Essere genitori di un bambino autistico

di Federica Codini

Strategie di Coping e sviluppi futuri

L’esperienza della disabilità è un terremoto emotivo che sconvolge l’esistenza di una persona che si vede costretta a riscrivere i piani della propria vita. Il sogno di avere quel figlio perfetto svanisce nel nulla e da questo momento a quello di accettazione della disabilità intercorre un tempo variabile per ciascuno: nel mezzo troviamo senso di colpa, vergogna, rabbia, impotenza, depressione che si alternano tra loro e, come in una danza, si danno il cambio con un nuovo slancio propositivo a ogni stadio evolutivo del figlio.

Il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) è un disturbo del neurosviluppo a insorgenza precoce, caratterizzato da difficoltà nell’interazione e nella comunicazione sociale e dalla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati.

I caregiver, coloro che se ne prendono cura, possono trovarsi a dover fronteggiare richieste di natura pratica, psicologica e sociale.

Le sfide che i caregiver di persone con ASD affrontano più frequentemente sono: stress, impatti negativi sulle relazioni, difficoltà finanziarie, problemi di salute fisica e mentale. Inoltre, questi genitori riferiscono una minore soddisfazione matrimoniale e hanno circa il doppio delle probabilità di divorziare rispetto ai genitori i cui figli non hanno ASD o che hanno altre disabilità. Il 60% delle madri di un bambino affetto da ASD non ha potuto proseguire la propria carriera professionale, mentre quelle rimaste occupate hanno riferito di orari di lavoro ridotti e perdita di guadagno. Con il termine “stress” si intende l’esito di un processo di valutazione ed emerge nel momento in cui le richieste esterne (ambiente) e/o interne (della persona) mettono a dura prova le risorse dell’individuo. Per far fronte allo stress percepito, è possibile prendere in considerazione le varie strategie di coping e cioè le modalità con cui le persone affrontano le diverse situazioni.

Una revisione della letteratura sulle strategie di coping ha messo in luce come la distrazione, la ristrutturazione cognitiva, la minimizzazione e l’accettazione possano aiutare un individuo ad adattarsi a un’esperienza stressante.

È stato osservato come in mancanza di risorse esterne, al fine di far fronte alle varie sfide quotidiane, i caregiver facciano affidamento alle risorse interne. Tale considerazione ci spinge a fare luce sul come implementare strategie di coping utili a incrementare risorse interne dei caregiver. Una delle strategie di coping prese in considerazione dalla psicologa britannica Deborah Lancastle è il coping di rivalutazione cognitiva, che si basa sulla capacità di rivalutare una situazione in un’ottica più positiva e/o neutra. Dato che le situazioni stressanti causano una maggiore reattività del sistema nervoso autonomo e reazioni fisiche spiacevoli, come battito cardiaco accelerato e affaticamento, è plausibile ipotizzare che le emozioni positive possano ridurre l’impatto fisiologico del sentirsi tristi o arrabbiati. Lo studio rileva risultati in linea con quelli della psicologa statunitense Susan Folkman, in cui si osserva come il coping di rivalutazione cognitiva sia correlato a una maggiore resilienza, a emozioni più positive e a un minor senso di carico di cura, alimentando quindi sempre più l’attenzione allo sviluppo di un programma che veda come centrale un intervento nel supportare i caregiver nell’uso efficace di tale strategia di coping.

Per approfondimenti

Deborah Lancastle ID1 *, Joanna Hill1 , Susan Faulkner1 , Alecia L. Cousins2. The stress can be unbearable, but the good times are like finding gold”: A phase one modelling survey to inform the development of a self-help positive reappraisal coping intervention for caregivers of those with autism spectrum disorder. PLoS uno. 2022; 17(3)

Folkman S. Stati psicologici positivi e gestione di forti stress. Soc Sci Med . 1997; 45 ( 8 ):1207–21. doi: 10.1016/s0277-9536(97)00040-3

Moskowitz J. T, Folkman S. Collette L. Vittinghoff E. Affrontare e umore durante il caregiving e il lutto correlati all’AIDS . Ann Behav Med . 1996; 18 ( 1 ):49–57. doi: 10.1007/BF02903939

 

Foto di Polina Kovaleva:
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Ansia, strategie di coping e gioco di finzione nei bambini ospedalizzati: uno studio italiano

di Alice Micheletti
curato da Giuseppe Romano

Quando si parla di ospedalizzazione si pensa ad un allontanamento fisico e sociale dagli affetti più cari e dalle abitudini e routine. La letteratura sul ricovero ospedaliero sottolinea come, a breve termine, il disagio nell’affrontare un ricovero possa compromettere l’efficacia di una procedura medica richiesta, mentre a lungo termine, possa portare a difficoltà nell’intraprendere ulteriori trattamenti medici.

