L’amore (im)perfetto

di Miriam Miraldi

Il disturbo ossessivo-compulsivo nella relazione sentimentale

Il Disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è, per sua natura, la psicopatologia del dubbio: il dubbio di non aver chiuso il gas, di aver lasciato aperta la porta di casa, di essere una persona immorale, di potersi essere contaminato, di poter aver danneggiato qualcuno.
Ma cosa succede quando il dubbio riguarda il proprio partner e il valore della stessa relazione sentimentale?

Accade che talvolta il pensiero ossessivo possa rivolgersi specificatamente a questo tema, portando la persona a interrogarsi e a ruminare per ore, domandandosi se il partner scelto sia davvero la persona giusta per sé, se si prova “il vero amore” o se la relazione sia realmente virtuosa, così “come dovrebbe essere”: parliamo in questo caso di disturbo ossessivo compulsivo da relazione o ROCD (Relationship Obsessive Compulsive Disorder).

Il dubbio sulla perfezione dell’amore spinge a gestire questi pensieri ossessivi con sfinenti richieste di rassicurazione (al partner, ma anche ad altre persone significative) e con controlli o checking di varia natura, che possono riguardare: 

  • il partner, controllando che sia disponibile, amorevole e premuroso, ma anche che sia sempre in ordine, socievole, performante e intelligente (sottoponendolo, per esempio, a verifiche estemporanee, test d’intelligenza, problemi di logica); 
  • sé stessi, valutando la forza dei propri sentimenti, monitorando continuamente se, per esempio, alla vista del partner “si prova ciò che si dovrebbe provare”, se si sentono le farfalle nello stomaco, se ci si emoziona quando si riceve un messaggino al cellulare dal partner o anche verificando – di contro – che non si provino tali emozioni per altre persone; 
  • la relazione, chiedendosi se è davvero profonda e valida, sottoponendola a continui confronti con relazioni di altre coppie conosciute e percepite come soddisfatte e felici, o addirittura paragonandola a un ideale di relazione che deriva da luoghi comuni, affermazioni sentite da altri, letture di romanzi o di riviste.A differenza delle altre forme di disturbo ossessivo compulsivo, che vedono la persona affrontare il problema più con sé stessa (pur richiedendo eccessive rassicurazioni ad altri sui propri dubbi e compromettendo talvolta, per questo, le relazioni), nel DOC da relazione c’è un forte impatto interpersonale diretto perché l’oggetto del dubbio è l’altro e la relazione con l’altro. Il partner può sentirsi sempre chiamato a dare conferme, controllato, giudicato, percependo di non essere all’altezza e sentendo che tutto ciò che fa per l’amato non è mai abbastanza, sperimentando vissuti di frustrazione che minano il buon andamento del rapporto sentimentale. Si attiva, dunque, un circolo vizioso: partendo dal dubbio che la relazione possa non essere “perfetta”, il soggetto può sottoporla a talmente tanti attacchi, test e verifiche, da stressarla e minarne la tenuta. Il dubbio è egodistonico: la persona stessa che lo vive non si sente in sintonia con questo tipo di pensiero; inoltre il soggetto percepisce di continuo autocritica ed emozioni negative, per lo più connesse da un lato alla colpa – sperimentata anche verso il partner, a causa delle continue allusioni di inadeguatezza mosse nei suoi riguardi – e dall’altro alla tristezza e alla delusione, rispetto al fatto che le cose non sono mai “come sarebbero dovute essere”. Il concetto di “bene perduto”, tipico dell’emozione di tristezza, corrisponde qui all’ideale di amore perfetto. Ad esempio Francesco, che già da tempo aveva pensieri ossessivi circa la bontà della sua relazione sentimentale, aveva talmente fantasticato su ciò che aveva sentito dire rispetto a come sarebbe dovuta essere la prima settimana da sposati, sviluppando una serie di credenze assolutistiche in merito, che fu poi profondamente deluso nel constatare che la compagna non gli avesse fatto almeno una sorpresa al giorno, che non gli avesse cucinato i suo i piatti preferiti o che non fossero stati sempre e costantemente in uno stato di totale e immutabile euforia. Questo lo aveva portato a ruminare più del solito sul dubbio che quella relazione non fosse quella giusta, facendolo sentire responsabile della potenziale infelicità propria (colpa verso di sé) e della partner (colpa verso l’altro). Lo psicologo e psicoterapeuta Gabriele Melli e colleghi, in una recente ricerca condotta nel 2018 su 124 soggetti con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo da relazione, hanno riscontrato che le convinzioni catastrofiche sull’essere nella relazione sbagliata sono predittori significativi del disturbo ossessivo compulsivo centrato sulla relazione (ROCD relationship-centered) e che, insieme alle preoccupazioni perfezionistiche, favoriscono il mantenimento dei sintomi del disturbo stesso; inoltre, queste persone mostrano una propensione a interpretare gli “errori” comuni che possono verificarsi in una rapporto (ad es. conflitto o incomprensione) come fallimenti, aumentando i dubbi e le preoccupazioni sulla bontà della relazione; per quanto riguarda invece il disturbo ossessivo compulsivo centrato sul partner (ROCD partner-focused), gli autori suggeriscono che le convinzioni più forti a esso associate sono le paure catastrofiche di essere nella relazione sbagliata: da un lato i pazienti descrivono la paura di rimpiangere di aver deciso di stare con il partner sbagliato (nell’idea che forse fuori, nel mondo, c’è un partner migliore in attesa); d’altra parte, temono di pentirsi qualora dovessero lasciare il partner con cui si trovano (nell’idea, cioè, che forse l’attuale partner sia il vero amore della vita).

