Perché un Master in Psicologia Cognitiva del Lavoro

di Andrea Pompili e Roberto Noccioli

Cenni storici

Da quando la Psicologia è uscita dai Laboratori Scientifici, sono cominciate a nascere riflessioni e sperimentazioni di come poter applicare le conoscenze acquisite in diversi ambiti e contesti. Il mondo del lavoro non ha fatto eccezione; le aziende e i contesti organizzati hanno ben presto intravisto la possibilità di ottenere benefici.

In Italia, ad esempio, già agli inizi del ‘900 iniziarono i primi tentativi di applicare le conoscenze psicologiche. Guarda caso furono le grandi strutture ad avvalersi per prime degli psicologi: in ambito militare, l’Aereonautica per la scelta degli aviatori, e le strutture parastatali, le Ferrovie dello Stato per la selezione dei macchinisti. Ovviamente per portare avanti questo tipo di attività furono chiamanti esponenti del mondo accademico: Agostino Gemelli e Mario Ponzo.

La Selezione

Fin da subito fu individuato l’ambito della selezione come attività principe per la Psicotecnica, così veniva chiamata la branca applicativa della Psicologia. Il presupposto teorico era che esistessero attitudini e capacità fondamentali per svolgere “al meglio” una determinata attività; una volta elencate e definite tali capacità si andava a ricercarne la presenza nei candidati. Il lavoro, o meglio l’attività lavorativa, era parcellizzato in compiti e azioni elementari; lo psicotecnico doveva, quindi, misurare la presenza/assenza delle capacità con strumenti creati appositamente.

Le selezioni erano tutte su mansioni, ruoli e lavori di tipo prettamente manuale e operativo; Siamo in un periodo in cui grandi masse di persone dovevano essere “scelte” per lavorare come operai, tranvieri, macchinisti o militari; il lavoro di concetto era riservato a chi poteva studiare e ambire ad altri ambiti.

L’orientamento professionale

Quasi di pari passo si sviluppano tentativi di orientamento professionale. Dal punto di vista teorico i presupposti erano i medesimi, si cercavano le attitudini delle persone per indirizzarli al mestiere per il quale erano più “inclini”.

Oggi

Master di Alta Formazione in Psicologia Cognitiva del Lavoro

A più di un secolo di distanza possiamo notare che oggi in alcune selezioni il sotteso teorico non è molto diverso: si costruisce una job description, la scheda che formalizza le principali caratteristiche di una posizione lavorativa, da questa si stila un elenco di capacità e competenze necessarie per svolgere un’attività (ed eventualmente si stabilisce il grado in cui queste devono essere possedute). In fase di valutazione si “misurano” i candidati rispetto a queste ultime attraverso strumenti specifici (test, questionari, simulazioni di ruolo, colloqui di gruppo, interviste più o meno strutturate, ecc.).

Il valore aggiunto dello psicologo

La specificità psicologica, vale a dire il valore aggiunto che lo Psicologo può apportare in questi casi, è nella competenza nell’utilizzo degli strumenti. Possiamo dire di più: quando la variabile è di personalità, e quindi sono richiesti test specifici, per legge solo lo Psicologo può gestire lo strumento. Non è un caso che alcune Aziende o alcune organizzazioni, soprattutto di matrice statale, richiedano l’iscrizione all’Albo professionale per svolgere alcune selezioni.

Sempre più spesso, però, ci si rende conto che una visione più ampia, che comprenda ad esempio la lettura del contesto lavorativo, la relazione con cui le persone si pongono nei confronti del lavoro, la cultura piuttosto che il clima che caratterizzano gli ambienti di lavoro, incida in maniera significativa sul modo in cui le persone lavorano.

Per capire meglio a cosa si faccia riferimento, anche in questo caso la storia della Psicologia può venirci in aiuto.

Torniamo un momento indietro

Sul finire degli anni ’20 (circa un secolo fa!) Elton Mayo condusse una serie di esperimenti all’interno di una fabbrica: l’intendo era quello di capire come aumentare la produttività e diminuire il turnover delle operaie. La sperimentazione prevedeva la variazione di alcuni elementi strutturali (ad esempio illuminazione, retribuzione e pause) per verificare quanto queste impattassero sulla produzione. Oggi, a differenza di allora, non ci dovrebbero stupire i risultati che emersero; vale a dire che l’impatto maggiore fosse dettato da variabili di contesto e psicologiche. Più che il numero delle pause, la retribuzione o la quantità di illuminazione dei luoghi, il fatto stesso che le operaie fossero state coinvolte e interpellate su cosa per loro fosse fondamentale per produrre meglio, risultò essere l’elemento cruciale sulla produttività. Si cominciò, quindi, a parlare di “Fattore Umano” come elemento rilevante nel lavoro.

Da “personale” a “risorsa umana”, per arrivare al concetto di persona

L’evoluzione di queste riflessioni oggi si chiama wellbeing; le Aziende si interrogano su come creare o irrobustire un contesto lavorativo che sia funzionale agli obiettivi di business. Oggi nelle imprese si strutturano analisi di clima, si predispongono percorsi di coaching e corsi di formazione sulle soft skill, si valutano le persone e si formano su variabili comportamentali, si parla di sviluppo delle persone. L’elemento psicologico è ritenuto cardinale nella gestione di quelle che vengono ancora definite risorse umane, tanto che molto spesso nelle aziende esistono Unità Organizzative che prendono questo nome. Queste stesse unità organizzative oggi si interrogano proprio sul concetto di persona, non più risorsa.

È chiaro che le competenze psicologiche hanno assunto una rilevanza sempre più importante nelle aziende. Lo Psicologo è però capace di tradurre le proprie competenze (il sapere psicologico) in un linguaggio fruibile nei contesti aziendali? Lo Psicologo, formato nei contesti universitari e post-universitari, possiede gli strumenti per “mettere a terra” le conoscenze specifiche della propria disciplina? È capace di dialogare con le altre figure che operano all’interno dei contesti organizzati?

Diventa, quindi, cruciale avere percorsi che fungano da anello di congiunzione tra le conoscenze teoriche e le competenze applicative; è necessario che lo Psicologo che voglia operare nei contesti aziendali conosca la teoria, le tecniche, gli strumenti e anche le modalità con cui poter rendere efficace la Psicologia nel mondo del lavoro.

