Adolescenti con disturbo borderline

di Federica Iezzi

Rassegna sui confini diagnostici categoriali

È noto ai clinici dell’età evolutiva come vi debba essere una particolare cura nel porre diagnosi di psicopatologia in bambini e in adolescenti. Si tratta, infatti, di individui in epoca di sviluppo e dunque soggetti a plausibili oscillazioni – in termini di crescita biologica e di maturazione psichica – nonché esposti a forti pressioni ambientali, continui adattamenti e riorganizzazioni, nel contesto di un sé emergente e in evoluzione. Lungo la traiettoria dello sviluppo, vi sono mutazioni evidenti nella sfera cognitiva, affettiva, del controllo degli impulsi e relazionale. Tale condizione intimorisce i clinici nel porre una diagnosi categoriale che possa finire per etichettare il minore, a maggior ragione quando questa implica gravità e inflessibilità: è il caso di una psicopatologia stabile e pervasiva di personalità, come il Disturbo di Personalità Border (DPB). In particolare, alcune ricerche mostrano come la diagnosi di DPB possa generare tra gli psicologi e gli psichiatri un senso di persistente riluttanza e addirittura una certa ostilità.

Descritto nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM 5), il DPB in età adolescenziale consiste in un pattern pervasivo di sviluppo della personalità, che perdura da più di un anno e che si manifesta attraverso instabilità nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé, negli affetti e da marcata impulsività. Per porre la diagnosi, devono essere presenti almeno cinque dei seguenti criteri: sforzi per evitare l’abbandono, relazioni interpersonali instabili, disturbi dell’identità, impulsività, comportamenti suicidari e auto-mutilanti, instabilità affettiva, sentimenti cronici di vuoto, rabbia intensa e inappropriata e ideazione paranoide legata allo stress.

Nel contributo dello psichiatra Jean Marc Guilé, il Disturbo di Personalità Border può essere diagnosticato in modo affidabile negli adolescenti a partire dall’età di undici anni.

Allo stato dell’arte, come osservato in uno studio multicentrico condotto in Italia nel 2011 e promosso dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) su un campione di 162 ragazzi con un’età media di 15,5 anni a cui è stata posta diagnosi di disturbo di personalità, sembrerebbe che la categoria diagnostica maggiormente rappresentata tra i disturbi di personalità sia prettamente quella border, che da sola rappresenta il 45% del campione esaminato. Tale categoria sembra avere una relazione significativa con la presenza in anamnesi di una sintomatologia di tipo esternalizzante: aggressività, disturbi della condotta, isolamento sociale, agiti autolesivi e tentativi di suicidio.

Per quanto riguarda la sintomatologia esternalizzante, come riportato dal neuropsichiatra infantile Michele Poletti, circa il 40% dei soggetti adulti con DBP riporta sintomi compatibili con una diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI) in infanzia e i precoci deficit dell’attenzione in bambini che hanno vissuto un’esperienza traumatica sono considerati precursori del futuro sviluppo del DBP.

Per quanto riguarda i comportamenti di autolesionismo in età evolutiva, è da considerare che in ambito ospedaliero vengono osservati con maggiore frequenza rispetto al passato: in particolare, nel decennio tra il 1990 e il 2000, sono aumentati dal 3.2% al 4.7.

I criteri relativi alla diagnosi di DBP in adolescenza sono stati tradizionalmente mutuati dai criteri utilizzati per la diagnosi dell’adulto. Tuttavia, nonostante il costrutto sia ben consolidato nella popolazione adulta, il fatto che ne esista un corrispettivo per la popolazione adolescente è stato negli ultimi decenni una questione controversa e oggetto di ampio dibattito.

L’affidabilità rispetto alla trasposizione integrale dei criteri diagnostici per DBP dall’ambito della psicopatologia dell’adulto a quella dell’adolescente è stata indagata attraverso una revisione sistematica del 2004, condotta dagli psichiatri Helen Bondurant, Brian Greenfield e Sze Man Tse. Dai risultati emersi, è possibile affermare che non vi sono differenze significative nell’incidenza di DBP, in particolare quando il numero degli adolescenti ospedalizzati (53%) viene confrontato con quello degli adulti (47%). Tuttavia, quando l’efficienza diagnostica dei criteri per DBP viene esaminata in questi due gruppi, il “potere predittivo positivo” dei criteri, cioè la capacità di ciascun criterio di predire la presenza del disturbo, era maggiormente uniforme nel gruppo adulti rispetto al gruppo adolescenti. Al contrario, il “potere predittivo negativo” dei criteri, cioè l’assenza degli stessi, che equivale a dire che la diagnosi è meno probabile, era comparabile tra i due gruppi. Quindi, mentre è possibile applicare i criteri dell’adulto alla diagnosi di BPD adolescenziale, alcuni criteri diagnostici sono più predittivi di altri quando si considera l’epoca dello sviluppo.

