Gli occhiali dei bambini

Verso una visione bambino-centrica

A cura di Elena Cirimbilla

“Mio figlio non vuole andare a scuola, dice che ha paura. Io ho cercato in tutti i modi di trasmettergli che la scuola è divertente e non deve aver paura, che è un posto bello, dove si imparano tante cose… ma non cambia nulla! Non può farmi tutte quelle storie al mattino, siamo troppo di corsa!”

Sarà semplice per il lettore immaginare la frustrazione e il dispiacere provati dal genitore che, nonostante gli sforzi, non riesce a “mandar via” la paura nel figlio, che continua ad opporsi all’idea di andare a scuola. E nemmeno suonerà strano pensare che abbia sperimentato rabbia, nel momento in cui si sarà innescata una lotta fra i due per uscire finalmente di casa. Chissà se magari, una volta entrato in questo circolo arriverà anche rimproverarlo, sperimentando poi, una volta calmo, senso di colpa.

Un’insalata di emozioni negative e contrastanti: frustrazione, tristezza, rabbia e senso di colpa…Ma cosa accade in questi momenti e che cosa può aiutare il genitore a sintonizzarsi al meglio sul proprio figlio?

La difficoltà del genitore è probabilmente quella di “mettersi nei panni” del bimbo, mettendo i suoi stessi occhiali e spostando la visione da adulto-centrica a una più bambino-centrica.

Sarebbe “facile” se l’adulto riuscisse a ricordare di quando era bambino, di quando aveva paura, di quanto era difficile leggersi dentro e capire “com’erano fatte” le emozioni che sperimentava: riuscirebbe certamente a indossare quegli occhiali da bambino e a connettersi con il proprio figlio. Ma non è semplice né tantomeno immediato, sull’onda dell’urgenza e della gestione della situazione “problematica”, mettere da parte le proprie emozioni e spostare il proprio focus sul bambino.

Ma se è vero che non è semplice è anche vero che, come tutte le cose difficili, è possibile fare esercizio: mettersi nei panni del bambino e “capire” davvero di cosa ha bisogno (e cosa no!) quando sperimenta una determinata emozione/situazione. Ad esempio, tornando all’estratto di conversazione iniziale, se l’adulto immaginasse di dover entrare ogni mattina in un bosco dove ci sono i lupi, per cui avesse (giustamente) paura di andare e qualcuno gli rispondesse: “Nessun problema, il bosco è molto divertente, è un posto bello e farai tante esperienze”, come si sentirebbe?

Probabilmente non si sentirebbe compreso e supportato. E, allo stesso tempo, probabilmente riuscirebbe a capire cosa non desidera suo figlio. Occorre però trovare una strategia, perché purtroppo nel bosco è necessario andarci, non è possibile evitarlo (l’evitamento è la strategia che con molta probabilità quell’adulto avrebbe messo in campo, come il bambino quando chiede di non andare a scuola). È il momento di chiedersi: cosa vorrebbe sentirsi dire quell’adulto spaventato?

Forse che si è dispiaciuti che provi questa paura, che qualcuno lo accompagnerà, o che ha le risorse per fare quell’esperienza. Certo non risolverebbe il problema, ma probabilmente aiuterebbe. Quell’adulto sarebbe sollevato nel percepire che l’altro comprende e rispetta la sua paura.

A questo punto, la maggior parte dei lettori avrà pensato che non è pensabile mettere a paragone un bosco con i lupi e la paura della scuola. E probabilmente avrà ragione. Ma qui, l’intento è quello di proporre “un trucco” che permetta di ribaltare la propria prospettiva e adottare una visione bambino-centrica. L’adulto potrà provare a mettersi nei panni del bambino, immaginando di provare la stessa emozione.

Cosa vorrebbe sentirsi dire? Vorrebbe un abbraccio? Una soluzione strategica?

Applicare questo trucco, con l’idea di comprendere e validare le emozioni del bambino permetterà di sentirsi genitori efficaci, comprensivi e sintonizzati e al contempo il bambino potrà percepirsi compreso e accettato nei suoi vissuti.

Si potrà partire quindi dal riconoscere l’emozione del bambino, comprenderne la motivazione e accettarla. Si tratta di un allenamento quotidiano, tenendo a mente che magari, la maestra che urla è al pari di un lupo in un bosco.

Riferimenti bibliografici

Di Pietro M. (2014). L’ABC delle mie emozioni 4-7 anni, corso di alfabetizzazione socio-affettiva secondo il metodo REBT, Edizioni Erickson, Trento

Faber A., Mazlish E. (2020). Come parlare perché i bambini ti ascoltino e come ascoltare perché ti parlino. Mondadori

 

Foto di Anna Shvets: https://www.pexels.com/it-it/foto/carino-cappello-verde-sorridente-3876542/

Quando una storia può aiutare a cambiare

di Francesca Romani e Giordana Ercolani

Ogni individuo nel corso della propria storia di vita può attraversare situazioni in grado di contribuire alla costruzione di credenze e regole su sé stesso e su gli altri. Questo processo inizia fin da bambini. Infatti è proprio nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza che le esperienze quotidiane con i genitori, prima, e successivamente con i compagni ed altri adulti significativi (es. familiari, insegnanti, allenatori etc.) sono in grado di suggerire una versione del mondo che con il tempo potrebbe irrigidirsi e diventare la sola “lente” con cui leggere gli eventi, le persone e sé stessi. Dunque quando questa “lente” si è costruita sulla base di esperienze accompagnate, ad esempio, da sensazioni di intensa frustrazione, critica, inadeguatezza, rifiuto o esclusione con conseguenti emozioni di rabbia, senso di colpa, ansia o tristezza, la sofferenza emotiva segue, solitamente, una traiettoria negativa che può condurre a profili psicopatologici più o meno precoci.

Nella psicoterapia Cognitivo-comportamentale (CBT) è consuetudine affrontare con il paziente proprio questo sistema di regole e credenze che caratterizza tipicamente il suo funzionamento psicologico, dedicando maggiore attenzione a quelle responsabili della sofferenza.

