di Elena Cirimbilla
Dal manuale a Dragon Ball: la flessibilità del terapeuta in età evolutiva
Il termine “flessibilità” indica, in senso figurato, la “facilità a variare, a modificarsi, ad adattarsi a situazioni o condizioni diverse”. Nel lavoro clinico o di ricerca, frequentemente si incontra la raccomandazione al terapeuta di essere flessibile. Ciò significa, se osserviamo il significato del termine, adattarsi alle condizioni del paziente.
Certamente occorre tener conto delle esigenze del paziente in ogni fase di vita, ma l’età evolutiva richiede una particolare attenzione all’adattamento dei contenuti al livello di sviluppo. A partire da questa necessità, il terapeuta ha la possibilità di rifarsi a numerosi manuali che propongono modalità ludiche con le quali è possibile adattare l’intervento al bambino.
Così, qualche tempo fa, a un piccolo paziente è stato proposto l’uso del “semaforo”, uno strumento per il problem-solving (volto cioè all’apprendimento di strategie di risoluzione dei problemi), tipico dell’intervento cognitivo comportamentale con l’età evolutiva. Con molto entusiasmo, è stato costruito lo strumento e ne è stata condivisa la modalità di utilizzo. All’incontro successivo però, il semaforo non aveva funzionato, il paziente non era riuscito a utilizzarlo e farlo suo e, non ultimo, aveva avvertito un senso di inadeguatezza per questo.
Uno strumento semplice, divertente e adatto all’età del bambino che i manuali suggeriscono non era stato utile. Che fare?
Sarebbe stato possibile riproporlo, provando a capire se gli fosse sfuggito qualcosa o se non lo avesse applicato nel modo giusto, ma il rischio di farlo sentire nuovamente inadeguato era elevato. A questo punto diviene fondamentale la flessibilità del terapeuta, intesa non solo come la capacità di non aderire rigidamente ai protocolli, ma, soprattutto nel lavoro con i bambini, la capacità di costruire e cucire sul piccolo paziente il processo o lo strumento più adatto a lui. In tal senso, la flessibilità nel lavoro in età evolutiva si può intendere come la capacità di distanziarsi dal manuale, di cogliere il razionale dietro agli strumenti per riadattarli sulla base delle passioni e degli interessi del bambino, al fine di permettergli di essere agente e attore del cambiamento.
Attraverso il gioco, le immagini, gli esempi concreti e le metafore a lui familiari, legate ad aspetti di vita conosciuti e sperimentati, il terapeuta può costruire assieme al bambino uno strumento nuovo, personalizzato, che lo accompagni nel processo sul quale si sta intervenendo. Non è inusuale che il terapeuta legga i fumetti o veda i cartoni a cui il bambino è appassionato, in una prima fase per costruire una buona alleanza, ma successivamente per poter utilizzare ciò che il bambino ama e in cui è semplice coinvolgersi al servizio della terapia.
E così all’incontro successivo, nel lavoro sul problem solving, il “semaforo” che il manuale tanto decantava era diventato “Karin”, il gatto maestro di arti marziali di Dragon Ball.
Per approfondimenti:
Di Pietro M., Bassi E. (2013). L’intervento cognitivo comportamentale per l’età evolutiva. Strumenti di valutazione e tecniche per il trattamento. Trento: Erickson Edizioni
Foto di Jennifer Murray da Pexels