Nuovo approccio al senso di colpa

di Redazione

La ricerca degli esperti della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (APC-SPC) pubblicata sulla rivista dell’International Society for the Study of Individual Differences

Moralità e senso di colpa possono essere visti come due facce della stessa medaglia: la colpa è il risultato emotivo di un conflitto tra il nostro comportamento e la moralità che abbiamo interiorizzato in relazione al contesto e alle esperienze di vita. È quanto emerge da una ricerca condotta nell’ambito dell’attività scientifica della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (APC-SPC) diretta dal neuropsichiatra Francesco Mancini. La ricerca è stata coordinata dalla dottoressa Alessandra Mancini e i risultati sono stati pubblicati nell’ultimo numero di Personality and Individual Differences, la rivista accademica ufficiale dell’International Society for the Study of Individual Differences (ISSID), edita da Elsevier.

Secondo il “Modello intuizionista sociale del giudizio morale” dello psicologo statunitense Jonathan Haidt, la moralità è concettualizzata come multidimensionale e costituita da cinque fondamenti morali: danno/cura, che riguarda la sensibilità alla sofferenza e alla crudeltà; imparzialità/reciprocità, che si concentra sulla necessità di giustizia; associazione/lealtà, che implica cooperare e fidarsi del proprio gruppo; autorità/rispetto, che ha a che fare con la valorizzazione dell’obbedienza e del dovere; purezza/santità, che include il disgusto per la contaminazione e riguarda coloro che non riescono a superare i loro impulsi di base.

Le varie culture rispettano questi principi in modo diverso. A un livello più individuale, valori e ideali hanno un ruolo centrale e definiscono l’identità di una persona, motivandola a comportarsi coerentemente con essi. Poiché è accertato che le emozioni negative segnalino la percezione di una discrepanza tra la realtà e le convinzioni e gli obiettivi individuali, le emozioni morali potrebbero funzionare come allarme di una divergenza tra la moralità interiorizzata degli individui e la rappresentazione morale nella società.

In particolare, la colpa è stata definita come “sensazione disforica associata al riconoscimento che si ha violato uno standard morale o sociale personalmente rilevante”. Tuttavia, ci possono essere differenze individuali rispetto a ciò che è “personalmente rilevante”.

Nella convinzione che riconoscere diversi tipi di sensi di colpa rappresenterebbe un passo importante nella ricerca, nello studio Moral Orientation Guilt Scale (MOGS): Development and validation of a novel guilt measurement, gli autori hanno creato uno strumento valido e affidabile – la Moral Orientation Guilt Scale (MOGS) – in grado di misurare in modo indipendente diversi tipi di sensi di colpa, testandolo su un ampio campione subclinico al quale sono stati sottoposti test classici e innovative tecniche di analisi.

L’obiettivo era di evidenziare diversi tipi di sensi di colpa riflessi nei valori morali interiorizzati dagli individui. Questo approccio di convalida incrociata ha indicato quattro fattori di colpa: “violazione delle norme morali”, “sporco morale”, “empatia” e “danno”. Se i primi due fattori sono risultati correlati positivamente con la sensibilità al disgusto, supportando il legame tra disgusto e colpa deontologica, il fattore “danno” è risultato correlato negativamente con i punteggi di sensibilità al disgusto, in linea con l’idea che l’altruismo e il disgusto si siano evoluti come parte di sistemi motivazionali contrastanti.

Dagli esiti dell’indagine è emersa dunque la distinzione tra sentimenti di colpa che attengono alla moralità deontologica e sentimenti di colpa che riguardano la moralità altruistica.

Per scaricare l’articolo

Mancini A., Granziol U., Migliorati D., Gragnani A., Femia G., Cosentino T., Saliani A.M., Tenore K., Luppino O.I., Perdighe C., Mancini F., (2022), Moral Orientation Guilt Scale (MOGS): Development and validation of a novel guilt measurement, Personality and Individual Differences, 189

 

 

Foto di EKATERINA BOLOVTSOVA da Pexels

Comprendere e curare la depressione

di Katia Tenore

I trattamenti psicoterapeutici descritti nel volume “La mente depressa. Comprendere e curare la depressione con la psicoterapia cognitiva”, a cura di Antonella Rainone e Francesco Mancini

Al lettore che si affaccia al volume di recente pubblicazione “La mente depressa. Comprendere e curare la depressione con la psicoterapia cognitiva”, a cura di Antonella Rainone e Francesco Mancini, viene presentato un quadro completo del complesso fenomeno della depressione. Questo disturbo, definito dagli autori come “un’emergenza mondiale”, è descritto da differenti punti prospettici che fanno capo ai più accreditati modelli esplicativi, tra cui quelli degli psicoterapeuti statunitensi Aaron Beck e Martin Seligman, capifila rispettivamente del modello cognitivo di comprensione e cura della depressione e della teoria dell’impotenza appresa, transitata poi nella Hopelessness Depression.
Rainone e Mancini analizzano i fattori di mantenimento e la genesi del fenomeno depressivo, rispondendo al fondamentale quesito relativo alle ragioni per cui si passi da un dolore naturale per la perdita alla sofferenza patologica depressiva. In particolare, dopo aver descritto il ruolo della ruminazione depressiva, gli autori propongono un originale modello esplicativo dei paradossi della depressione, nel quale quelle che ci appaiono delle cocciute resistenze al cambiamento della persona depressa, sono illustrate e chiarite in termini di scopi perseguiti e di credenze disfunzionali.
Gli autori sottolineano che i meccanismi responsabili dell’accettazione di eventi avversi, quali perdite e fallimenti, risultano compromessi nella depressione. Tale modello è frutto del lavoro del gruppo clinico e di ricerca della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) di Roma.
La cura della depressione è approcciata, oltre che con la descrizione degli interventi standard della Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT), anche attraverso gli approcci della terza ondata, con focus su Schema Therapy, Acceptance and Commitment Therapy, Compassion focused Therapy e Mindfulness.
Il lavoro presenta, inoltre, un’importante attenzione ad aspetti troppo spesso tralasciati nella concettualizzazione del funzionamento patologico, quali le risorse e i fattori che contribuiscono alla resilienza personale. Sulla stessa linea, il benessere psicologico e le sue dimensioni vengono approcciate attraverso la descrizione della Well-Being Therapy come strategia terapeutica per ridurre il rischio di ricadute sintomatologiche.
Il testo si chiude con un interessante approfondimento della Terapia Interpersonale e delle sue similitudini con la Terapia Cognitivo Comportamentale.
Oltre a distinguersi per un elevato valore scientifico, il libro si presta in maniera versatile a diversi usi e soddisfa diversi bisogni formativi. Costituisce sicuramente un manuale di riferimento nella sua globalità, ma allo stesso tempo i singoli capitoli possono soddisfare bisogni di approfondimento più circoscritti. Questa sua stessa natura fa sì che il volume sia fruibile da chi approccia per le prime volte il tema del fenomeno della depressione e chi, invece, necessita di un aggiornamento o di estendere la propria conoscenza ad approcci più recenti.

Per approfondimenti

A. Rainone, F. Mancini (a cura di), “La mente depressa. Comprendere e curare la depressione con la psicoterapia cognitiva”, Franco Angeli, 2018