Per chi desidera approfondire il tema della Storia della Psicologia Applicata:

Lombardo G. P., Pompili A., Mammarella V., (2002), “Psicologia applicata e del lavoro in Italia. Studi storici”, Franco Angeli.

Visita la pagina web del Master a questo link: https://apc.it/lista-eventi/master-di-alta-formazione-in-psicologia-cognitiva-del-lavoro/

Foto di Kampus Production: https://www.pexels.com/it-it/foto/scrivania-ufficio-business-stanza-8463166/

Nuove terapie: come orientarsi?

di Claudia Perdighe

Il convegno SITCC di Bari ha affrontato il tema dell’approccio professionale agli interventi di psicoterapia più recenti e in continua nascita

Come orientarsi nel proliferare di sempre “nuove psicoterapie”? Non sarebbe compito delle scuole di formazione fare da interfaccia tra gli studenti e le varie forme di terapia possibile?

Sono questi i due quesiti centrali emersi durante la tavola rotonda che ha dato il via al convegno Sitcc di Bari. La prima domanda, posta dal prof. Cesare Maffei, ha trovato risposta della seconda, rivolta al relatore da una studentessa tra il pubblico. Ebbene, sono proprio le scuole a supportare gli specializzandi nelle scelte rispetto alla formazione e sugli interventi terapeutici più efficaci con i pazienti.

Argomentazioni esaurienti a queste e ad altre domane sono state fornite durante il simposio “Disturbo Ossessivo Compulsivo: protocolli di intervento, procedure e tecniche di intervento innovative”, che ha visto Elena Prunetti  in veste di chair e  Teresa Cosentino nel ruolo di discussant. Difficile sintetizzare l’intera discussione, che tocca vari temi chiave per la psicoterapia.  Per darvi un’idea dei percorsi affrontati, ecco un elenco di quesiti con risposta che possono rappresentare i cardini delle riflessioni durante l’incontro:

    • perché si soffre? La spiegazione va cercata a livello di scopi e credenze;
    • perché i pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo soffrono? Perché hanno il terrore di vedere minacciata la loro dignità morale, vale a dire iper-investono sulla prevenzione della colpa;
    • quale è il bersaglio dell’intervento, vale a dire cosa devo cambiare perché i sintomi si riducano? Il timore di colpa;
    • quali strumenti terapeutici abbiamo a disposizione per colpire il bersaglio? Tutti quelli della terapia cognitivo comportamentale (CBT) di prima e seconda generazione, innovazioni di queste (come quella proposta da Angelo Saliani), procedure di terza generazione come la compassion therapy;
    • funziona? Sono stati elaborati dati attendibili su esiti positivi delle procedure.

In altri termini, sembra che quando ci si muove su una spiegazione chiara della psicopatologia e di uno specifico disturbo, ne derivi una ipotesi chiara sul funzionamento dello specifico paziente che definisce il target dell’intervento. Diventa così più facile orientarsi (e orientare i giovani specializzandi) tra le procedure e forme di terapia. Ad esempio, se è chiaro che il mio bersaglio è il timore di colpa, posso provare a farlo con: esposizione, provando a modificare le credenze che lo sostengono, provando ad aumentare la disponibilità al perdono di sé e all’autocompassione, provando a modificare le memorie delle esperienze su cui il timore di colpa si è creato con procedure di Schema Therapy o EMDR e cosi via. Con questa impostazione, ne deriva anche una maggiore facilità di risposta alla domanda: funziona?

Un’osservazione a margine: in questo simposio non si è posta l’attenzione esplicita sulla relazione. L’impressione è che, come suggerito sempre da Angelo Saliani nelle tavole rotonde sull’impasse terapeutico, una profonda conoscenza della psicopatologia permette di ricavare interventi che riducono i problemi di ordine relazionale oltre a facilitare una via d’uscita efficace laddove si presentano.

In sintesi, tornando al tema principale, laddove ci sia una teoria psicopatologica chiara (e in questo caso è quella di Francesco Mancini sul DOC), diventa molto più facile orientarsi, applicare e studiare l’efficacia di procedure nuove.

In questa impostazione, troviamo anche una risposta alla domanda: come ci si può formare bene su tutte queste nuove terapie?

Non è necessario “formarsi bene”, se con questo si intende formarsi a un altro modello teorico di spiegazione della psicopatologia. È vero che le terapie di terza onda sono basate su una teoria esplicativa diversa da quelle di seconda generazione, ma per usare molte procedure non è necessario “comprare tutto il pacchetto”.

Cosi come è accaduto con il training assertivo o con l’ERP, procedure di cambiamento nate all’interno della teoria comportamentale, possono essere integrate perfettamente tra le tecniche di un terapeuta CBT senza la necessità di “sposare” la teoria esplicativa sottostante. Se fatto in modo coerente non è confusivo ne tantomeno un ecclettismo pasticciato; l’importante è avere chiaro cosa esattamente si vuole cambiare nel paziente e in che modo quella procedura può essere utile a tale fine. Del resto credo che pochi tra i colleghi della Sitcc che usano l’EMDR, sposino anche la teoria esplicativa sottostante.

Un’ultima osservazione: sembra che parte della confusione nasca dal mettere molte procedure di cambiamento nella categoria “terapia” e non “tecnica” o “procedura”, con il sottinteso che è una nuova o differente teoria di spiegazione, oltre che di cura, del paziente. E, purtroppo, forse spesso la ragione di questo è più economica e di status, che di tipo scientifico.

Assessment e Cognitivismo

di Anna Chiara Franquillo (SPC sede di Grosseto)

Il ruolo degli scopi e degli antiscopi nella concettualizzazione del paziente.

