunità di contrastarli o addirittura prevenirli.

In considerazione dell’importanza che tale tema occupa nella pratica clinica e delle poche ricerche presenti, è in corso uno studio, diretto da Claudia Perdighe, psicologa e psicoterapeuta della Scuola di Psicoterapia cognitiva di Roma (SPC), che ha l’obiettivo di indagare gli effetti negativi della psicoterapia su un vasto campione italiano e quali variabili correlano con la loro presenza.

Tutte le persone maggiorenni che hanno effettuato o stanno tuttora effettuando un percorso di psicoterapia possono contribuire alla ricerca accedendo al link qui di seguito riportato:

https://apc.questionpro.com/a/TakeSurvey?tt=73Bip3EJ3WY%3D

Per approfondimenti

  • Foulkes, P. (2010). The therapist as a vital factor in side-effects of psychotherapy. Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 44(2), 189-189.
  • Herzog, P., Lauff, S., Rief, W., & Brakemeier, E. L. (2019). Assessing the unwanted: A systematic review of instruments used to assess negative effects of psychotherapy. Brain and behavior, 9(12), e01447.
  • Klatte, R., Strauss, B., Flückiger, C., & Rosendahl, J. (2018). Adverse effects of psychotherapy: protocol for a systematic review and meta-analysis. Systematic reviews, 7(1), 1-7.
  • Ladwig, I., Rief, W., & Nestoriuc, Y. (2014). What are the risks and side effects of psychotherapy? development of an inventory for the assessment of negative effects of psychotherapy (INEP). Verhaltenstherapie, 24(4), 252-63.9).
  • Linden, M., & Schermuly-Haupt, M. L. (2014). Definition, assessment and rate of psychotherapy side effects. World Psychiatry, 13(3), 306.
  • Linden, M., Strauß, B., Scholten, S., Nestoriuc, Y., Brakemeier, E. L., & Wasilewski, J. (2018). Definition and Decision-Making in the Determination and Detection of Side Effects of Psychotherapy. PPmP-Psychotherapie· Psychosomatik· Medizinische Psychologie, 68(09/10), 377-382.
  • Rozental, A., Kottorp, A., Boettcher, J., Andersson, G., & Carlbring, P. (2016). Negative effects of psychological treatments: An exploratory factor analysis of the negative effects questionnaire for monitoring and reporting adverse and unwanted events. PloS one, 11(6), e0157503.8)
  • Moritz, S., Nestoriuc, Y., Rief, W., Klein, J. P., Jelinek, L., & Peth, J. (2018). It can’t hurt, right? Adverse effects of psychotherapy in patients with depression. European archives of psychiatry and clinical neuroscience, 269(5), 577-586.

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