L’obiettivo è quello di ridurne la rigidità, favorire una defocalizzazione dall’ipotesi peggiore e affiancarvi punti di vista alternativi (Buonanno, Gragnani, 2021) con un successivo incremento della flessibilità psicologica responsabile di più alti livelli di benessere. Anche negli interventi con bambini e ragazzi si procede allo stesso modo; sebbene la giovane età può far credere che tale sistema non sia poi così disfunzionale, è esperienza comune per i terapeuti dell’età evolutiva imbattersi in idee già estremamente rigide e pervasive, inserite in quadri di sofferenza emotiva già ben strutturati.

In CBT tale processo di ampliamento del punto di vista e disponibilità a considerare una versione differente delle cose riguardanti se stessi e gli altri, prende il nome di ristrutturazione cognitiva.

Tante sono le tecniche e gli strumenti in grado di favorirla e tra questi si trovano anche le favole per bambini. Riprendendo l’esempio della “lente” usato poco fa, potremmo dire che una storia ha il potere di ridurne l’utilizzo e alimentare l’assunzione di una nuova prospettiva da cui guardarsi intorno per poi trarre conclusioni. Di fatto, nel caso delle favole, grazie al processo di identificazione con le situazioni e i personaggi, è possibile prima di tutto normalizzare la propria sofferenza; sapere infatti che anche altri soffrono come soffriamo noi ci fa sentire meno soli. Altresì la lettura di una storia, anche se di fantasia, può offrire la possibilità di rintracciare nelle vicende altrui, temi di sofferenza simili ai propri e avere così la possibilità di prendere in esame delle alternative che prima di allora non si erano considerate.

Pertanto, da un’esigenza clinica di questo tipo nasce la storia de “Il cappello Matteo” che siamo qui a condividere affinché possa essere di aiuto non solo al bambino per cui è stata scritta ma anche a tutti quelli che come lui, dopo una delusione, si sono ritrovati a pensare di non essere abbastanza di valore per ottenere l’affetto e la vicinanza degli altri, decidendo così di isolarsi e rinunciarvi per sempre.

 

Il cappello Matteo: clicca qui per scaricare la storia completa in formato pdf

Illustrazione di @disegniperlasalutementale

 

Riferimenti bibliografici
Buonanno C., Gragnani A. (2021). Le tecniche di ristrutturazione cognitiva. In: Perdighe C., Gragnani A. (a cura di) (2021). Psicoterapia cognitiva. Comprendere e curare i disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore.

“L’amore è l’unica cosa”

di Caterina Villirillo

L’intervento di Steve Hayes e altri spunti per il trattamento dell’età evolutiva al Congresso Intermedio SITCC

Un congresso tra amici e colleghi in atmosfera natalizia con vista mare: è il ricordo che conservo del Congresso Intermedio SITCC che si è svolto dal 9 all’11 dicembre 2022 ad Ancona. Un congresso per la prima volta interamente dedicato all’età evolutiva: un’occasione unica di confronto e formazione che ha coinvolto diversi colleghi che operano nel territorio nazionale e che si occupano quotidianamente di questa particolare fase della vita. Il programma è stato ricchissimo e variegato. La prima giornata ha previsto tre workshop paralleli esperienziali dedicati all’Acceptance and Commitment Therapy, alla Theraplay e al trattamento dei disturbi da Tic e della Sindrome di Tourette. Nelle giornate successive, in due tavole rotonde diversi membri dell’equipe per età evolutiva SPC-APC hanno avuto il piacere di esporre i propri lavori sul tema dei disturbi specifici di apprendimento e dei disturbi di personalità, nell’ottica dello sviluppo nell’arco della vita. Ci sono stati, inoltre, sei simposi paralleli dedicati a lavori clinici e di ricerca.
Gli spunti offerti da questi interventi e l’esposizione delle tecniche che hanno stimolato il desiderio di lavorare in modi alternativi con i pazienti sarebbero già stati sufficienti a rendere questo congresso imperdibile, ma la main relation di Steve Hayes, fondatore dell’Acceptance and Commitment Therapy, ne ha definito l’unicità. È stato emozionante ascoltare il professore che, con la semplicità che lo contraddistingue, ha spiegato come è necessario occuparci del benessere infantile, considerando il mondo attuale in cui i bambini vivono, in continua trasformazione. Secondo Hayes, è necessario reinventarci ogni giorno, senza perdere mai l’entusiasmo e la passione per il nostro lavoro: “Il mio messaggio per voi è quello di guardare alla scienza della flessibilità psicologica, – ha detto – ma anche a come questa possa rendere noto ciò che già conoscete, ovvero portare amore a voi stessi; anche quando è difficile, – ha aggiunto – vi aiuterà a portare amore nel mondo nel modo in cui volete portarlo nel mondo, perché l’amore non è ogni cosa, l’amore è l’unica cosa”. Parole che costituiscono una bussola che potrà guidarci e indirizzare i nostri valori nella professione di terapeuta.
Non sono mancati i momenti di convivialità ed è sempre bello osservare come a fare ancora più grande il valore di molti colleghi stimati sia la capacità di sapersi prendere con leggerezza, di appassionarsi e divertirsi: un grande valore aggiunto al mestiere del terapeuta, soprattutto quando ci si trova di fronte a piccoli e giovani pazienti. Il senso di appartenenza a questo gruppo io l’ho sentito, è stato bello ritrovare colleghi che per vie diverse hanno fatto parte del mio percorso e vedere come tutte le strade si ricongiungono in una rete coesa di collaboratori preziosi, che parlano la stessa lingua, che ogni giorno si impegnano a perseguire l’obiettivo di favorire il benessere e migliorare la qualità di vita di bambini e adolescenti. I dati sulla sofferenza psicologica in età evolutiva, condivisi anche durante il convegno, sono purtroppo allarmanti ed è importante dare maggiore rilievo a questa tematica perché conoscere e condividere tecniche sempre più aggiornate può permetterci, in tempo reale, di intervenire sulla vulnerabilità storica degli adulti di domani. Queste sono occasioni davvero preziose e mi auguro che il successo di questa prima edizione possa incoraggiare la scelta di rendere il congresso SITCC per l’età evolutiva un appuntamento fisso. E intanto arrivederci a Bari per il congresso SITCC di settembre 2023!