Più è accurata la mappa, più è sicuro il viaggio: assessment e trattamento dei disturbi di personalità è il nome del simposio che, al XXI Congresso Nazionale SITCC di Bari, ha ospitato un lavoro molto interessante, oltre che innovativo, sul ruolo degli scopi e degli antiscopi all’interno della prospettiva cognitivista. Perché è centrale comprendere la concezione scopo/antiscopo all’interno della psicopatologia? Giuseppe Femia, insieme ad un nutrito gruppo di ricerca composto dai colleghi Isabella Federico, Andrea Gragnani, Francesca D’Olimpio, Guyonne Rogier, Roberto Lorenzini e Francesco Mancini, ha risposto ad un interrogativo così importante e cruciale attraverso un complesso studio, che si è posto l’obiettivo di sottolineare quanto l’iperinvestimento sugli scopi e gli antiscopi, oltre che la rigidità, la pervasività e persistenza degli stessi, possano costituire un nucleo centrale di sofferenza soprattutto in relazione a manifestazioni psicopatologiche come i disturbi di personalità.
Ma… andando per gradi… che definizione potremmo dare alla concezione di goal e antigoal?
Potremmo parlare di entrambi differenziandoli in stato desiderato e stato temuto, come qualcosa, cioè, da raggiungere e da evitare ad ogni costo, all’interno di una rappresentazione individuale in cui questi si strutturano nel tempo e costruiscono il modo in cui la persona si muove nel mondo. Sulla base di ciò, l’obiettivo dello studio era proprio quello di osservare se fosse maggiore l’iperinvestimento degli scopi/antiscopi in un campione clinico rispetto al gruppo di controllo e a quello di psicoterapeuti in formazione, e se l’iperinvestimento si associasse a maggiore disagio e sofferenza. È stato costruito, pertanto, uno strumento ad hoc chiamato Strumento Scopi- Antiscopi (S-AS) in grado proprio di cogliere sia attraverso domande qualitative, che quantitative, oltre che con l’utilizzo di una checklist di emozioni, l’architettura scopistica dell’individuo. Questo strumento vanta la sua costruzione sulla base di una grande pratica clinica, oltre che su un confronto attivo con i colleghi in grado di fornire stimoli e spunti di riflessioni secondo la prospettiva cognitivista. Quello che emerge è che il gruppo clinico, rispetto al gruppo di controllo e quello degli psicoterapeuti in formazione, ottiene punteggi più alti rispetto alla scala del prestigio interpersonale, a quella dell’instabilità psicologica e quella dell’esclusione sociale, del perfezionismo, dell’autosacrificio dell’identità e, infine, della fiducia. Queste considerazioni statistiche supportano la concezione iniziale teorica che fonda le basi dello studio e fornisce delle prime osservazioni sull’importanza di tale strumento all’interno dell’assessment cognitivista. L’utilizzo di tale strumento si rivela fondamentale poiché, se l’assessment è ben fatto e riesce a cogliere le specifiche dell’individuo attraverso la formulazione degli scopi e antiscopi che lo muovono nel rapporto con sé e con il mondo esterno, allora anche la strutturazione del trattamento può diventare mirata e ben focalizzata sulla persona, sui suoi personali significati e rappresentazioni. Un buon trattamento non può esistere se prima non si è fatto un buon assessment. Per questo, ampliare la prospettiva cognitivista di uno strumento come il S-AS può diventare un plus valore sia per i pazienti che per i terapeuti stessi, i quali si troveranno ad accedere in maniera più agevolata al paziente e ai suoi contenuti più profondi, costruendo di conseguenza interventi sia mirati che accurati.

Foto di Ishaan Aggarwal: https://www.pexels.com/it-it/foto/cartina-geografica-bussola-tiro-verticale-mappa-8231152/

Più è accurata la mappa, più è sicuro il viaggio

di Augusta Luana, Bartolo Emmanuela, De Santis Giuseppe, Lavilla Federica (centro clinico Ecopoiesis Reggio Calabria)

Assessment e disturbi di personalità

Il XXI Congresso Nazionale SITCC è stato il teatro, nella sede mediterranea di Bari, di un simposio sull’assessment, con chair il Dott. Andrea Gragnani e la Dott.ssa Donatella Fiore nel ruolo di discussant, ricco di interventi che hanno sintetizzato al meglio gli obiettivi di ricerca e di impegno sociale propri della psicoterapia cognitiva: più è accurata la mappa, più è sicuro il viaggio: assessment e trattamento dei disturbi di personalità.

Già il titolo introduce l’importanza di considerare la valutazione iniziale con il paziente come una guida imprescindibile per il clinico, finalizzata a una migliore gestione dell’intervento terapeutico e orientata a scegliere il miglior trattamento possibile. Per procedura di assessment intendiamo infatti l’operazione di valutazione che ha inizio al momento del primo contatto con il soggetto, e che prosegue durante tutta la durata della terapia (Bara, 2006).

Nella prima relazione, dal titolo “Assessment terapeutico” e drop-out nei pazienti complessi, il Dott. Gaetano Mangiola (Centro Clinico Ecopoiesis, Reggio Calabria) ha indagato l’efficacia di anteporre al trattamento dei pazienti con disturbi di personalità una fase iniziale di assessment standardizzato, in linea con il Therapeutic Model of Assessment TMA (Finn, 1998).

La procedura di assessment dell’Associazione Ecopoiesis prevede un primo colloquio clinico semi-strutturato per analizzare il motivo della visita; due incontri dedicati all’intervista SCID-5-PD, alla somministrazione di una batteria di test (MMPI-2, PID-5, LPFS, SCL-90, TAS-20, ASQ e IIP-47) e all’approfondimento di un questionario anamnestico; un ultimo incontro di restituzione al paziente del suo funzionamento in ottica cognitiva e di una proposta terapeutica.

Ciò che in genere si osserva è che, al termine dell’incontro di restituzione, nel paziente avviene un processo di insight rispetto al proprio funzionamento, con un aumento della fiducia e della motivazione al trattamento che migliorano l’alleanza terapeutica (Sartori, 2010) e favoriscono di conseguenza un outcome migliore.

Partendo da questa ipotesi, il lavoro si è proposto di confrontare i dati relativi al drop-out del campione di 484 soggetti con disturbi di personalità a disposizione del Centro Clinico con quelli presenti in letteratura, ipotizzando che il modo in cui la procedura di assessment è strutturata riduca la percentuale di drop-out dei pazienti complessi.

Effettivamente, i risultati della ricerca hanno mostrato come l’assessment sembri avere un effetto positivo in termini di riduzione del drop-out dei pazienti con disturbi di personalità, in particolare del cluster B, soprattutto con diagnosi di tipo narcisistico e borderline. Inoltre, i pazienti che effettuano una procedura standardizzata di assessment comprensiva di un incontro di restituzione hanno un outcome migliore rispetto ai dati presenti in letteratura, e presentano anche un tasso di drop-out significativamente più basso rispetto ai pazienti che non effettuano una procedura standard di valutazione.