    I ricercatori israeliani Guy Doron e Danny Derby, in uno dei loro studi sul tema, parlano di “amore contaminato” e per trattare questo disturbo propongono interventi di tipo cognitivo-comportamentale che vanno nella direzione dell’accettazione del “bene perduto”, ovvero accettazione della perdita dell’amore ideale in favore di uno reale, che non deve e non può essere perfetto in senso assoluto ma deve essere soddisfacente per chi lo vive, favorendo la capacità di includere ed accogliere anche elementi di imperfezione.

    Per approfondimenti:

    Melli, G., Bulli, F., Doron, G., & Carraresi, C. (2018). Maladaptive beliefs in relationship obsessive compulsive disorder (ROCD): Replication and extension in a clinical sample. Journal of obsessive-compulsive and related disorders18, 47-53.

    Doron, G., Derby, D. S., & Szepsenwol, O. (2014). Relationship obsessive compulsive disorder (ROCD): A conceptual framework. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders3(2), 169-180.

    Doron, G., Derby, D. S., Szepsenwol, O., & Talmor, D. (2012). Tainted love: Exploring relationship-centered obsessive compulsive symptoms in two non-clinical cohorts. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders1(1), 16-24.

L’essenziale è invisibile agli occhi

di Giuseppe Femia

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo relazionale

Il disturbo ossessivo di tipo relazionale sembra essere diventato un fenomeno sempre più diffuso e manifesto. Nello specifico, tale condizione viene definita R-OCD: Relationship Obsessive-Compulsive Disorder e richiede incessanti controlli a causa di pensieri intrusivi e ricorrenti, al punto da interferire nel funzionamento globale.

La ruminazione, meccanismo tipicamente implicato nei ragionamenti di pensiero prudenziale, si concentra sulla qualità dei propri rapporti affettivi e sul dubbio circa le proprie relazioni amorose.

I rapporti diventano terreno fertile per pensieri ricorrenti che angosciano e attivano sensazioni di ansia e sofferenza generalizzata.

I pensieri tipici potrebbero essere: “Se non fossi innamorato? Se non fosse la persona giusta per me? E se stessi scegliendo male? Se non sono così sicuro, allora dovrei lasciarla/o? Non dovrei avere questi dubbi? Se gli facessi male? Forse non è il caso di creare un legame?

Queste domande richiedono continui controlli sulla relazione, su se stessi e sulle proprie emozioni.

Si assiste a una quasi inversione del sentire emotivo con una continua vigilanza cognitiva sui propri sentimenti, sulle sensazioni, comprese quelle concernenti la sessualità.

Questo tipo di fenomeni innescano processi di ragionamento emozionale che selezionano in modo arbitrario e selettivo dettagli, ricordi e sensazioni che andrebbero a confermare il rischio che la relazione non sia quella giusta.

Ad esempio, ci si concentra su ricordi in cui le interazioni amorose non sono state brillanti o momenti di attrazione anche solo transitoria per un’altra persona, oppure paragoni con rapporti precedenti, cercando di misurare il coinvolgimento emotivo attuale paragonato a quello del passato con un altro partner o durante i momenti iniziali di innamoramento. Alla base si rintracciano anche meccanismi dicotomici di pensiero in cui non si riesce a trovare una via di mezzo, una sorta di visone della coppia o bianca (ideale-perfetta) o nera (distruttiva, noiosa, deludente).

Tali manifestazioni spesso bloccano le persone, inibiscono l’avvio di una buona capacità di entrare in contatto con gli altri e la costruzione di legami di scambio reciproco e autentico, riducendo così la spontaneità delle interazioni.

Talvolta capita di trovarsi incastrati in relazioni non soddisfacenti per l’incapacità di chiudere il rapporto in corso, nonostante sia disfunzionale a causa della continua incertezza circa la scelta giusta o sbagliata su cui si “tribola” senza sosta.

Sembrerebbe instaurarsi una relazione con tratti di dipendenza emotiva e vissuti di colpa esperiti.