Foto di Nothing Ahead:
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Prevenire la sofferenza in età evolutiva

di Giordana Ercolani

Nuove prospettive e linee di intervento al Congresso Intermedio SITCC 2022      

Metti una società scientifica e professionale con oltre 2000 soci che si occupano di psichiatria, neuropsichiatria infantile, psicologia clinica e psicoterapia. Una tradizione di quasi 40 anni di lavoro dedicato all’approfondimento di aspetti teorici, clinici e applicativi nell’approccio cognitivo comportamentale. Un gruppo di colleghi che in questa società scientifica esprimono il loro particolare interesse sulla psicoterapia dell’età evolutiva.
Aggiungi un programma scientifico ricchissimo, che in tre giornate ha offerto: tre workshop dal taglio pratico su modelli specifici di intervento in età evolutiva; due tavole rotonde sul tema dei disturbi specifici dell’apprendimento e dei disturbi di personalità, in un’ottica di sviluppo e nell’arco di vita; la main relation del prof. Steven C. Hayes, ideatore e co-sviluppatore dell’Acceptance and Commitment Therapy; sei simposi paralleli in cui sono stati presentati lavori clinici e di ricerca relativi all’applicazione della terapia cognitivo comportamentale (CBT) in età evolutiva.

Infine, immagina la tanta voglia di stare insieme e di confrontarsi dopo un lungo periodo di pandemia e la location suggestiva di una città sul mare come quella di Ancona: il risultato è senza dubbio un’esperienza positiva. Così è stato il Congresso Intermedio SITCC 2022 intitolato “La terapia Cognitivo Comportamentale in età evolutiva: nuove prospettive e linee di intervento”.

Grazie al lavoro svolto dal comitato scientifico, rappresentato dalle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva APC-SPC e la Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva SBPC, per tutti i soci è stato possibile partecipare al primo congresso SITCC dedicato interamente all’età evolutiva. L’imbarazzo della scelta sui panel da seguire è stato costante, ma al tempo stesso l’indecisione è stata piacevolmente modulata dalla soddisfazione nel vedere così tanti terapeuti distribuiti nelle aule e dalla possibilità di confrontarsi con colleghi che avevano seguito simposi diversi dai propri. Sono stati, infatti, davvero tantissimi gli spunti di riflessione da cogliere durante le tre giornate di lavoro, nella comune convinzione che, grazie a una vincente integrazione tra scienza, pratica clinica e creatività, sia possibile intervenire nel percorso di vita dei nostri giovani pazienti prima che diventino degli adulti sofferenti. A partire dalla giornata di workshop, si è potuto sperimentare, ad esempio, quanto con la Theraplay si possa avere accesso al mondo interno di bambini e adolescenti con attività che apparentemente sembrano “solo” ludiche. Ciò avvalora ulteriormente quanto una puntuale rappresentazione del funzionamento del paziente nella mente del suo terapeuta, unita a un razionale strategico che ne tenga conto, siano elementi fondamentali in grado di trasformare una “semplice” pratica di confronto giocoso in una preziosa occasione di consapevolezza, elaborazione della sofferenza e cambiamento. Allo stesso modo, proseguendo con i simposi e le tavole rotonde, è stato possibile constatare, a conferma di quanto già riscontrabile nella pratica clinica quotidiana, come quei bambini e ragazzi che fin dai primi anni di vita si trovano costretti a confrontarsi con una vulnerabilità neuropsicologica crescano costruendo una immagine di sé stessi e del mondo attorno strettamente vincolata a esperienze di svantaggio in molti domini di vita. Il risultato è una marcata ricaduta negativa sull’immagine di sé e sulle relazioni interpersonali, spesso origine di sofferenza psichica che, se trascurata o considerata solo marginalmente, li porterà con grande probabilità ad essere degli adulti ancor più problematici. Riassumere tutto in poche righe è davvero un’impresa impossibile, non resta che aspettare il prossimo congresso organizzato dai colleghi dell’area di Interesse sulla Psicoterapia dell’Età Evolutiva e parteciparvi, così da essere ancora più numerosi e alimentare uno scambio scientifico sempre più stimolante.

Foto di Artem Podrez:
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Tutti i colori del Congresso SITCC

di Rosaria Monfregola

Report dell’’evento ad Ancona sull’età evolutiva

Quest’anno è stata Ancona, la città dei due soli, a ospitare il congresso intermedio SITCC, che si è svolto a dicembre; nell’intero weekend non è stato possibile vedere i due soli (l’alba e il tramonto sul mare) a causa di forti piogge, ma l’ultimo giorno l’immagine di un arcobaleno sul mare ancora riaffiora nella mia mente, a suggellare l’esperienza di questo congresso.

In apertura gli organizzatori forniscono qualche dato dalle sfumature grigiastre: “Si consideri che la metà degli adulti con una patologia psichiatrica hanno un esordio prima dei 14 anni” (Rapporto dell’OMS del 2021) e “in Italia circa 400.000 minori sono in carico ai servizi sociali, di cui 77.000 per maltrattamento” (Rapporto CISMAI del 2021). Queste solo alcune ragioni a favore di un congresso incentrato sulla psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, sottolineando l’importanza dell’intervento terapeutico in età precoce. E con l’avvio dei lavori inizia a colorarsi il panorama congressuale.

Uno dei colori è rappresentato dal confronto tra professionisti su tematiche specifiche. Ad esempio, nella prima tavola rotonda, con focus sui disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e sulle comorbilità psichiatriche, si è parlato dell’importanza della diagnosi esplicativa nelle comorbilità dei DSA, delle co-occorrenze con i disturbi esternalizzanti che rappresenta un importante fattore di rischio in età evolutiva. Nella seconda tavola rotonda, incentrata su disturbi di personalità, prodromi e modelli di intervento, i colleghi hanno condiviso l’importanza di rintracciare i precursori di rischio e i fattori protettivi per uno sviluppo armonico della personalità in età evolutiva, ma soprattutto la necessità di effettuare una diagnosi precoce. Di grande rilevanza, ad esempio, il contributo sui comportamenti suicidari e l’autolesività non suicidaria in adolescenza.