Nei bambini, le esperienze che provocano ansia come i ricoveri possono inficiare sulla crescita fisica, sulla personalità e sullo sviluppo emotivo. Studi empirici suggeriscono come l’ansia sperimentata dai bambini possa manifestarsi attraverso diverse modalità come la regressione nel comportamento, alcune forme di aggressività, la poca disponibilità alla cooperazione, il rifiuto e la difficoltà a riprendersi dalle procedure. I bambini che sono coinvolti in programmi psicologici pre-ricovero si sono dimostrati più in grado di contenere l’ansia a livelli più bassi, sia prima dell’intervento chirurgico sia nella fase post-operatoria.

Una ricerca condotta dall’Università di Padova ha valutato i punti di forza e di debolezza dei bambini che hanno subito uno o più ricoveri ospedalieri; mediante un approccio triangolare e l’uso del gioco, sono stati valutati l’ansia di stato e di tratto, le capacità di coping e il funzionamento cognitivo e affettivo. Questi, pur essendo aspetti indipendenti tra loro, nella loro interazione potrebbero spiegare il modo in cui si affronta un’esperienza stressante. 50 bambini ospedalizzati di età compresa tra i 6 e i 10 anni sono stati confrontati con 50 bambini non ospedalizzati e i bambini al primo ricovero sono stati confrontati con bambini con più di un’esperienza di ricovero. È stato proposto l’uso di tre misure: lo STAI-C, per valutare l’ansia di stato e di tratto, una checklist sulle strategie di coping (CCSC-R1 – Children’s Coping Strategies Checklist-Revision 1), e la versione estesa dell’Affect in Play Scale – Preschool – Brief (APS-P-BR) per valutare le dimensioni cognitive e affettive del gioco. Dai risultati si evince che, mentre l’ansia di stato risulta significativamente più elevata nei bambini ricoverati, non vi sono significative differenze per l’ansia di tratto tra bambini ospedalizzati e non ospedalizzati. Difatti, l’ansia di tratto accompagna il bambino nelle esperienze quotidiane, compreso il ricovero ospedaliero, e come tale, se elevata, deve essere riconosciuta come una vulnerabilità di base del bambino. L’ansia di tratto ha un ruolo importante nella risposta del bambino al ricovero, quanto più è alta tanto più la sua percezione del ricovero, come esperienza stressante, sarà alta e tanto meno efficace sarà la sua capacità di superamento.

I bambini ricoverati riportano punteggi più alti rispetto ai bambini non ospedalizzati anche nelle strategie di supporto. Come suggerito da Wilcox (2018), l’efficacia delle strategie di gestione è influenzata dalla ricorrenza e dalla durata dei ricoveri: bambini con più di un ricovero sono meno inclini ad evitare lo stress della situazione e a richiamare pensieri positivi. Riguardo al gioco di finzione, i bambini ricoverati mostrano punteggi cognitivi molto più alti rispetto ai non ricoverati: nell’elaborazione dei temi delle storie ricorrono ad una maggiore complessità e arricchimento, presentando, al contempo, una maggiore fantasia e immaginazione nel gioco. Questi due elementi potrebbero rappresentare una modalità per affrontare la realtà angosciante e sconosciuta dell’esperienza del ricovero ospedaliero. Tuttavia, i bambini ospedalizzati sono più limitati nelle espressioni affettive nel gioco, forse per paura di essere sopraffatti dai sentimenti stressanti che il ricovero può attivare. Infine, i bambini ospedalizzati sono comunque in grado di organizzare un finto gioco e la loro ansia non differisce dai bambini non clinici; in più esprimono un atteggiamento attivo volto alla ricerca e all’utilizzo di modalità di difesa, prevenzione e al riconoscimento del proprio bisogno di sostegno. Nonostante ciò, i ricoverati appaiano maggiormente limitati nelle espressioni affettive. Non vi sono differenze sostanziali per i punteggi concernenti il gioco e l’ansia tra bambini al primo ricovero e bambini con più di un ricovero; eppure i bambini al primo ricovero hanno ottenuto un punteggio più alto nella gestione e nella ristrutturazione cognitiva positiva e nelle strategie di prevenzione rispetto ai bambini con più di un ricovero.