A seguire il Dott. Giuseppe Femia, con l’iper-investimento su scopi e la psicopatologia: quale relazione?, ha presentato lo strumento Scopi-Antiscopi (S-AS, Femia et al., 2021), ancora in fase di validazione, che sembrerebbe essere in grado di indagare scopi e antiscopi dei pazienti.
Dal punto di vista clinico, l’utilizzo dello strumento potrebbe cogliere l’architettura scopistica, agevolando così il lavoro di assessment e offrendo un supporto per lo sviluppo dell’alleanza terapeutica, oltre che per una progettazione mirata dell’intervento.

Cornice teorica alla base dello studio è che la mente degli esseri umani non si limita a credere e sapere, ma crea anche rappresentazioni di ciò che vuole – gli scenari desiderati o scopi – e ciò che non vuole – gli scenari temuti o antiscopi (Saliani et al., 2020). Dunque, la psicopatologia e, più specificamente, i disturbi di personalità, oltre che da caratteristiche di rigidità degli investimenti, pervasività e persistenza che portano allo svilupparsi di un piano esistenziale povero che genera sofferenza e resistenza al cambiamento, sembrano essere propriamente caratterizzati anche da un iperinvestimento in termini di scopi e antiscopi.

Lo studio condotto ha quindi voluto esplorare la struttura fattoriale dello strumento S-AS e la relazione che intercorre tra i diversi fattori del S-AS e i domini della personalità. A tal fine ad un campione di 572 soggetti, suddivisi in tre gruppi: popolazione generale, gruppo clinico e psicoterapeuti in formazione, resi omogenei per età e per genere, è stato somministrato lo strumento S-AS, questionario composto da un elenco di 20 scopi e 20 antiscopi. Inoltre, ipotizzando che il gruppo clinico avesse risultati più elevati rispetto agli altri due gruppi, si è voluto valutare se ci fossero differenze tra i tre gruppi in termini di iperinvestimento (su scopi e antiscopi) e se un maggior iperinvestimento fosse associato ad un aumento dei punteggi in termini di sofferenza e disagio percepiti. Per tale obiettivo, ad un sotto-campione di 327 soggetti è stato chiesto di compilare ulteriormente il PID-5 e la SCL-90-R.

Le analisi fattoriali hanno mostrato una struttura del S-AS a 8 fattori: Prestigio interpersonale, Instabilità psicologica, Esclusione sociale, Perfezionismo, Difettosità, Autosacrificio, Identità e Fiducia. Tali fattori saranno quindi oggetto di approfondimento nelle ricerche future.

I dati ottenuti si sono rivelati efficaci nel supportare il clinico in maniera rapida e al contempo accurata nel processo di assessment e di successiva pianificazione del trattamento, «mappando» quelli che sono i temi di vita e, nello specifico, gli scopi e gli antiscopi iperinvestiti nei pazienti.  Le analisi correlazionali, invece, tra i punteggi del S-AS e dei domini del PID-5 e tra i punteggi del S-AS e della SCL-90-R sembrerebbero confermare le ipotesi iniziali. I risultati ottenuti, ad eccezione del quinto fattore, suggerirebbero, dunque, una relazione tra tratti e domini di personalità maladattivi e iperinvestimento in termini di scopi e antiscopi. Inoltre, sembrerebbe che all’aumentare dell’iperinvestimento in termini di scopi e antiscopi aumenterebbe anche la sofferenza sintomatologica e l’indice di distress generale (Global Severity Index), confermando, di fatto, la relazione tra iperinvestimento e psicopatologia.

Nella terza relazione, dal titolo MMPI-2 e PID-5 a confronto: scale cliniche e funzionamento della personalità mediante un caso clinico, il Dott. Emanuele Del Castello si è proposto l’obiettivo di dimostrare la capacità dell’MMPI-2 di delineare il profilo di funzionamento della personalità tramite l’utilizzo di una lettura sia di tipo clinico-categoriale che di tipo dimensionale.

Esaminando l’MMPI-2 è possibile riscontrare due livelli: il livello statistico attuariale (Scale Cliniche e alcune Scale Supplementari) e il livello di contenuto (Scale di Contenuto, Sottoscale Cliniche e Item Critici). Entrambi i livelli permettono di costruire una rappresentazione complessa e articolata del funzionamento della personalità, essenziale ai fini diagnostici e clinici. Per favorire l’integrazione tra questi due livelli è possibile applicare una tecnica di aggregazione dei dati che viene definita Psicodiagnosi Strutturale (Del Castello, 2015): una metodologia che permette al clinico di far convergere i dati provenienti dai vari strumenti di indagine, clinici e testologici, nelle varie aree del funzionamento mentale del paziente, contribuendo, in tal modo, a costruire un quadro ordinato e pertinente degli aspetti problematici e anche dei punti di forza del paziente in oggetto.

Mediante l’analisi di caso clinico, è stato possibile osservare come, mettendo a confronto i domini emersi nel PID-5 e le Scale PSY-5 dell’MMPI-2, ci sia un pieno grado di accordo e una piena corrispondenza tra le dimensioni del DSM-5 presenti nel PID-5 (Antagonism, Psychoticism, Disinhibition, Negative affectivity e Detachment) con il modello PSY-5 dell’MMPI-2 (Aggressiveness, Psychoticism, Disconstraint, Negative emotionality neuroticism, Introversion/low positive emotion). In tal modo è stato possibile dimostrare come l’MMPI-2 sia perfettamente in grado di valutare clinicamente il funzionamento della personalità secondo i criteri dimensionali previsti dal DSM-5-TR (APA, 2023) e dal modello alternativo sui Disturbi della Personalità (Sezione II del DSM-5-TR).

Nell’ultimo contributo del simposio, dal titolo Il ruolo della noia come emozione cruciale nel funzionamento di alcune dimensioni personologiche, la Dott.ssa Anna Chiara Franquillo ha approfondito la relazione tra la noia e alcuni tratti di personalità, indagando le ricadute di tale associazione sul distress psicologico.

Sulla base dei dati presenti in letteratura sembra infatti che la noia, descritta come uno stato affettivo specifico caratterizzato da diverse componenti tra cui basso arousal, mancanza di attenzione, valenza negativa, una percezione amplificata del tempo e una sensazione di mancanza di scopo esistenziale, correli positivamente con il tratto di personalità del nevroticismo, caratterizzato da ansia, preoccupazione, instabilità emotiva e generale insicurezza (Mercer-Lynn, 2013; Tam et al., 2021) e sia presente in soggetti affetti da Disturbo Borderline di Personalità (DBP) (Masland et al., 2020) e da Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP) (Wink and Donahue, 1997).