Un altro colore di questo congresso è dato dall’esplicazione di numerosi modelli di intervento presentati nei workshop, nella presentazione di casi clinici, oppure proposti in forma descrittiva nei vari simposi: per citarne alcuni, si pensi alla Trauma Focused Therapy (TF-CBT) che ha dominato il simposio sul trauma, al Modello a Tre assi (TAM) esposto nel simposio sull’Adolescenza, o al Cool Kids Program, il modello scopistico presentato in più di un lavoro o un protocollo di promozione del benessere volto al miglioramento della qualità di vita nei ragazzi con DSA.

L’esperienzialità è stata una tinta accesa dei tre workshop in parallelo che hanno introdotto nell’applicazione di modelli specifici di intervento. Nel workshop “La Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi da tic e della Sindrome di Tourette”, la dott.ssa Monica Mercuriu ha presentato il modello di terapia cognitivo comportamentale integrata (CBTI), arricchito da video e vignette cliniche. Il fare esperienza di un’esemplificazione di trattamento in diretta, mediante collegamento online con un giovane paziente con sindrome di Tourette, è stato un momento prezioso per toccare con mano l’applicazione dell’Habit Reversal Training (H.R.) e dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP), tecniche evidence based per la sintomatologia ticcosa.

Non sono mancati i lavori di ricerca che hanno consentito di portare dati di efficacia nei diversi ambiti di applicazione della terapia cognitivo comportamentale in età evolutiva.

Un nuovo colore è stato dato dalle nuove prospettive, tra le quali quella proposta dall’ospite internazionale, il prof. Steven C. Hayes: l’Extenden Evolutionary Meta-Model (EEMM), un approccio evolutivo basato sui processi, che attenziona la natura multidimensionale e multilivello del funzionamento umano. Oltre alle sei dimensioni psicologiche, l’autore cita i livelli biofisiologici e socioculturali osservabili nei processi di cambiamento.

Infine, un tocco di luminosità è stato dato dalla condivisione con i colleghi: nei coffee break e nel corso dell’immancabile e briosa cena sociale, il confronto è stato quel quid in più che ha permesso la condivisione di idee e l’arricchimento della rete di relazioni.

È con un arrivederci a Bari 2023 (save the date: 21-24 settembre) che si è concluso questo congresso SITCC!

 

Foto di Alexander Grey:
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La salute del sonno nell’età evolutiva

di Debora Meneo, Carlo Buonanno e Chiara Baglioni

Effetti e rischi dei cambiamenti nel pattern sonno-veglia nell’età dello sviluppo e dell’adolescenza

