Clinica della mente ossessiva

di Valentina Silvestre e Cecilia Laglia

Primo weekend del ciclo di workshop dedicato al disturbo ossessivo compulsivo

A gennaio scorso si è svolto, presso la sede della Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Verona, il primo weekend del ciclo di workshop “Clinica della Mente Ossessiva”.
La prima giornata è stata aperta dal neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta cognitivista e direttore delle Scuole di Psicoterapia Cognitiva dell’Associazione di Psicologia Cognitiva APC Francesco Mancini, che ha evidenziato l’obiettivo del corso di creare una rete di psicoterapeuti che si occupino di disturbo ossessivo-compulsivo e condividano non solo una rappresentazione del funzionamento del paziente ossessivo ma anche le modalità di intervento. Mancini ha spiegato come rendere uniforme un intervento sia estremamente vantaggioso in termini di efficacia del trattamento: condividere un modello di riferimento e il razionale dell’intervento consente un confronto tra professionisti e una migliore comprensione e risoluzione soprattutto in caso di difficoltà, incongruenze o inefficienze.
Secondo il neuropsichiatra, l’approccio cognitivista ha dato un enorme contributo allo studio del disturbo ossessivo-compulsivo, tuttavia “è fondamentale non subordinare il disturbo alla tecnica”. Mancini ha infine delineato e schematizzato il modello di funzionamento e la formulazione di una concettualizzazione razionale del profilo interno del DOC.
Olga Ines Luppino, insieme con Katia Tenore, ha parlato dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta (E/RP), un intervento di efficacia empirica che prevede una prima fase di esposizione allo stimolo elicitante il timore ossessivo per un tempo maggiore a quello normalmente tollerato e la successiva rinuncia alla messa in atto di comportamenti di ricerca di sicurezza. L’E/RP è un intervento evidence based e richiede una preparazione del paziente: l’esposizione perdura fino alla scomparsa del disagio e può essere applicata solo in fase avanzata del percorso di trattamento. La giornata è stata caratterizzata da un’impostazione nettamente pratica: i partecipanti sono stati suddivisi in piccoli gruppi per consentire esercitazioni sulla formulazione del caso clinico, la ricostruzione dello schema del disturbo e l’esposizione graduata.
Nella seconda giornata, Stefania Fadda ha esposto e approfondito le varie tecniche di intervento che si possono utilizzare nella pratica clinica, per ridurre il senso di responsabilità e accettare il rischio del paziente con DOC. La fase di ristrutturazione cognitiva ha l’obiettivo di ridurre le assunzioni di minaccia di colpa o di contaminazione del paziente ossessivo. È stato dedicato ampio spazio alle esercitazioni in piccoli gruppi: il vantaggio è stato quello di toccare con mano le difficoltà che si possono incontrare nel lavoro con questa tipologia di pazienti.
A chiusura di questo primo weekend, Angelo Maria Saliani ha presentato l’intervento con i familiari, descrivendo i processi interpersonali che coinvolgono non solo le persone che vivono a stretto contatto con il paziente DOC ma anche gli interlocutori abituali. Le possibili reazioni alla sintomatologia ossessivo-compulsiva si inseriscono su un continuum i cui estremi sono accommodation e antagonismo, entrambi fattori di mantenimento del DOC. Tuttavia non risultano essere le uniche modalità di interazione disfunzionale: Saliani ha descritto sette trappole interpersonali osservate nell’esperienza clinica, che comportano un fallimento sistematico dei tentativi di aiuto. Più efficaci risultano gli interventi di psicoeducazione e auto-osservazione delle trappole: la conoscenza del disturbo e il monitoraggio dei propri comportamenti consente di trasformare i dialoghi da viziosi in virtuosi. Esercitazioni, simulate e role playing sono stati un’ottima occasione di riflessione e confronto nonché di applicazione di quanto appreso durante l’ultima giornata.

Appuntamento a marzo per il secondo weekend!

Per approfondimenti:

Francesco Mancini, La mente ossessiva: curare il disturbo ossessivo compulsivo, 2016, Raffaello Cortina Editore

La Mente Ossessiva Unplugged

di Carlo Buonanno

Lunedì sera, a Viterbo, presso la galleria del Teatro Caffeina, è andata in scena una versione unplugedd di La Mente Ossessiva. E già, perché la sala in cui abbiamo amabilmente chiacchierato con Francesco Mancini mi ha ricordato le atmosfere “grunge” dei primi anni novanta, quando i Nirvana si esibivano sotto lampadari barocchi e con soli strumenti acustici.

Il libro ha suscitato l’interesse che merita e Francesco ha pizzicato per un’ora le corde dell’attenzione degli addetti ai lavori e degli amici presenti in sala. In scaletta, che cos’è il Disturbo Ossessivo Compulsivo, quali gli ingredienti cognitivi prossimi le condotte sintomatiche, quale il ruolo dei timori di colpa e di contaminazione, fino alla relazione tra disgusto fisico e disgusto morale, tra la vulnerabilità e gli interventi messi a punto da poco dall’equipe. La grammatica morale che sorveglia le nostre scelte morali e interviene nella spiegazione di alcuni passaggi chiave del disturbo è la sintesi che il pubblico ha condiviso. Una spiegazione che non fa leva su malfunzionamenti delle funzioni cognitive superiori come la memoria, ma su cosa orienta la mente del paziente e cosa gli impedisce di smettere di controllare o lavarsi le mani. Il suono è acustico e l’interesse di chi ascolta vibra su buone lunghezze d’onda. Il pubblico ascolta e con facilità accede piano a un’idea di psicopatologia. Le variabili psicologiche come cause prime della sofferenza psichica. Non c’è niente di rotto. La mente va in una direzione precisa, quella dell’assoluta sicurezza di non sentirsi responsabile del danno temuto. Una pretesa che produce dolore. La chiarezza, unitamente al rigore intellettuale di Francesco, ha definito il feeling della serata. Gli esempi clinici e il racconto delle ricerche condotte negli anni un ottimo esempio di divulgazione scientifica. È vero che all’inizio mi ha bruciato una decina di domande, ma non me la sono sentita di interromperlo. Erano tutti attenti. E questo a me è bastato.