Sulla base di tali premesse, il lavoro di ricerca si è proposto di approfondire la relazione tra la noia di stato e la psicopatologia generale, ipotizzando che la relazione con la sintomatologia depressiva fosse più forte che con altre condizioni psicopatologiche, e di comprendere la relazione tra la noia e i tratti di personalità, ipotizzando una forte relazione tra questi due costrutti.

Lo studio è stato condotto su un campione di 588 italiani adulti appartenenti ad una popolazione generale, cui sono stati somministrati, tramite una survey online, due strumenti di valutazione: il MSBS per la noia e il PID-5 per la valutazione dei tratti di personalità, in accordo con il modello dimensionale proposto dal DSM-5.

I risultati hanno mostrato un’interessante associazione tra la noia e il distress psicologico, in particolar modo con la depressione, e tra la noia e alcune tendenze personologiche, considerate tratti, come l’affettività negativa e il distacco. In merito a quest’ultimo aspetto, sembra sia proprio la depressione a giocare un ruolo cruciale nel mettere in relazione la noia con tratti di personalità come il nevroticismo e il distacco.

Sulla base di tali osservazioni, seppur riscontrabili all’interno di un campione non clinico, è possibile affermare che la noia sembrerebbe essere un vissuto centrale e trasversale ad alcuni tratti strutturanti la personalità, oltre che a diverse condizioni sintomatologiche che causano sofferenza. Lo studio della noia offre, dunque, interessanti spunti di riflessione clinica sia in termini di assessment che di intervento cognitivo-comportamentale. Esso contribuisce, infatti, ad una più ampia comprensione degli stati mentali problematici e alla costruzione di nuovi modelli di trattamento specifici indirizzati verso la gestione di questa emozione.

Senza alcun dubbio, potrebbe rivelarsi interessante orientare gli sviluppi futuri di tale lavoro verso un’osservazione del costrutto su un campione specificatamente clinico, integrando ulteriori analisi ed eventuali strumenti di valutazione al fine di approfondire la relazione tra le variabili e il loro effetto.

Il simposio preso in esame ha avuto, in conclusione, il merito di confrontare e far comunicare contributi e punti di vista differenti, dimostrando ancora una volta l’importanza di integrare le varie chiavi di lettura volte ad osservare i processi implicati nella valutazione della psicopatologia della personalità, per una sempre più profonda conoscenza e valutazione del funzionamento mentale.

Foto di Amine M’siouri : https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-che-cammina-sul-deserto-2245436/

“L’amore è l’unica cosa”

di Caterina Villirillo

L’intervento di Steve Hayes e altri spunti per il trattamento dell’età evolutiva al Congresso Intermedio SITCC

Un congresso tra amici e colleghi in atmosfera natalizia con vista mare: è il ricordo che conservo del Congresso Intermedio SITCC che si è svolto dal 9 all’11 dicembre 2022 ad Ancona. Un congresso per la prima volta interamente dedicato all’età evolutiva: un’occasione unica di confronto e formazione che ha coinvolto diversi colleghi che operano nel territorio nazionale e che si occupano quotidianamente di questa particolare fase della vita. Il programma è stato ricchissimo e variegato. La prima giornata ha previsto tre workshop paralleli esperienziali dedicati all’Acceptance and Commitment Therapy, alla Theraplay e al trattamento dei disturbi da Tic e della Sindrome di Tourette. Nelle giornate successive, in due tavole rotonde diversi membri dell’equipe per età evolutiva SPC-APC hanno avuto il piacere di esporre i propri lavori sul tema dei disturbi specifici di apprendimento e dei disturbi di personalità, nell’ottica dello sviluppo nell’arco della vita. Ci sono stati, inoltre, sei simposi paralleli dedicati a lavori clinici e di ricerca.
Gli spunti offerti da questi interventi e l’esposizione delle tecniche che hanno stimolato il desiderio di lavorare in modi alternativi con i pazienti sarebbero già stati sufficienti a rendere questo congresso imperdibile, ma la main relation di Steve Hayes, fondatore dell’Acceptance and Commitment Therapy, ne ha definito l’unicità. È stato emozionante ascoltare il professore che, con la semplicità che lo contraddistingue, ha spiegato come è necessario occuparci del benessere infantile, considerando il mondo attuale in cui i bambini vivono, in continua trasformazione. Secondo Hayes, è necessario reinventarci ogni giorno, senza perdere mai l’entusiasmo e la passione per il nostro lavoro: “Il mio messaggio per voi è quello di guardare alla scienza della flessibilità psicologica, – ha detto – ma anche a come questa possa rendere noto ciò che già conoscete, ovvero portare amore a voi stessi; anche quando è difficile, – ha aggiunto – vi aiuterà a portare amore nel mondo nel modo in cui volete portarlo nel mondo, perché l’amore non è ogni cosa, l’amore è l’unica cosa”. Parole che costituiscono una bussola che potrà guidarci e indirizzare i nostri valori nella professione di terapeuta.
Non sono mancati i momenti di convivialità ed è sempre bello osservare come a fare ancora più grande il valore di molti colleghi stimati sia la capacità di sapersi prendere con leggerezza, di appassionarsi e divertirsi: un grande valore aggiunto al mestiere del terapeuta, soprattutto quando ci si trova di fronte a piccoli e giovani pazienti. Il senso di appartenenza a questo gruppo io l’ho sentito, è stato bello ritrovare colleghi che per vie diverse hanno fatto parte del mio percorso e vedere come tutte le strade si ricongiungono in una rete coesa di collaboratori preziosi, che parlano la stessa lingua, che ogni giorno si impegnano a perseguire l’obiettivo di favorire il benessere e migliorare la qualità di vita di bambini e adolescenti. I dati sulla sofferenza psicologica in età evolutiva, condivisi anche durante il convegno, sono purtroppo allarmanti ed è importante dare maggiore rilievo a questa tematica perché conoscere e condividere tecniche sempre più aggiornate può permetterci, in tempo reale, di intervenire sulla vulnerabilità storica degli adulti di domani. Queste sono occasioni davvero preziose e mi auguro che il successo di questa prima edizione possa incoraggiare la scelta di rendere il congresso SITCC per l’età evolutiva un appuntamento fisso. E intanto arrivederci a Bari per il congresso SITCC di settembre 2023!

