Lasciare il passato al suo posto

di Miriam Miraldi

Neurobiologia dell’EMDR per il trattamento dei ricordi traumatici

Le esperienze dolorose sono tra i nostri fattori comuni più potenti, che ci fanno sentire universalmente simili, come esseri umani. Ciascuno di noi ha fatto esperienza di sofferenza, ma ad alcuni accade di rimanervi agganciati, come se si fosse per errore calata l’àncora in un porto insicuro e spaventoso, e poi non si sapesse più come tirarla su e riprendere la navigazione: per quanto si provi a spostarsi in avanti, nel futuro, una forza terrifica, trattiene e rimbalza indietro.

Quando impariamo e facciamo esperienza di qualcosa, le informazioni vengono processate e immagazzinate nelle reti neurali: si trattiene ciò che è utile, si scarta ciò che non lo è, e si mettono in connessione fatti e vissuti simili. Anche gli eventi di vita emotivamente carichi vengono generalmente elaborati dal cervello attraverso una risoluzione adattiva, ma quando l’attivazione emotiva è estrema, come quando ci sentiamo gravemente in pericolo e sperimentiamo sensazioni di impotenza, questo può sopraffare il sistema e il normale processo risolutivo può bloccarsi, favorendo l’insorgenza di un disturbo da trauma.

Possono presentarsi sintomi come pensieri intrusivi, incubi, bassa concentrazione, difficoltà mnestiche, ansia, ipervigilanza rispetto a certi stimoli, sensazioni di torpore, come di essere “in una bolla”, evitamento di ciò che si ricorda o è in assonanza con l’evento traumatico. Ogni volta che attraverso qualche stimolo sensoriale o per analogia si ricontatta ciò che è successo, si rivivono nuovamente le stesse paure e angosce, con la medesima intensità, come se fosse ora. Il passato è ancora drasticamente presente, e allora non basterà il tempo a curare tutte le ferite.

L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing è un trattamento evidence-based in otto fasi per la cura del Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD). Il terapeuta guida i pazienti ad accedere a esperienze passate che sono alla base di problematiche attuali. Attraverso forme di stimolazione bilaterale (es. movimenti oculari, tapping, stimoli sonori alternati) interviene sui ricordi non elaborati, consentendo al sistema di elaborazione di informazioni del nostro cervello di metabolizzare i vecchi ricordi, in modo che non impattino più emotivamente sul presente, e vengano mentalizzati come eventi passati, che non possono più farci del male.

Negli ultimi anni diverse ricerche neurobiologiche, utilizzando le neuroimmagini, hanno documentato come la EMDR modifichi concretamente le reti neurali e le aree cerebrali: per fare un esempio, si è visto che nelle persone che soffrono di PTSD, l’ippocampo, il centro responsabile del consolidamento delle memorie a lungo termine, può restringersi e, se prima si credeva che ciò costituisse una condizione patologica permanente, le risonanze magnetiche hanno invece dimostrato che la ricrescita dell’ippocampo è possibile quando si interviene psicoterapeuticamente nella risoluzione del trauma. Altri studi svolti con l’ausilio di elettroencefalogramma (EEG) ci vengono in aiuto per comprendere in che modo funziona l’EMDR: dai tracciati EEG si evidenzia come i meccanismi di elaborazione del trauma siano sovrapponibili a ciò che avviene alle informazioni che elaboriamo durante il sonno. In particolare, sembra che la stimolazione bilaterale riproduca le condizioni fisiologiche del sonno non-REM. Usualmente, l’ippocampo si occupa di costituire la memoria episodica, mentre le emozioni a essa associata vengono immagazzinate nell’amigdala; da queste due aree del sistema limbico, l’informazione migra per essere poi elaborata e integrata nella memoria semantica corticale, che consente di dare senso all’evento, all’interno storia personale dell’individuo: questo passaggio avviene durante il sonno non-REM. Cosa avviene, invece, in caso di trauma? In questo caso, le informazioni che si trovano nell’ippocampo e nell’amigdala restano bloccate, cioè non vengono trasferite alla memoria semantica corticale, e perciò non vengono integrate, creando una ri-attivazione emozionale forte, come se l’evento si stesse riverificando nel presente. Durante la terapia EMDR, la stimolazione bilaterale riproduce le condizioni neurofisiologiche del sonno non-REM, consentendo alla memoria episodica di integrarsi nella corteccia associativa e di non avere quell’impatto emotivo disturbante, collocando tali eventi nel passato e sentendo che non possono più farci male nel presente.