L’unica nota stonata? Me lo ha fatto notare una collega ieri sera al concerto dei Pearl Jeam. Durante l’intervista, noi eravamo seduti su un divano in pelle. Sul tavolino, davanti a noi, due bicchieri e una bottiglia d’acqua. Si Katia, sono d’accordo anch’io. Lunedì sera mancavano all’appello solo due calici di bianco.

Se vuoi vedere il video clicca su questo link

Uno, Nessuno, Centomila sensi di colpa

di Benedetto Astiaso Garcia

La colpa è sempre fuor di dubbio. F. Kafka

Il senso di colpa implica il riconoscimento di tre componenti caratterizzanti e necessarie, fattori dirimenti altri vissuti emotivi: la valutazione negativa del proprio comportamento, in quanto dannoso o cattivo; l’assunzione di responsabilità; l’abbassamento dell’autostima morale. Considerarsi responsabili di una determinata azione significa ritenere di averla causata, direttamente o indirettamente, di aver avuto lo scopo di causarla o di aver avuto il potere di evitarla.

A partire da un sano senso di responsabilità, innato nell’essere umano rispetto alla sofferenza altrui, la presenza di credenze patogene induce un deragliamento emozionale di tipo disadattivo, la cui origine molto spesso risiede nell’idea del bambino di poter danneggiare il benessere familiare o la relazione genitoriale semplicemente perseguendo uno scopo sano. Il senso di colpa, pertanto, è un sentimento che deriva e sostiene molte credenze patogene rendendo l’individuo nell’età adulta il più grande persecutore di se stesso.

La CMT, teoria della psicopatologia e della psicoterapia elaborata da Edoardo Weiss e Harold Sampson, identifica i seguenti sensi di colpa:

  • Senso di colpa da separazione/slealtà: sviluppato a partire dalla credenza che una separazione fisica o valoriale dalle persone care arrecherà loro un grave danno, contaminando dunque l’idea di propria autonomia con quella di sofferenza altrui;
  • Senso di colpa del sopravvissuto: percezione che le proprie fortune, successi e risultati non rispondano a un innato principio di equità e giustizia, inducendo quindi il “reo” a dover espiare la propria condizione privilegiata;
  • Senso di colpa da responsabilità onnipotente: idea di avere il dovere ed il potere di prendersi cura delle persone care, la cui origine risiede in un egocentrico senso di responsabilità rispetto al benessere familiare;
  • Senso di colpa da odio di Sé: disprezzo nei propri confronti tale non solo da considerare se stesso come indegno di amore e di rispetto, ma addirittura da ritenersi meritevole di rifiuto e noncuranza per il proprio essere intrinsecamente sbagliato.

Fortemente differenziati rispetto al loro substrato neuronale e al ruolo nella psicopatologia, come illustrato dal neuropsichiatra infantile Francesco Mancini nella sua opera “La mente ossessiva”, esistono due tipi di sensi di colpa, distinti per manifestazioni, funzioni e ingredienti cognitivi: il senso di colpa altruistico e il senso di colpa deontologico. Mentre nel primo è necessaria la presenza di una vittima e l’assunzione di non aver agito in modo altruistico o prosociale, nel secondo viene trasgredita una norma di natura morale.

La dimensione interpersonale del senso di colpa, essedo la trasgressione un fenomeno sociale, è strettamente legata al tema dell’altruismo e dell’empatia, generando un senso di pena, variabile rispetto agli scopi implicati, relativo alla credenza di aver danneggiato o non aiutato l’altro.

Non tutti i sensi di colpa sono però legati alla percezione di aver arrecato un danno, per azione o omissione, a terzi, derivando quindi dalla percezione di aver violato una norma deontologica introiettata, fonte di autocritica da un punto di vista morale e causa di una ricerca o aspettativa di punizione.

La legge morale, infatti, non dipendente da un sistema esterno, risiede dentro l’uomo in termini transculturali e transgenerazionali, rendendo perciò vano il nietzschiano tentativo di liberare l’uomo attraverso una “rottura delle tavole”, emblema di una legge esterna, prescrittiva ed estrinseca.

Una profonda e spietata negazione del passato non rappresenta dunque una risposta alla liberazione dell’uomo, essendo solamente l’essere morale kantiano capace di tendere verso il noumeno. Ecco come la bellezza e la norma deontologica possono essere avvicinate solamente con stupore: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me” (I. Kant).

Per approfondimenti:

Mancini F., “La mente ossessiva”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016

Catelfranchi C, Mancini F., Miceli M., “Fondamenti di cognitivismo clinico”, Bollati Bringhieri, Torino, 2012

Gazzillo F., “Fidarsi dei Pazienti”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016