Entrambi i gruppi di pazienti con DBP (adolescenti e adulti) mostravano una sovrapposizione con altri disturbi di personalità, e tale condizione era significativamente maggiore rispetto ai gruppi di personalità non-borderline. Inoltre, il gruppo di adolescenti con BPD aveva una distribuzione relativamente ampia di comorbilità rispetto al gruppo di adulti.

Per concludere, un corpo significativo di ricerche suggerisce che segni e sintomi di DBP compaiono molto prima dell’età adulta, spesso nei bambini più piccoli, e che gli adolescenti possono mostrare l’intera gamma di sintomi che si qualificano per una diagnosi di BPD. Tuttavia, ulteriori ricerche sono di fondamentale importanza per raffinare il grado di sensibilità dei criteri utilizzati ai fini di un corretto assessment, per ridurre le ambiguità sottese alle possibili comorbilità e per definire una modalità d’ intervento istituzionalmente condivisa contraddistinta da adeguatezza e tempestività.

Per approfondimenti

Becker DF, Grilo CM, Edell WS, McGlashan. Comorbidity of borderline personality disorder with other personality disorders in hospitalized adolescents and adults. TH Am J Psychiatry. 2000 Dec; 157(12):2011-6.

Becker DF, Grilo CM, Edell WS, McGlashan. Diagnostic efficiency of borderline personality disorder criteria in hospitalized adolescents: comparison with hospitalized adults. Am J Psychiatry. 2002 Dec; 159(12):2042-7.

Bondurant H, Greenfield B, Tse SM. Construct validity of the adolescent borderline personality disorder: a review. Can Child Adolesc Psychiatr Rev. 2004;13(3):53-57.

Case, Brady G.; Olfson, Mark; Marcus, Steven C.; Siegel, Carole (2007). Trends in the Inpatient Mental Health Treatment of Children and Adolescents in US Community Hospitals Between 1990 and 2000. Archives of General Psychiatry, 64(1), 89–. doi:10.1001/archpsyc.64.1.89

Chanen, A. M., & McCutcheon, L. K. (2013). Prevention and early intervention for borderline personality disorder: Current status and recent evidence. British Journal of Psychiatry, 202(S54), s24–s29

Chanen, Andrew M. (2015). Borderline Personality Disorder in Young People: Are We There Yet?. Journal of Clinical Psychology, 71(8), 778–791.

Garnet, K. E., Levy, K. N., Mattanah, J. J. F., Edell, W. S., & McGlashan, T. H. (1994). Borderline personality disorder in adolescents: Ubiquitous or specific? The American Journal of Psychiatry, 151(9), 1380–1382.

Griffiths, M. (2011). Validity, utility and acceptability of borderline personality disorder diagnosis in childhood and adolescence: Survey of psychiatrists. The Psychiatrist, 35(1), 19–22.

Guilé JM, Boissel L, Alaux-Cantin S, de La Rivière SG. Borderline personality disorder in adolescents: prevalence, diagnosis, and treatment strategies. Adolesc Health Med Ther. 2018;9:199-210.

Larrivée MP. Borderline personality disorder in adolescents: the He-who-must-not-be-named of psychiatry. Dialogues Clin Neurosci. 2013;15(2):171-179.

Laurenssen, E. M., Hutsebaut, J., Feenstra, D. J., Van Busschbach, J. J., & Luyten, P. (2013). Diagnosis of personality disorders in adolescents: A study among psychologists. Child and Adolescent Psychiatry and Mental Health, 7(1), 3.

Meijer M, Goedhart AW, Treffers PD. The persistence of borderline personality disorder in adolescence. J Pers Disord. 1998 Spring;12(1):13-22.

Ancona et al. (2011) Segnali precoci e diagnosi disturbo di personalità : studio multicentrico su casistica in adolescenza. Gior Neuropsich Età Evol, 31 (Suppl.1):21-28

Poletti (201O). Aspetti neuro evolutivi del Disturbo Borderline di Personalità. Psicologia Clinica dello Sviluppo, A. XVI, 3: 449-469.

La psicoeducazione per il Disturbo Borderline di Personalità

di Alessandra Micheloni

Dalla visione d’insieme degli interventi psicoeducativi alla terapia Structured Clinical Management