Foto di Nothing Ahead:
https://www.pexels.com/it-it/foto/clima-natura-persona-mano-4715498/

 

Prevenire la sofferenza in età evolutiva

di Giordana Ercolani

Nuove prospettive e linee di intervento al Congresso Intermedio SITCC 2022      

Metti una società scientifica e professionale con oltre 2000 soci che si occupano di psichiatria, neuropsichiatria infantile, psicologia clinica e psicoterapia. Una tradizione di quasi 40 anni di lavoro dedicato all’approfondimento di aspetti teorici, clinici e applicativi nell’approccio cognitivo comportamentale. Un gruppo di colleghi che in questa società scientifica esprimono il loro particolare interesse sulla psicoterapia dell’età evolutiva.
Aggiungi un programma scientifico ricchissimo, che in tre giornate ha offerto: tre workshop dal taglio pratico su modelli specifici di intervento in età evolutiva; due tavole rotonde sul tema dei disturbi specifici dell’apprendimento e dei disturbi di personalità, in un’ottica di sviluppo e nell’arco di vita; la main relation del prof. Steven C. Hayes, ideatore e co-sviluppatore dell’Acceptance and Commitment Therapy; sei simposi paralleli in cui sono stati presentati lavori clinici e di ricerca relativi all’applicazione della terapia cognitivo comportamentale (CBT) in età evolutiva.

Infine, immagina la tanta voglia di stare insieme e di confrontarsi dopo un lungo periodo di pandemia e la location suggestiva di una città sul mare come quella di Ancona: il risultato è senza dubbio un’esperienza positiva. Così è stato il Congresso Intermedio SITCC 2022 intitolato “La terapia Cognitivo Comportamentale in età evolutiva: nuove prospettive e linee di intervento”.

Grazie al lavoro svolto dal comitato scientifico, rappresentato dalle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva APC-SPC e la Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva SBPC, per tutti i soci è stato possibile partecipare al primo congresso SITCC dedicato interamente all’età evolutiva. L’imbarazzo della scelta sui panel da seguire è stato costante, ma al tempo stesso l’indecisione è stata piacevolmente modulata dalla soddisfazione nel vedere così tanti terapeuti distribuiti nelle aule e dalla possibilità di confrontarsi con colleghi che avevano seguito simposi diversi dai propri. Sono stati, infatti, davvero tantissimi gli spunti di riflessione da cogliere durante le tre giornate di lavoro, nella comune convinzione che, grazie a una vincente integrazione tra scienza, pratica clinica e creatività, sia possibile intervenire nel percorso di vita dei nostri giovani pazienti prima che diventino degli adulti sofferenti. A partire dalla giornata di workshop, si è potuto sperimentare, ad esempio, quanto con la Theraplay si possa avere accesso al mondo interno di bambini e adolescenti con attività che apparentemente sembrano “solo” ludiche. Ciò avvalora ulteriormente quanto una puntuale rappresentazione del funzionamento del paziente nella mente del suo terapeuta, unita a un razionale strategico che ne tenga conto, siano elementi fondamentali in grado di trasformare una “semplice” pratica di confronto giocoso in una preziosa occasione di consapevolezza, elaborazione della sofferenza e cambiamento. Allo stesso modo, proseguendo con i simposi e le tavole rotonde, è stato possibile constatare, a conferma di quanto già riscontrabile nella pratica clinica quotidiana, come quei bambini e ragazzi che fin dai primi anni di vita si trovano costretti a confrontarsi con una vulnerabilità neuropsicologica crescano costruendo una immagine di sé stessi e del mondo attorno strettamente vincolata a esperienze di svantaggio in molti domini di vita. Il risultato è una marcata ricaduta negativa sull’immagine di sé e sulle relazioni interpersonali, spesso origine di sofferenza psichica che, se trascurata o considerata solo marginalmente, li porterà con grande probabilità ad essere degli adulti ancor più problematici. Riassumere tutto in poche righe è davvero un’impresa impossibile, non resta che aspettare il prossimo congresso organizzato dai colleghi dell’area di Interesse sulla Psicoterapia dell’Età Evolutiva e parteciparvi, così da essere ancora più numerosi e alimentare uno scambio scientifico sempre più stimolante.

Foto di Artem Podrez:
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Tutti i colori del Congresso SITCC

di Rosaria Monfregola

Report dell’’evento ad Ancona sull’età evolutiva

Quest’anno è stata Ancona, la città dei due soli, a ospitare il congresso intermedio SITCC, che si è svolto a dicembre; nell’intero weekend non è stato possibile vedere i due soli (l’alba e il tramonto sul mare) a causa di forti piogge, ma l’ultimo giorno l’immagine di un arcobaleno sul mare ancora riaffiora nella mia mente, a suggellare l’esperienza di questo congresso.

In apertura gli organizzatori forniscono qualche dato dalle sfumature grigiastre: “Si consideri che la metà degli adulti con una patologia psichiatrica hanno un esordio prima dei 14 anni” (Rapporto dell’OMS del 2021) e “in Italia circa 400.000 minori sono in carico ai servizi sociali, di cui 77.000 per maltrattamento” (Rapporto CISMAI del 2021). Queste solo alcune ragioni a favore di un congresso incentrato sulla psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, sottolineando l’importanza dell’intervento terapeutico in età precoce. E con l’avvio dei lavori inizia a colorarsi il panorama congressuale.

Uno dei colori è rappresentato dal confronto tra professionisti su tematiche specifiche. Ad esempio, nella prima tavola rotonda, con focus sui disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e sulle comorbilità psichiatriche, si è parlato dell’importanza della diagnosi esplicativa nelle comorbilità dei DSA, delle co-occorrenze con i disturbi esternalizzanti che rappresenta un importante fattore di rischio in età evolutiva. Nella seconda tavola rotonda, incentrata su disturbi di personalità, prodromi e modelli di intervento, i colleghi hanno condiviso l’importanza di rintracciare i precursori di rischio e i fattori protettivi per uno sviluppo armonico della personalità in età evolutiva, ma soprattutto la necessità di effettuare una diagnosi precoce. Di grande rilevanza, ad esempio, il contributo sui comportamenti suicidari e l’autolesività non suicidaria in adolescenza.

Un altro colore di questo congresso è dato dall’esplicazione di numerosi modelli di intervento presentati nei workshop, nella presentazione di casi clinici, oppure proposti in forma descrittiva nei vari simposi: per citarne alcuni, si pensi alla Trauma Focused Therapy (TF-CBT) che ha dominato il simposio sul trauma, al Modello a Tre assi (TAM) esposto nel simposio sull’Adolescenza, o al Cool Kids Program, il modello scopistico presentato in più di un lavoro o un protocollo di promozione del benessere volto al miglioramento della qualità di vita nei ragazzi con DSA.

