Le storie e il potere di aiutare chi le scrive e chi le legge

a cura di Giordana Ercolani

Breve recensione del testo “Natalina teneva le fila. Il ponte rosso e le storie che curano.” di Giuseppe Femia, edito da Albatros

Ai tempi dell’università un professore suggerì a me e ai miei colleghi matricole, di leggere un libro che ci avrebbe spiegato perché scrivere delle nostre esperienze, soprattutto se dense di sofferenza, avrebbe favorito in noi un processo di rielaborazione e definizione di cosa avessimo vissuto emotivamente. Oggi più che a quel tempo, dopo anni di formazione professionale e pratica clinica nel mondo del cognitivismo, aggiungerei che tale processo non solo ci insegnò ad identificare ciò che sperimentammo a livello emotivo ma soprattutto ci permise di scoprire come “ci raccontammo” quello che era accaduto. Fu davvero una grande scoperta e un’esperienza immersiva nella storia di ognuno di noi!
Di recente, dopo quel viaggio introspettivo nel racconto di qualcosa di mio, ho vissuto la stessa cosa leggendo le vicende della vita di altri. Natalina, Maria, Alessia, David e tante altre persone, per mano dello scrittore, narrano se stesse e le proprie vicende dolorose. Percorrono con la memoria “…un ponte rosso… tra passato e presente” e arricchiscono gli eventi con interessanti letture soggettive che accompagnano noi lettori verso le credenze più profonde del loro modo di vedere e sentire se stessi, gli altri e il mondo intorno a loro.
Al pari di questi personaggi, veri nella loro essenza ma di fantasia nella forma così da proteggerne il diritto alla riservatezza, si può leggere molto anche dell’autore. Di fatto, non resta invisibile il coraggio di chi decide di parlare anche di sé, dei propri bisogni e dei propri dolori pur potendosi appellare, anche nella stesura di questo libro, a quel distanziamento protettivo che generalmente serve nel setting clinico per svolgere un buon intervento terapeutico.
Sarà appassionante scoprire, pagina dopo pagina, l’emergere di similitudini e differenze tra il parterre dei personaggi e perché no?! Forse anche del lettore. Nel corso dei dialoghi avvenuti nella stanza di terapia e il dispiegarsi delle storie raccontate da ogni protagonista, è tangibile il rapporto che intercorre tra loro e il terapeuta (ognuno impegnato a fare avanti e indietro su quello stesso ponte rosso della memoria). Interagiscono, scambiano pensieri, emozioni e processi relazionali che permettono al clinico di trasferire prodotti terapeutici impercettibili, non per questo irreali o improvvisati, in grado di aiutare chi, in tanti modi diversi, chiede aiuto e ne riceve.
Per chi saprà non farsi spaventare dal dolore emotivo che proverà arrivando in fondo a questa storia, ci potrebbe essere una bella sorpresa. Auguro ad ognuno un poco di tempo da trascorrere insieme a questo libro, per scoprire, magari, che la propria sofferenza parla una lingua simile a quella di chiunque, a quella di uno psicoterapeuta e a quella dei suoi cari pazienti.

NATALINA TENEVA LE FILA. Il ponte rosso e le storie che curano – Giuseppe Femia

Scrivere per guarire

di Erica Pugliese

L’uso della scrittura espressiva aiuta le persone a guarire dalle esperienze negative, stressanti o traumatiche

La scrittura espressiva di eventi negativi, traumatici o stressanti, secondo studi recenti, può essere una tecnica potente che conduce a un miglioramento della salute psicologica e fisica. Si tratta di scrittura espressiva ovvero libera e senza riferimenti alla forma o altre convenzioni, come per esempio la punteggiatura, l’ortografia e la grammatica.
L’idea è di esprimere esattamente ciò che detta il cuore e la mente, senza starci troppo a pensare. La narrazione autobiografica presta dunque più attenzione ai sentimenti, a come ci si sente, rispetto a una mera descrizione di quello che è accaduto o sta accadendo ed è finalizzata alla costruzione di nuovi percorsi di significato di eventi particolarmente dolorosi. Poter esprimere liberamente le proprie emozioni e riconoscere i vissuti più traumatici aumenta dunque la consapevolezza delle dinamiche penose, permette di individuare nuovi nessi di causalità tra gli eventi e una elaborazione del trauma dal punto di  vista emotivo e cognitivo.
La connessione tra la scrittura espressiva e il benessere è stata scoperta da James Pennebaker, professore di psicologia presso l’Università di Austin, in Texas. Nel suo progetto di ricerca di punta, Pennebaker ha sviluppato degli esercizi di scrittura espressiva che hanno potenziali benefici per la salute delle persone. L’efficacia di questo strumento è stata confermata da numerosi studi successivi su campioni clinici e non clinici.
Di seguito viene descritto come procedere nell’esercizio della scrittura espressiva. Prima di iniziare è necessario leggere e seguire attentamente le istruzioni se si vogliono trarre dei benefici da questo tipo di attività:

  1. Scrivi per un minimo di 20 minuti al giorno per quattro giorni consecutivi.
  2. Scegli di scrivere qualcosa di estremamente personale e importante per te.
  3. Scrivi senza preoccuparti della punteggiatura, dell’ortografia e della grammatica. Se sei a corto di cose da dire, traccia una linea o ripeti ciò che hai già scritto. Non togliere la penna dal foglio, non fermarti.
  4. Scrivi solo per te: puoi pianificare di distruggere o nascondere ciò che stai scrivendo. Non trasformare questo esercizio in una lettera da spedire a qualcuno. Questo esercizio è solo per i tuoi occhi.
  5. Osserva come ti senti. Non appena ti rendi conto di non poter scrivere su un determinato argomento, se senti che stai superando il tuo limite personale, smetti di scrivere. Quando individui un evento negativo, procedi gradualmente, non andare immediatamente al cuore del trauma.
  6. Aspettati possibili reazioni negative: molte persone si sentono un po’ rattristate o depresse dopo la scrittura espressiva, specialmente i primi giorni. Di solito questa sensazione scompare del tutto.
  7. Concediti un po’ di tempo dopo l’esercizio per riflettere su ciò che hai scritto e prova a essere compassionevole, gentile con te stesso. Se sei preoccupato che qualcun altro veda quello che hai scritto, mettilo in un posto sicuro, o semplicemente strappalo o distruggilo.
  8. Una settimana o due dopo aver completato i quattro giorni di scrittura espressiva, potresti voler riflettere su ciò che noti nella tua vita, su come ti senti e come ti comporti.

In conclusione, l’utilizzo della scrittura espressiva per superare paure ed elaborare eventuali traumi connessi rappresenta un momento privilegiato di crescita personale: tramite la scrittura espressiva, l’evento stressante diventa, infatti, maggiormente controllabile e si riducono i vissuti negativi a esso associati, mostrando miglioramenti del proprio stato di salute.

Per approfondimenti:

Pennebaker,JW. (2004) Writing to Heal: A Guided Journal for Recovering from Trauma and Emotional Upheaval.