In particolare sembra essere presente il timore di poter ferire gli altri, un senso di colpa altruistico che anticipa il dolore che si potrebbe arrecare al partner: “Potrei farla/o stare male, potrebbe impazzire a causa mia”.

Alle volte capita di dover mettere sotto controllo anche la reazione dell’altro di fronte a tematiche di chiusura e abbandono, o si presenta l’impulso di dover chiudere la relazione, per sfuggire all’insorgenza di stati ansiosi incontrollabili. Il distanziamento viene dapprima prodotto per controllare i propri dubbi e, in un secondo momento, interpretato erroneamente come la conferma di come la relazione non funzioni (confirmation bias).

Spesso i dubbi riguardano anche il partner e l’attenzione si concentra su difetti fisici che non convincono, caratteristiche positive e negative: “Non mi piace una sua espressione! Forse non è abbastanza intelligente? Potrebbe non essere capace di costruire una famiglia!”; “È dolce, è una buona persona”.

In altri casi, si mette in atto una ricerca di rassicurazione coinvolgendo gli amici oppure un meccanismo di controllo “nascosto” attuato paragonando il proprio rapporto a quello di altre coppie.

Alcuni potrebbero arrivare a testare la propria fedeltà espandendosi a piattaforme sociali di incontri, per scongiurare la loro capacità di essere responsabili e ancora innamorati, o frequentare ex partner per confermarsi come la persona attuale sia migliore e più adatta.

Spesso questa sintomatologia si inserisce in momenti di transizione importanti in cui si assiste a un cambiamento di vita e di ruolo del soggetto coinvolto, in cui si attraversa un periodo di crescita e un aumento di responsabilità, per esempio nei momenti di passaggio da fidanzati a sposati, da compagno/a a marito/moglie o in situazioni in cui si ha la percezione di poter tradire le aspettative degli altri.

Da una valutazione qualitativa, in fase di assessment, le persone che presentano questa tipologia di Doc potrebbero presentare punteggi elevati ai test che valutano la sensibilità verso la responsabilità (Guilt Inventory) in associazione a punteggi elevati nell’area che registra il funzionamento ossessivo (sotto scala DOC).

Inoltre, potrebbero esibire temi di scarsa autostima e ambivalenza nei processi di adattamento interpersonale e funzionamento affettivo/relazionale; essi sembrano rilevabili mediante un’attenta analisi dei loro protocolli MMPI.

In questo test della personalità nei soggetti con Doc relazionale, si potrebbero rintracciare punteggi relativi a una scarsa capacità assertiva, vissuti di demoralizzazione secondaria, tematiche di dipendenza/compiacenza verso il mondo ambiente con un bisogno importante di conferme e rassicurazioni da parte degli altri.

Mi piace, e credo possa essere utile, l’idea di chiudere questa breve descrizione proponendo una vignetta che rappresenta un passo cruciale del racconto “Il piccolo principe”.

Il tema proposto nell’immagine sembra rappresentare in modo delicato e chiaro il tema del legame e la paura della responsabilità relazionale: “addomesticare”.

Proprio questo concetto preoccupa le persone che soffrono di un disturbo ossessivo a tematica relazionale.

La volpe dice: “Diventerai responsabile per sempre di quello che hai addomesticato, tu sei responsabile della tua rosa”.

Il personaggio della volpe sembra dunque recitare davvero alcuni timori nucleari presenti nella dimensione del Doc relazionale. In qualche modo reclama la responsabilità rispetto alla vulnerabilità altrui, rappresentata dalla rosa nella metafora, e dunque nei confronti del proprio partner.

Infine, anche la frase divenuta condivisa e collettiva “L’essenziale è invisibile agli occhi” potrebbe suggerire, a chi presenta i sintomi sopra descritti, come il continuo monitoraggio cognitivo dei pensieri non garantisca il successo rispetto al chiarimento circa le proprie emozioni, anzi, al contrario, potrebbe offuscare ulteriormente la visione dei propri sentimenti, creando confusione, incrementando gli interrogativi sulle relazioni, innescando ragionamenti viziati da vissuti di ansia e angoscia.

 

Per approfondimenti:

Abramowitz J. S., McKay D., Taylor S., Clinical handbook of obsessive-compulsive disorder and related problems. JHU Press, 2008.

De Saint-Exupéry A., Il Piccolo Principe, Bompiani, 2000.

Doron G., Derby D.S., Szepsenwol O., Relationship-related obsessive-compulsive phenomena: The case of relationship-centred and partner-focused obsessive compulsive symptoms, 2012.

Doron G., Derby D.S., Szepsenwol O., Talmor, D., Flaws and all: Exploring partner-focused obsessive-compulsive symptoms. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders, 2012, 1(4), 234-243.