L’esperienzialità è stata una tinta accesa dei tre workshop in parallelo che hanno introdotto nell’applicazione di modelli specifici di intervento. Nel workshop “La Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi da tic e della Sindrome di Tourette”, la dott.ssa Monica Mercuriu ha presentato il modello di terapia cognitivo comportamentale integrata (CBTI), arricchito da video e vignette cliniche. Il fare esperienza di un’esemplificazione di trattamento in diretta, mediante collegamento online con un giovane paziente con sindrome di Tourette, è stato un momento prezioso per toccare con mano l’applicazione dell’Habit Reversal Training (H.R.) e dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP), tecniche evidence based per la sintomatologia ticcosa.

Non sono mancati i lavori di ricerca che hanno consentito di portare dati di efficacia nei diversi ambiti di applicazione della terapia cognitivo comportamentale in età evolutiva.

Un nuovo colore è stato dato dalle nuove prospettive, tra le quali quella proposta dall’ospite internazionale, il prof. Steven C. Hayes: l’Extenden Evolutionary Meta-Model (EEMM), un approccio evolutivo basato sui processi, che attenziona la natura multidimensionale e multilivello del funzionamento umano. Oltre alle sei dimensioni psicologiche, l’autore cita i livelli biofisiologici e socioculturali osservabili nei processi di cambiamento.

Infine, un tocco di luminosità è stato dato dalla condivisione con i colleghi: nei coffee break e nel corso dell’immancabile e briosa cena sociale, il confronto è stato quel quid in più che ha permesso la condivisione di idee e l’arricchimento della rete di relazioni.

È con un arrivederci a Bari 2023 (save the date: 21-24 settembre) che si è concluso questo congresso SITCC!

 

Foto di Alexander Grey:
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Trattamento dei traumi infantili

di Caterina Villirillo

Il protocollo evidence-based per la cura di bambini e adolescenti con traumi infantili

Il 3 Febbraio 2021 si è tenuto il Simposio online dal titolo “Trauma-Focused Cognitive-Behavioral Therapy: Il protocollo evidence-based per la cura di bambini e adolescenti con traumi infantili”, organizzato dalle Scuole di Psicoterapia Cognitiva SPC e APC. Per il pubblico italiano ed internazionale sono intervenuti, con un prezioso contributo, due massimi esperti della Trauma-Focused Cognitive-Behavioral Therapy (TF-CBT): Il Prof. Anthony Mannarino, Direttore del Center for Traumatic Stress in Children and Adolescents, padre fondatore della TF-CBT e tra i massimi esperti a livello mondiale di trauma infantile e la Prof.ssa Zlatina Kostova, formatrice ufficiale in TF-CBT e ricercatrice presso il Child Trauma Training Center dell’Università del Massachusetts Medical School negli Stati Uniti.

I due relatori hanno fornito una panoramica della TF-CBT, trattamento del trauma per bambini e adolescenti più rigorosamente studiato fino ad oggi. Tale protocollo, ispirato ad un approccio integrato centrato sulla teoria dell’attaccamento, viene utilizzato per il trattamento della sintomatologia traumatica in diversi casi come abusi sessuali, maltrattamenti, perdite, catastrofi naturali, incidenti stradali. E’ stato validato per un range d’età ampio che va dai 3 ai 18 anni e può essere applicato in diversi contesti socio culturali e setting che prevedono ad esempio il coinvolgimento o meno dei genitori, configurandosi come un trattamento notevolmente flessibile.

In particolare, dopo l’apertura dei lavori da parte della Prof.ssa Maria Grazia Foschino, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva AIPC di Bari e organizzatrice dell’evento, il Prof. Mannarino, ha descritto il protocollo, le sue componenti principali e le fasi specifiche. Le componenti della TF-CBT possono essere facilmente ricordate attraverso l’acronimo PRACTICE:

Psychoeducation and parenting skills – Psicoeducazione e skills genitoriali
Relaxation – Rilassamento
Affective Modulation/Modulazione Affettiva
Cognitive Processing/Elaborazione Cognitiva
Trauma narration and processing/Narrazione ed elaborazione del trauma
In vivo mastery/Padronanza dal vivo
Conjoint parent-child sessions/Sessioni congiunte bambino-genitore
Enhancing safety and social skills – Migliorare la sicurezza e le abilità sociali.

Le prime 4 componenti del protocollo riguardano la fase iniziale di stabilizzazione alla quale seguono la fase di narrazione ed elaborazione del trauma e quella di integrazione che comprende le ultime 3 componenti.

In genere la durata del protocollo è di 8-16 sessioni che possono diventare 16-25 in presenza di traumi complessi e che prevedono una fase di stabilizzazione più lunga (circa 12-13 sessioni).

Il Prof. Mannarino, autore di ben 23 studi controllati randomizzati che dimostrano l’efficacia del suddetto protocollo, ha, inoltre, illustrato la diffusione a livello mondiale dello stesso descrivendo come, negli ultimi decenni, si siamo composti in 36 Paesi del pianeta, diversi gruppi di trainer che hanno formato oltre 80000 clinici. La formatrice per l’Italia sarà proprio la Prof.ssa Kostova a partire dall’autunno 2021. Il Prof. Mannarino ha indicato, infine, delle fonti per reperire materiale gratuito prezioso per il lavoro clinico in sede e online (per saperne di più https:/tfcbt.org); per la traduzione di alcune risorse, quali workbook per genitori e bambini, sta già lavorando un gruppo di colleghi della scuola di Bari.