Come riferisce Lewick, valutare l’assistenza sanitaria, sottolineando le risorse e le capacità dei bambini, significa riconoscere e sostenere la resilienza dei pazienti, i loro punti di forza, e contribuire a comprendere il modo in cui un bambino-paziente può gestire le difficoltà della sua vita. Determinare risorse e vulnerabilità dei pazienti risulta essere una valida strategia per comprendere il funzionamento adattivo e risolutivo impiegato dagli stessi per affrontare l’esperienza di ricovero. La valutazione psicologica dei bambini in fase di ricovero, rispetto all’interazione di variabili come l’ansia, le abilità di coping e le modalità di gioco, può essere un supporto e una guida per gli operatori sanitari ai fini della determinazione del rischio di un bambino di evolvere verso esiti psicologici negativi dovuti al ricovero, può aiutare a pianificare progetti di intervento adeguati e consente di fornire l’assistenza di base ai bambini ricoverati in futuro. Lo studio di Del Vecchio et al. (2019), a tal proposito, può essere uno spunto per la progettazione di interventi mirati all’accrescimento delle capacità personali e sociali necessarie alla gestione dello stress causato da esperienze altamente preoccupanti come quella di un ricovero ospedaliero.

Riferimenti bibliografici

Del Vecchio E., Salcuni S., Lis A., Germani A., Di Risio D., Hospitalized Children: Anxiety, Coping Strategies, and Pretend Play, Public Health, 06 September 2019.
Wilcox LN., Exploring Coping Skills of Hospitalized Children: A Children’s Book Proposal. (2018).
Lerwick JL., Minimizing pediatric healthcare-induced anxiety and trauma. World J Clin Pediatr. (2016) 8 5:143–50.

Costruire l’“adulto sano”

di Alessandra Mancini

Una prospettiva integrata di ACT, Mindfulness e Schema Therapy

 Io non l’ho più questo bisogno, perché muojo ogni attimo io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.
Luigi Pirandello – Uno, Nessuno, Centomila

Nella terapia dei disturbi di personalità, ci si può trovare di fronte a un’impasse nel momento in cui, per usare un’espressione pirandelliana, “si squarcia il teatrino”, ovvero quando il paziente prende coscienza delle proprie modalità di coping disfunzionali o “mode” (risposte emotive, cognitive e comportamentali con cui il paziente fa fronte alla propria sofferenza e più in generale che utilizza per rapportarsi agli altri).

A questo punto egli potrebbe chiedersi: “Chi sono dunque io?”. Il concetto di Sé sembra perdere nitidezza e ciò potrebbe generare delle resistenze al cambiamento, poiché, anche se connotato negativamente, esso consentiva una certa prevedibilità.

Da dove attingere quindi per creare una rappresentazione di Sé più funzionale?

Per la Schema Therapy (ST) lo sviluppo del “mode Adulto Sano” (la parte funzionale del Sé del paziente) costituisce un obiettivo importante. Nonostante l’importanza di questo mode, i testi di ST si focalizzano più sulla descrizione del funzionamento del “critico interiore”, ovvero l’interiorizzazione dei messaggi critici e punitivi inviati dalle figure genitoriali, e sui già menzionati mode di coping disfunzionali.

Questo tema è stato approfondito da Eckhard Roediger, direttore dell’Istituto di Schema Therapy di Francoforte, Bruce Stevens, professore alla Charles Sturt University di Camberra in Australia, e Robert Brockman dell’Australian Catholic University di Sydney, durante uno dei workshop precongressuali del convegno internazionale di ST, appena conclusosi ad Amsterdam. Gli autori propongono l’integrazione delle prospettive dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), della Mindfulness e del Contestualismo Funzionale per identificare e sviluppare le qualità dell’Adulto Sano. In particolare, dopo aver spostato l’attenzione del paziente dalla rappresentazione negativa di Sé a una prospettiva osservante, viene proposto di definire l’Adulto Sano come uno stato di percezione del “qui ed ora” (per usare termini ACT: “Mindful”); emotivamente distaccato dal dialogo interno tipico del genitore critico (in ACT: “defuso”) e in grado di vedere se stesso come contesto delle proprie esperienze (“Sé come contesto”); di essere in contatto con i propri valori e di perseguire questi ultimi tramite comportamenti funzionali (“azione impegnata”).

Una serie di studi di trasversali (studi in cui i fattori di rischio/protezione e la presenza del disturbo sono controbilanciati tra i gruppi presi in esame) condotti da Brockman e collaboratori sembra confermare la correlazione tra il mode dell’Adulto Sano e le qualità di mindfulness, flessibilità psicologica, auto-compassione e azione impegnata al perseguimento dei valori.

Secondo i relatori del workshop, l’integrazione delle qualità tipicamente esperienziali della ST con le tecniche cognitive di terza generazione può portare alla costruzione di una rappresentazione e di una consapevolezza di Sé più funzionali al perseguimento dei propri valori e quindi, a lungo termine, al soddisfacimento dei propri bisogni.
Per approfondimenti:

Roediger, E., Stevens, B.A. and Brockman, R. (2018). Contextual Schema Therapy. An Integrative Approach to Personality Disorders, Emotional Dysregulation and Interpersonal Functioning. Oakland, CA: New Harbinger