Il sonno è un processo psicofisiologico necessario per la nostra sopravvivenza, regolato dal sistema nervoso centrale e che occupa circa un terzo della nostra vita. Nei primi anni di vita passiamo più tempo dormendo che svegli e fino alla fine dell’adolescenza abbiamo bisogno che il nostro sonno occupi uno spazio importante della giornata per poter ottenere un buon funzionamento a livello mentale e fisico. Durante l’età dello sviluppo, infatti, i cambiamenti nel pattern sonno-veglia si associano ai progressi nella maturazione cerebrale. Nonostante l’importanza del sonno per lo sviluppo, le problematiche a esso associate sono diffuse in età pediatrica. Infatti, la maggior parte dei bambini apprende ad addormentarsi da solo attraverso associazioni positive create all’addormentamento dalle interazioni con i genitori. I disturbi comportamentali del sonno sono molto frequenti nell’età dello sviluppo e riguardano circa il 30% dei bambini e il 10% degli adolescenti. Il trattamento di psicoterapia a orientamento cognitivo comportamentale è indicato come intervento di prima linea per i disturbi comportamentali del sonno in tutte le età. La terapia, basata su ampia evidenza empirica, include una famiglia di tecniche e strategie dirette a modificare credenze e atteggiamenti relativi al sonno. L’intervento è diretto esclusivamente ai genitori quando i bambini sono molto piccoli, può coinvolgere il bambino in età scolare e si rivolge principalmente al ragazzo o alla ragazza durante l’adolescenza. La problematica più prevalente è il disturbo di insonnia, che si presenta come una difficoltà di inizio o di mantenimento del sonno, o di risveglio precoce, associata a un disagio rilevante durante il giorno. Secondo i criteri diagnostici internazionali (DSM-5, APA, 2013 e Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno, AASM, 2014), nell’età evolutiva il disturbo di insonnia si può manifestare anche attraverso una resistenza ad andare a dormire negli orari indicati dai genitori, o una capacità selettiva di iniziare e/o riprendere il sonno solo in alcune condizioni, come per esempio esclusivamente se presente il genitore. Dato che gli orari di sonno dei bambini sono spesso definiti dalla famiglia, può capitare che il disturbo di insonnia si associ a un disturbo del ritmo circadiano. L’interazione tra un sonno discontinuo e di scarsa qualità, con orari irregolari o non appropriati rispetto al ritmo solare e sociale e con una quantità di sonno ridotta, rappresenta un problema sempre più diffuso. In generale, è stata osservata una tendenza verso un addormentamento tardivo in età pediatrica: i bambini sono spesso messi a letto più tardi rispetto a quanto il loro orologio circadiano permetterebbe normalmente; questo, a sua volta, contribuisce a un altro trend verso la riduzione della durata del sonno nei bambini. Durante lo sviluppo, il bisogno di sonno è più alto che in età adulta (dalle 9-11 ore in età scolare alle 8-10 ore in adolescenza). Tuttavia, bambini e ragazzi nel mondo occidentale riportano una tendenza a dormire meno rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida internazionali. Dati precedenti all’insorgenza della pandemia da Covid-19 nella popolazione italiana hanno mostrato come bambini e adolescenti italiani tendono ad andare a dormire circa un’ora più tardi in confronto ai coetanei del Nord Europea o degli Stati Uniti e a riportare una quantità del sonno minore rispetto al loro bisogno fisiologico. Dati raccolti durante il periodo di pandemia in Italia hanno mostrato un’allarmante prevalenza di sintomi di insonnia nei bambini più piccoli, nei bambini in età scolare e negli adolescenti. Tuttavia, definire quando un sonno insufficiente diventa disfunzionale in questa fase di vita può rilevarsi operazione non semplice. La maggior parte degli studi sul sonno nei bambini si è focalizzata su una singola dimensione, come la durata appropriata per l’età o la presenza di difficoltà nell’addormentamento. Nel 2014, prendendo in considerazione l’età adulta, Daniel Buysse ha proposto di definire cos’è un sonno sano in un’ottica multidimensionale. Le dimensioni sono: soddisfazione, livello di vigilanza diurna, tempo del sonno, efficienza e durata. Ognuna di queste dimensioni è risultata connessa alla salute e alterazioni in ognuna di esse si associano a esiti negativi dal punto di vista del funzionamento della persona e della salute fisica e mentale. Integrando il concetto di salute del sonno proposto da Buysse nel 2014 e nell’applicarlo ai bambini, Donald Meltzer e colleghi nel 2021 aggiungono una sesta dimensione della salute del sonno in età pediatrica: i comportamenti relativi al sonno. All’interno di tali comportamenti rientrano sia la regolarità del pattern di sonno che le routines all’addormentamento. Un pattern di sonno irregolare, segnato da un’alta variabilità in orario e durata del sonno da giorno a giorno, è risultato nocivo per la qualità del sonno dei bambini e associato a problematiche comportamentali. Una routine consistente aiuta a rafforzare la normale regolazione del ciclo sonno-veglia; inoltre, l’uso di strategie di addormentamento sotto forma di routine in accordo alla regolazione del sonno aiutano a creare un momento interattivo che nutre la capacità del bambino di addormentarsi in modo indipendente. Routines che non sono consistenti o non compatibili con l’igiene del sonno possono, invece, alimentare la resistenza all’addormentamento, un orario di sonno tardivo e, di conseguenza, una durata del sonno ridotta. Per esempio, molti bambini sono esposti alla televisione o a dispositivi elettronici in generale prima o durante l’addormentamento, con un conseguente ritardo dell’orario di sonno e della sua durata. Queste abitudini possono associarsi a livelli di attivazione psicofisiologica che sono incompatibili con il sonno. È importante sottolineare che i disturbi del sonno in età pediatrica sono una problematica che ha effetto su tutto il sistema familiare. Molti genitori sviluppano ansia e preoccupazione per il sonno dei propri figli e questo, a sua volta, incide sulla loro capacità di gestire lo stress e di avere un buon riposo. In una recente intervista apparsa su The Guardian, il dottor Dimitri Graviloff, direttore del servizio per i disturbi del sonno in età pediatrica dell’Oxford University Hospital, sottolinea come l’apprensione dei genitori verso la salute del sonno dei bambini abbia portato molti a richiedere l’aiuto di consulenti privati, che non sempre hanno una formazione professionale adeguata. Infatti, come il dottor Graviloff avverte, si tratta di un’industria non regolamentata, all’interno della quale non ci sono standard di formazione per i consulenti o di scientificità per gli interventi o consigli erogati. Il prezzo che molti genitori pagano è alto, non solo sul versante economico, ma anche sul versante delle possibili ripercussioni di interventi non basati sull’evidenza sulla salute del sonno dei bambini. È quindi sempre più importante avere informazioni basate sull’evidenza da comunicare alle famiglie e includere i bambini stessi, quando l’età lo permette e il prima possibile, nell’educazione sul sonno, in modo da fornire loro strumenti di auto-regolazione che potranno usare anche in futuro per prevenire problematiche di sonno a lungo termine.

Per approfondimenti
Bacaro, V., Chiabudini, M., Buonanno, C., De Bartolo, P., Riemann, D., Mancini, F., Baglioni, C. (2021b). Sleep Characteristics in Italian Children During Home Confinement Due to Covid-19 Outbreak. Clinical neuropsychiatry, 18(1), 13–27. https://doi.org/10.36131/cnfioritieditore20210102

Bacaro, V., Gavriloff, D., Lombardo, C., & Baglioni, C. (2021a). Sleep Characteristics in the Italian Pediatric Population: A Systematic Review. Clinical neuropsychiatry, 18(3), 119–136.  https://doi.org/10.36131/cnfioritieditore20210302

Buysse D. J. (2014). Sleep health: can we define it? Does it matter?. Sleep, 37(1), 9–17. https://doi.org/10.5665/sleep.3298

Meltzer, L. J., Williamson, A. A., & Mindell, J. A. (2021). Pediatric sleep health: It matters, and so does how we define it. Sleep medicine reviews, 57, 101425. https://doi.org/10.1016/j.smrv.2021.101425

Articolo The Guardian: https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2021/may/29/losing-my-mind-can-baby-sleep-gurusreally-help-exhausted-parents

Foto di Matheus Bertelli:
https://www.pexels.com/it-it/foto/ragazza-che-si-appoggia-la-testa-sulla-sua-mano-mentre-chiude-gli-occhi-573253/

Essere genitori di un bambino autistico

di Federica Codini

Strategie di Coping e sviluppi futuri

L’esperienza della disabilità è un terremoto emotivo che sconvolge l’esistenza di una persona che si vede costretta a riscrivere i piani della propria vita. Il sogno di avere quel figlio perfetto svanisce nel nulla e da questo momento a quello di accettazione della disabilità intercorre un tempo variabile per ciascuno: nel mezzo troviamo senso di colpa, vergogna, rabbia, impotenza, depressione che si alternano tra loro e, come in una danza, si danno il cambio con un nuovo slancio propositivo a ogni stadio evolutivo del figlio.