L’intervento della Prof.ssa Kostova, si è focalizzato, invece, sulla descrizione dell’evidenza scientifica del modello presentato. In particolare la Dott.ssa, dopo aver descritto il suo primo caso clinico trattato con successo con la TF-CBT, ha illustrato una serie di ricerche che dimostrano l’efficacia di questo trattamento anche rispetto ad altre tecniche altrettanto valide per il trattamento dei sintomi traumatici come l’Emdr. Entrambi gli approcci, infatti, favoriscono una riduzione dei sintomi del PTSD, quello che la TF-CBT sembra avere in più è l’effetto sulla riduzione dei sintomi associati al trauma come la depressione, l’ansia e i sintomi comportamentali. Inoltre, contribuisce alla riduzione dei sintomi, il coinvolgimento genitoriale nel trattamento. In particolare è stato dimostrato come la TF-CBT favorisca la riduzione del GAP nella percezione della severità dei sintomi traumatici da parte dei genitori, che tendono a sottovalutare il trauma dei loro figli, e dei bambini.  La Dott.ssa ha evidenziato, altresì, l’efficacia a lungo termine del protocollo descrivendo, a titolo esemplificativo, alcuni studi che ad un follow up di 6 e 12 mesi dalla conclusione del trattamento con la TF-CBT, dimostrano il mantenimento dei risultati e una riduzione di distorsioni cognitive, ansia e sintomi esternalizzanti. Una spiegazione plausibile è che tale protocollo insegna ai bambini e ai loro genitori competenze e abilità che possono essere adoperate anche alla fine della terapia e questo è probabilmente il valore aggiunto che favorisce il mantenimento dei risultati ed agisce sull’aumento dell’autoefficacia e della resilienza. A riguardo ha un ruolo importante anche il lavoro sulla cognizione.

E’ interessante notare come tale protocollo può essere implementato anche nei paesi in via di sviluppo; diversi studi ne hanno dimostrato l’efficacia confermando la possibilità di utilizzo in diversi contesti socio culturali e in presenza anche di formazione diversa da parte dei terapeuti grazie alla supervisione garantita dai trainer. Infine la Dott.ssa ha illustrato l’efficacia del protocollo anche online.

Il simposio si è concluso con un intervento del Prof. Mancini che ha sottolineato la rilevanza della TF-CBT definendola efficace ed efficiente e valutando l’importanza di lavorare efficacemente sul trauma in età evolutiva dal momento che spesso traumi infantili non trattati e/o non riconosciuti in modo adeguato, implicano danni a cascata in età adulta e dal punto di vista psicopatologico e dal punto di vista relazionale.

Dopo questo interessantissimo contributo non ci resta che attendere il prossimo autunno per conoscere più nello specifico il protocollo ed avere la possibilità, per chi lo desidera, di diventare terapeuti TF-CBT certificati!

Un workshop sul Rescripting

di Elena Cirimbilla

Il 23 Gennaio 2021 si è tenuto il Workshop online dal titolo “Il Rescripting: un metodo per intervenire sulle esperienze dolorose precoci”, organizzato dalle Scuole di Psicoterapia Cognitiva SPC e APC e condotto dal Professor Arnoud Arntz, psicologo, psicoterapeuta, tra i massimi esperti di Schema Therapy (Per saperne di più sulla Schema Therapy) nel panorama internazionale e tra i più importanti ricercatori nel campo dell’Experimental Psychopathology e della Schema Therapy.

La tecnica ’“Imagery With Rescripting” (IWR), il tema del Workshop, è un elemento base della Schema Therapy ed è volta a operare sui significati e sulle emozioni conseguenti alle esperienze infantili, partendo dall’idea che le radici dei vissuti emotivi attuali si collocano proprio in tali esperienze.

I bisogni del paziente, le sue memorie precoci e le emozioni connesse sono stati gli ingredienti principali del Workshop, in una costante e coinvolgente trattazione ad opera del Professor Arntz che, con una modalità attiva ed empatica, ha permesso ai partecipanti di entrare nel vivo del tema, da un punto di vista pratico ed esperienziale.

Dopo aver aperto l’incontro con una rassegna di evidenze scientifiche a sostegno dell’efficacia dell’IWR, il Professor Arntz si è dedicato alla descrizione della tecnica nel dettaglio.

Il protocollo base si divide in tre step:

  • Il paziente immagina il ricordo di un’esperienza traumatica precoce
  • Il terapeuta si inserisce nell’immagine e interviene sulla minaccia
  • Il terapeuta dirige l’attenzione sui bisogni del paziente/bambino

La prima fase del protocollo, la rievocazione del ricordo, è possibile attraverso l’accesso alle memorie infantili del paziente o attraverso un “ponte affettivo” a partire da un’esperienza problematica del momento presente e prevede che il paziente si “immerga” nel proprio ricordo, guidato dal terapeuta nell’uso dei cinque sensi.

Nella seconda e terza fase il terapeuta si inserisce nella memoria, in un contesto di totale vulnerabilità del paziente, per compiere un intervento teso alla Ri-scrittura di un ricordo intimo e traumatico. In questi step il terapeuta “agisce” nel ricordo del paziente mentre quest’ultimo entra in contatto e comunica le proprie emozioni, bisogni e desideri.

In queste fasi, la partecipazione attiva, attenta ed empatica del terapeuta è stata abilmente sottolineata dal Professor Arntz con quella che forse è la frase che più racchiude l’essenza del Rescripting: “Sono qui per te, ci sono io a proteggerti”.

Per i partecipanti è stato possibile entrare nel vivo della tecnica grazie a simulate e role playing proposti dal docente che, dopo aver interpretato il ruolo del terapeuta, lo ha ceduto, a turno, a tutti i presenti.

Dopo aver permesso a tutti di “allenarsi” con la tecnica, il Professor Arntz si è dedicato alla trattazione della variante del protocollo che prevede l’intervento diretto del paziente sul ricordo, attraverso quella parte del sé che è “adulta”: il terapeuta viene quindi sostituito da un sé adulto che ha le risorse per comprendere, validare e proteggere il suo sé bambino.

Di nuovo, in un’alternanza di spiegazioni, dimostrazioni e simulate, condite da un elevato tono emotivo, Arntz ha mostrato le fasi di questo protocollo, che prevede il passaggio ripetuto tra il sé bambino e il sé adulto.

L’ultima parte del Workshop è stata dedicata alle possibili problematiche e difficoltà che si possono incontrare nell’applicazione della tecnica, anticipando dubbi ed eventuali timori degli uditori e alle possibili altre applicazioni pratiche.

In conclusione, al termine della giornata, il partecipante torna a casa (anche se a casa eravamo già) con una nuova tecnica da inserire nel proprio bagaglio di conoscenze e con un pizzico di accoglienza emotiva ed empatia in più, grazie alla capacità del Professor Arntz di trasmettere il proprio desiderio e tenacia nell’aiutare il proprio paziente, il cui “aggressore deve essere combattuto con tutte le forze”, comunicando a tutti noi che davvero, di fatto, è lì per il paziente, per aiutarlo a proteggersi.