La psicoeducazione può essere definita come “un intervento utile al processo conoscitivo e di cambiamento”. Classicamente era rivolta ai nuclei familiari (con o senza la presenza dei pazienti), mentre negli ultimi anni sono stati progettati e valutati interventi psicoeducazionali centrati su problematiche più specifiche e rivolti ai soli pazienti. Come specificato nel “Manuale di psichiatria territoriale” di Nicolò e Pompili, affinché sia efficace, è necessario che questo tipo di tecnica rispetti delle regole comunicative formali: deve essere chiara, semplice e interattiva, deve comprendere tecniche di modeling (apprendimento imitativo) e fornire “un’informazione sistematica, strutturata, didatticamente orientata sia sulla patologia che sul suo trattamento, con lo scopo di far acquisire, ai pazienti e ai loro familiari, modalità per fronteggiare e gestire la malattia”. La finalità di tale intervento è promuovere il recupero del paziente, incrementare e migliorare il supporto sociale e ridurre le ricadute. È importante sottolineare che la psicoeducazione è definita come una formazione rivolta a pazienti e ai familiari e non è un’alternativa alla psicoterapia familiare o cognitivo-comportamentale o ad altre forme di psicoterapia.
Si rivolga, ad esempio, attenzione ai Disturbi di Personalità, in particolare al Disturbo Borderline di Personalità (DBP). Leggi tutto “La psicoeducazione per il Disturbo Borderline di Personalità”

Disturbo borderline di personalità: informazioni utili per i familiari

di Elisabetta Pizzi

Inghiottiti dal vortice della sofferenza dei propri cari, i familiari di persone con DBP si trovano spesso ad affrontare da soli le situazioni più critiche

Il disturbo borderline di personalità (DBP) è un disturbo caratterizzato da un’instabilità pervasiva nei rapporti interpersonali, un’instabilità nell’immagine di sé e una marcata impulsività. Chi ne soffre mostra delle reazioni emotive molto intense che oscillano drammaticamente nel corso della giornata, anche per motivi apparentemente poco importanti. Questi cambiamenti d’umore sono dovuti a una difficoltà biologica e involontaria a regolare le proprie emozioni. Tutti sperimentano emozioni intense, come ad esempio la sensazione di avere il cuore in gola quando ci si accorge di aver appena rischiato di essere investiti da una macchina. Le persone con DBP esperiscono delle emozioni così intense regolarmente, senza avere la capacità di autocalmarsi. A volte il dolore emotivo è così forte da indurle ad attuare dei veri e propri comportamenti autodistruttivi – come tagli, bruciature sul corpo, uso di alcol e droghe, abuso di psicofarmaci e tentativi di suicidio – pur di sentire qualche forma di sollievo. I comportamenti autolesivi diventano, così, dei potenti “regolatori emotivi” in quanto consentono di abbassare le emozioni dolorose in modo molto veloce e automatico e distraggono dal problema. “Quando bevo non penso più a niente”, dicono spesso i pazienti in cura. Leggi tutto “Disturbo borderline di personalità: informazioni utili per i familiari”

La family connections per aiutare chi è affetto da disturbo borderline

di Elisabetta Pizzi

Nato negli Stati Uniti e diffuso in 19 Paesi tra cui l’Italia, il programma informa e sostiene i familiari delle persone con problemi di regolazione delle emozioni

Il disturbo borderline di personalità (DBP) è un disturbo del sistema emotivo: chi presenta questa diagnosi ha una difficoltà biologica a regolare le proprie emozioni e mostra delle risposte emotive molto intense, anche per motivi apparentemente poco importanti. Alcune volte, la reattività emotiva può essere così esplosiva da determinare delle vere e proprie aggressioni verbali e fisiche nei confronti di altri o da spingere le persone ad attuare seri comportamenti autodistruttivi, come tagli, bruciature sul corpo, uso di alcol e droghe, abuso di psicofarmaci e tentativi di suicidio. I familiari di persone con DBP raccontano spesso di sentirsi impotenti e inadatti ad aiutare il proprio caro e oscillano frequentemente da stati di colpa a stati di disperazione, dalla paura di dire “parole sbagliate” al terrore che possa succedere qualcosa di irreparabile, dalla depressione alla rabbia per essere stati attaccati ingiustamente e colpevolizzati. “Infragiliti” dal carico di stress emotivo, rischiano, inoltre, di attuare senza rendersene conto una serie di azioni che possono aumentare i comportamenti disfunzionali della persona con DBP. family connectionPer questo motivo, un gruppo di familiari, con l’aiuto di alcuni clinici esperti, tra cui Perry Hoffman e Alan Furzetti della NEABPD (National Education Alliance for Borderline Personality Disorder) hanno progettato una rete di supporto che prende il nome di “family connections” (FC). Nata negli Stati Uniti e ora diffusa 19 Paesi, tra cui l’Italia, questa rete di volontari ha lo scopo di diffondere un protocollo di psicoeducazione per parenti e amici di persone con DBP: articolato in 12 incontri, il programma di family connections ha primariamente l’obiettivo di aiutare il familiare a raggiungere il proprio equilibrio interiore e, solo successivamente, di favorire il sostegno psicologico del proprio caro. “Non è egoismo. – spiegano gli autori di FC, nel manuale dedicato – Proprio come sugli aerei, questo corso aiuta a capire come indossare la maschera per l’ossigeno prima di aiutare gli altri!”. Leggi tutto “La family connections per aiutare chi è affetto da disturbo borderline”