Il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) è un disturbo del neurosviluppo a insorgenza precoce, caratterizzato da difficoltà nell’interazione e nella comunicazione sociale e dalla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati.

I caregiver, coloro che se ne prendono cura, possono trovarsi a dover fronteggiare richieste di natura pratica, psicologica e sociale.

Le sfide che i caregiver di persone con ASD affrontano più frequentemente sono: stress, impatti negativi sulle relazioni, difficoltà finanziarie, problemi di salute fisica e mentale. Inoltre, questi genitori riferiscono una minore soddisfazione matrimoniale e hanno circa il doppio delle probabilità di divorziare rispetto ai genitori i cui figli non hanno ASD o che hanno altre disabilità. Il 60% delle madri di un bambino affetto da ASD non ha potuto proseguire la propria carriera professionale, mentre quelle rimaste occupate hanno riferito di orari di lavoro ridotti e perdita di guadagno. Con il termine “stress” si intende l’esito di un processo di valutazione ed emerge nel momento in cui le richieste esterne (ambiente) e/o interne (della persona) mettono a dura prova le risorse dell’individuo. Per far fronte allo stress percepito, è possibile prendere in considerazione le varie strategie di coping e cioè le modalità con cui le persone affrontano le diverse situazioni.

Una revisione della letteratura sulle strategie di coping ha messo in luce come la distrazione, la ristrutturazione cognitiva, la minimizzazione e l’accettazione possano aiutare un individuo ad adattarsi a un’esperienza stressante.

È stato osservato come in mancanza di risorse esterne, al fine di far fronte alle varie sfide quotidiane, i caregiver facciano affidamento alle risorse interne. Tale considerazione ci spinge a fare luce sul come implementare strategie di coping utili a incrementare risorse interne dei caregiver. Una delle strategie di coping prese in considerazione dalla psicologa britannica Deborah Lancastle è il coping di rivalutazione cognitiva, che si basa sulla capacità di rivalutare una situazione in un’ottica più positiva e/o neutra. Dato che le situazioni stressanti causano una maggiore reattività del sistema nervoso autonomo e reazioni fisiche spiacevoli, come battito cardiaco accelerato e affaticamento, è plausibile ipotizzare che le emozioni positive possano ridurre l’impatto fisiologico del sentirsi tristi o arrabbiati. Lo studio rileva risultati in linea con quelli della psicologa statunitense Susan Folkman, in cui si osserva come il coping di rivalutazione cognitiva sia correlato a una maggiore resilienza, a emozioni più positive e a un minor senso di carico di cura, alimentando quindi sempre più l’attenzione allo sviluppo di un programma che veda come centrale un intervento nel supportare i caregiver nell’uso efficace di tale strategia di coping.

Per approfondimenti

Deborah Lancastle ID1 *, Joanna Hill1 , Susan Faulkner1 , Alecia L. Cousins2. The stress can be unbearable, but the good times are like finding gold”: A phase one modelling survey to inform the development of a self-help positive reappraisal coping intervention for caregivers of those with autism spectrum disorder. PLoS uno. 2022; 17(3)

Folkman S. Stati psicologici positivi e gestione di forti stress. Soc Sci Med . 1997; 45 ( 8 ):1207–21. doi: 10.1016/s0277-9536(97)00040-3

Moskowitz J. T, Folkman S. Collette L. Vittinghoff E. Affrontare e umore durante il caregiving e il lutto correlati all’AIDS . Ann Behav Med . 1996; 18 ( 1 ):49–57. doi: 10.1007/BF02903939

 

Foto di Polina Kovaleva:
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CBT del Disturbo di Insonnia

di Chiara Baglioni e Carlo Buonanno

Presentazione di un manuale internazionale per clinici e introduzione di un nuovo servizio di psicoterapia del sonno

Da Agosto 2022 è disponibile un nuovo manuale in lingua inglese sul trattamento cognitivo comportamentale per il disturbo di insonnia, pubblicato dalla casa editrice Wiley Blackwell. Il manuale è diretto ai clinici e offre informazioni teoriche e pratiche sui protocolli di intervento per i pazienti con disturbo di insonnia, con un’attenzione alle diverse fasce d’età, alle differenze di genere e agli adattamenti del trattamento che sono necessari per alcune popolazioni cliniche specifiche.

Nonostante l’insonnia sia uno dei disturbi più diffusi nella popolazione generale, si associ a costi diretti e indiretti allarmanti e a elevati rischi per la salute fisica e mentale, studi epidemiologici indicano che l’offerta clinica attuale in Europa è scarsa e, quando presente, il trattamento farmacologico è ad oggi la modalità di intervento dominante. Questo dato è in contrasto con quanto affermano le linee guida europee sulla valutazione e il trattamento del disturbo di insonnia (Cognitive-Behaviour Treatment for Insomnia – CBT-I) che indicano la terapia cognitivo comportamentale come l’intervento di prima linea per il disturbo di insonnia cronica. Il manuale fa parte delle iniziative dell’Accademia Europea per il Trattamento Cognitivo Comportamentale dell’Insonnia (European CBT-I Academy). L’Accademia è formata da un gruppo di esperti Europei sulla psicoterapia dei disturbi del sonno ed è patrocinata dalla Società Europea per la Ricerca Sul Sonno (European Sleep Research Society, ESRS) e dalla Rete Europea per la Ricerca sul disturbo di Insonnia (European Insomnia Network). L’Accademia è stata fondata nel 2018 e persegue i seguenti obiettivi: 1) promuovere la diffusione del trattamento cognitivo- comportamentale per il disturbo di insonnia; 2) monitorare un sistema europeo omogeneo e standardizzato per la formazione al trattamento e per l’accreditamento di centri nazionali che forniscono un training adeguato.

Il manuale è stato curato dalla Prof.ssa Chiara Baglioni (Roma, IT), dal Prof. Colin A. Espie (Oxford, UK) e dal Prof. Dieter Riemann (Freiburg i. Br., GER). Gli autori sono tutti membri dell’Accademia. Il testo si divide in sei sezioni. Nella prima parte è descritto il protocollo standard che include diverse tecniche di intervento, la cui efficacia è stata ampiamente dimostrata sulla base dei dati riportati in letteratura. Inoltre, sono approfonditi i meccanismi psicofisiologici attraverso cui il trattamento agisce. Infine, si evidenzia l’utilità di alcuni strumenti di misura e vengono fornite informazioni sul trattamento farmacologico del disturbo. Nella seconda sezione del manuale è descritto l’intervento clinico nei bambini e negli adolescenti, con indicazioni relative ai protocolli di parent training e alle procedure ad hoc per la popolazione pediatrica. Successivamente, vengono approfonditi aspetti specifici del trattamento cognitivo-comportamentale per il disturbo di insonnia nel ciclo di vita della donna e nella popolazione con più di 65 anni. Infine, è discussa l’utilità del trattamento e dei suoi possibili adattamenti per i lavoratori con turni notturni e per gli operatori sanitari che devono affrontare situazioni con elevati livelli di stress. La terza sezione del manuale è dedicata al trattamento nei pazienti con disturbo di insonnia in comorbilità con altro disturbo mentale, somatico o del sonno. Nella quarta parte del testo, viene dedicata attenzione all’applicazione di protocolli clinici diretti a lavorare sulla regolazione delle emozioni nei pazienti con disturbo di insonnia. La quinta sezione approfondisce il possibile ruolo dei medici di base e degli interventi online per il disturbo di insonnia e le caratteristiche del trattamento di gruppo. Infine, in questa parte gli autori hanno dedicato attenzione alla cura del disturbo nella sua fase precoce, in cui meccanismi che tendono a stabilizzare la problematica in un disturbo cronico ancora non sono evidenti. Il manuale si conclude con una sezione dedicata ai criteri di qualità per la formazione dei clinici nella cura del disturbo di insonnia.

In seguito alla pubblicazione del manuale e in linea con gli obiettivi dell’Accademia Europea per il Trattamento Cognitivo Comportamentale del Disturbo di Insonnia è stato istituito un nuovo servizio di

psicoterapia dei disturbi del sonno. Il servizio è rivolto a tutti coloro che soffrono di disturbi comportamentali del sonno, in particolare di disturbo di insonnia nell’arco delle diverse fasi dello sviluppo, a bambini e adolescenti, a persone con più di 65 anni, alle donne nel periodo perinatale e ai pazienti già in cura per altro disturbo psicologico. Viene offerto un intervento a distanza con colloqui online e l’uso di alcuni strumenti elettronici compilabili attraverso il sito internet creato appositamente. Ove richiesto, sarà possibile offrire il trattamento anche in presenza. Il servizio ha il patrocinio della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva (SPC).

Il servizio nasce da un’idea della Prof.ssa Baglioni, responsabile del servizio, e del Dott. Buonanno. Chiara Baglioni è Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi Guglielmo Marconi, ricercatrice presso il Dipartimento di Psichiatria e Psicoterapia dell’Università di Freiburg (Germania). È inoltre membro dello Steering Committee dell’Accademia Europea per il Trattamento Cognitivo-Comportamentale per il Disturbo di Insonnia (CBT-I). Carlo Buonanno è membro esperto dell’equipe per l’età evolutiva della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva (SPC) e didatta presso la stessa scuola e presso la Società Italiana di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC). Il servizio prevede la collaborazione con le Dott.sse Rossella Cascone, Chiara Mignona, Caterina Villirillo e Alessandra Iannucci. Tutti i membri dell’equipe sono psicoterapeuti a orientamento cognitivo-comportamentale.

Per approfondimenti:

Servizio di psicoterapia del sonno:
https://www.psicoterapiadelsonno.it/

Link al manuale per il trattamento cognitivo-comportamentale per il disturbo di insonnia:
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/9781119891192.ch24

Sito web della European CBT-I Academy:
https://esrs.eu/news/education/european-academy-for-cognitive-behavioral-treatment-of-insomnia-cbt-i/

Sito web della European Sleep Research Society, ESRS: http://www.esrs.eu/

Sito web della European Insomnia Network: https://esrs.eu/research-networks/european- insomnia-network/

Disturbi alimentari e memorie infantili

di Giulia Signorini

Esplorare le esperienze di vita precoci tramite l’impiego di tecniche immaginative

Restrizione calorica, abbuffate, condotte compensatorie (vomito autoindotto, utilizzo di lassativi, esercizio fisico eccessivo, etc.), pensiero massimamente focalizzato sul peso e sulla forma corporea, emozioni di vergogna, colpa, disgusto, ma anche ansia, rabbia (spesso inespressa) e solitudine… Il tutto accompagnato da una grande ambivalenza nei confronti del trattamento e del cambiamento: questi sono i termini che descrivono solitamente i disturbi del comportamento alimentare (DCA), per lo meno in prima battuta.

Sì perché il comportamento alimentare può essere letto non solo come la chiara espressione di un disagio clinico, ma anche come un modo (e un mondo) attraverso cui l’individuo è riuscito a trovare un equilibrio, per quanto disfunzionale sia nel lungo termine, una soluzione che gli consente di sopravvivere al meglio delle sue attuali consapevolezze e risorse. Sopravvivere a che cosa? Questa è la domanda interessante. E qui entra in gioco l’indagine del terapeuta: “Cosa c’entrano i miei genitori con tutto questo? Io non ho problemi con loro, ma con il cibo!” – plausibile obiezione dei pazienti quando vengono rivolte loro domande relative all’infanzia e alla relazione con le loro figure di accudimento. Accanto, infatti, a fattori temperamentali, fisici e socioculturali, le prime interazioni con le figure di accudimento primarie e l’ambiente familiare giocano un ruolo decisivo nello sviluppo dei disturbi alimentari (e nella psicopatologia in generale). Indagare le memorie infantili ha quindi molto a che fare proprio con l’individuo di oggi e i suoi problemi attuali, con ciò che in tempi “non sospetti” lui/lei ha imparato riguardo sé, il mondo, le relazioni, cosa ha valore e cosa non è importante.

In Schema Therapy, modello teorico e approccio terapeutico appartenente alla cosiddetta “terza ondata” del Cognitivismo, l’esplorazione dei contenuti relativi ai ricordi infantili ha come obiettivo l’identificazione dei bisogni emotivi non soddisfatti, a partire dai quali si formano gli schemi maladattivi precoci, che sottendono al funzionamento psicopatologico del paziente. Per questo tipo di indagine, ci si avvale anche di tecniche immaginative, attraverso le quali il terapeuta può sfruttare il grande potere dell’immaginazione umana e metterlo al servizio della terapia, sia in fase diagnostica (imagery diagnostico) sia in fase di trattamento (imagery with rescripting). Si tratta di tecniche potenti, da utilizzare dopo una specifica formazione, che consentono di bypassare filtri di natura cognitiva/razionale, solitamente attivi durante una narrazione verbale.

Proprio l’impiego dell’imagery diagnostico è stato oggetto dello studio condotto da Barbara Basile e colleghi, recentemente pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology. Il gruppo di ricerca ha coinvolto 49 pazienti affette da DCA (33 con diagnosi di Anoressia Nervosa e 16 di Bulimia Nervosa), ricoverate presso la casa di cura Villa Garda, in provincia di Verona, allo scopo di indagare i bisogni emotivi non soddisfatti legati a ricordi infantili. Gli autori erano interessati a capire, in particolare, se ci fossero dei bisogni infantili associati in modo specifico a particolari schemi (della paziente o del genitore, indagati attraverso specifici questionari self report) e anche a eventuali specificità di schemi o bisogni emotivi nell’Anoressia e nella Bulimia nervosa.

Lo studio ha rivelato che le esperienze negative infantili evocate durante la procedura di imagery riguardavano per la maggior parte dei casi la figura materna, evidenziando prevalentemente il non soddisfacimento dei bisogni di:

  • sicurezza e protezione, tipicamente legato a episodi di abusi fisici/sessuali/psicologici subiti dal paziente o forti litigi tra genitori in presenza del bambino – associato agli schemi di deprivazione e inibizione emotiva di entrambi i genitori e agli schemi di deprivazione emotiva e fallimento dei pazienti;
  • accudimento e cura: in relazione a momenti in cui uno o entrambi i genitori non erano in grado di occuparsi del bambino, abbandonandolo o non riuscendo a gestire una situazione negativa, mancando in stabilità e prevedibilità – associato agli schemi di dipendenza del paziente e pessimismo/negativismo da parte del padre;
  • espressione emotiva: tipico di quando vengono derise, ignorate o punite manifestazioni spontanee, o quando i bisogni altrui o le regole esterne sono considerate più importanti di quelle del bambino – associato allo schema di deprivazione emotiva da parte del padre.

Dalle descrizioni delle pazienti emerge una figura materna vulnerabile ai pericoli, prona all’autosacrificio, più abbandonica e allo stesso tempo più invischiata rispetto alla figura paterna, che, invece, è percepita come più inibita emotivamente e trascurante rispetto quella materna.

Inoltre, gli schemi individuali di invischiamento delle pazienti correlano con quelli materni di invischiamento, sottomissione e punizione. Proprio l’invischiamento, così come la vulnerabilità ai pericoli, potrebbe essere letto, secondo gli autori, come un modo disfunzionale di fornire protezione, limitando e scoraggiando lo sviluppo dell’indipendenza e dell’autonomia del bambino.

Per quanto riguarda le differenze tra gruppi diagnostici, i risultati dello studio hanno rivelato che i bisogni non soddisfatti di cura, accudimento e attaccamento sicuro sono significativamente associati solo alla diagnosi di Bulimia Nervosa, e che le pazienti di questo gruppo riportano maggiormente lo schema di autocontrollo insufficiente rispetto al gruppo di pazienti con Anoressia Nervosa.

Quali implicazioni per la pratica clinica?

I DCA hanno visto un vertiginoso aumento nel corso della pandemia: stando ai dati raccolti dall’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica (ADI), l’incidenza dei casi è salita di oltre il 30% tra febbraio 2020 e febbraio 2021.

L’indagine dei bisogni emotivi non soddisfatti attraverso l’imagery diagnostico può rappresentare un ottimo punto di partenza per esplorare gli schemi degli individui affetti da questo disturbo, a partire proprio dal senso che queste narrazioni hanno permesso di dare a esperienze infantili negative. In altre parole, più che all’evento realmente accaduto, attraverso queste esplorazioni, al terapeuta interessa identificare le storie (schemi) che il paziente ha imparato a raccontarsi per dare un senso a quanto accaduto. Questo permette poi di collegare gli schemi (es. “Sono un peso per gli altri”; “Non sono amabile”; “Quello che provo è sbagliato”) alle strategie di coping disfunzionali che il paziente con DCA mette in atto (restrizione, ipercontrollo, abbuffate, etc.) – per sopravvivere alla sofferenza indotta dagli schemi stessi – e di lavorarci in terapia più consapevolmente.

Come auspicano gli autori dello studio, infine, sarebbe interessante esplorare in future ricerche la possibilità di predire gli esiti del trattamento a partire proprio da specifici schemi individuali o genitoriali.

Per approfondimenti

Basile, B., Novello, C., Calugi, S., Dalle Grave, R., Mancini, F. (2021). Childhood Memories in Eating Disorders: An Explorative Study Using Diagnostic Imagery. Frontiers in Psychology, July (12), https://doi.org/10.3389/fpsyg.2021.685194

Simpson, S., Smith, E. (2020). Schema Therapy for Eating Disorders: Theory and Practice for Individual and Group Settings. Routledge Editore.

Young, J.E., Klosko, J.S.; Weishaar M.E. (2003). Schema Therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità. Edizione italiana a cura di A.Carrozza, N. Marsigli e G. Melli. Eclipsi Editore.

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