È importante che ogni tassello si avvicini al suo posto, che i ricordi imbrigliati nelle reti neurali delle zone arcaiche del nostro cervello possano raggiungere quelle aree più evolute e mentalizzanti, affinché possiamo far fluire i ricordi traumatici e lasciare il passato nel passato.

Per approfondimenti

Shapiro, F., (2013). Lasciare il passato nel passato: tecniche di auto-aiuto nell’EMDR. Astrolabio.

Pagano, G. Di Lorenzo, AR. Verardo, G. Nicolais, I. Monaco, et al. Neurobiological Correlates of EMDR Monitoring – An EEG Study. Plos|One 2012

Quando l’umore dipende dalla memoria

di Emanuela Pidri

Personalità e bias di memoria nella depressione

I disturbi dell’umore consistono in alterazioni o anomalie del tono dell’umore dell’individuo di entità tale da causare alla persona problemi, disfunzioni persistenti o ripetute, disagio marcato e un disadattamento nella vita sociale, relazionale e lavorativa. Oggi i dati disponibili suggeriscono che la depressione sia una combinazione multifattoriale in cui convivono influenze genetiche, biologiche, ambientali e psicologiche. In letteratura esistono diversi studi che tentano di spiegare l’eterogeneità della sintomatologia depressiva nonché diverse modalità di elaborazione dell’informazione e diversi bias di memoria. Tra i bias maggiormente studiati vi è il fenomeno dell’overgeneral memory, in base al quale i pazienti depressi hanno difficoltà a rievocare episodi specifici del passato e invece tendono a riportare categorie di eventi, l’evitamento dell’aspetto emotivo, la ruminazione cognitiva e il deficit esecutivo. L’ipotesi di ricerca di Simona Torre e Alessandro Couyoumdjian è di verificare la presenza di bias cognitivi mnemonici quali l’overgeneral memory bias e il bias dei ricordi specifici a contenuto negativo in soggetti depressi, approfondendone lo studio in relazione ai due sottotipi di personalità analclitico e introiettivo di Sid Blatt. Il campione, composto da 30 soggetti, un gruppo di controllo (14) ed un gruppo sperimentale (16), è stato sottoposto a varie analisi. Dall’analisi del Depression Experiences Questionnaire (DEQ) emerge che i soggetti depressi e in remissione sono più numerosi per quanto riguarda l’autocritica rispetto al gruppo di controllo in cui è proporzionale la suddivisione tra personalità autocritiche e dipendenti; l’analisi del Ruminative Response Scale (RRS) evidenzia come la ruminazione, che non è altro che un tratto di personalità, sia maggiormente presente tra i depressi; l’analisi del Center for Epidemioloc Studies Depression Scale (CES-D), che valuta lo stato depressivo presente, mostra differenze significative tra i tre gruppi; l’analisi del Millon Clinical Multiaxal Inventory III (MCMI-III) mostra che i depressi hanno punteggi più alti nelle scale ansia, distimia, disturbo depressivo, disturbi depressivo maggiore; dall’analisi quantitativa e qualitativa dei ricordi emerge che i depressi presentano un netto calo di ricordi episodici con una maggior inclinazione verso i ricordi legati al fallimento e una presenza maggiore dell’overgeneral memory bias, presenza di bias per i ricordi negativi che si esprime attraverso una maggiore vividezza dei ricordi negativi stessi ma anche attraverso una distorta interpretazione dei ricordi ambigui a favore del negativo; l’analisi della  Scale visuo-analogiche (VAS) evidenzia che il gruppo dei depressi sperimenta tristezza, vergogna, colpa e tensione e, infine, l’analisi del battito cardiaco non evidenza differenze significative di attivazione fisiologica nei tre gruppi.
La stretta dipendenza tra memoria e umore è, dunque, dimostrata.
Concludendo, è stata confermata l’ipotesi per cui i soggetti depressi hanno una difficoltà a rievocare ricordi episodici e mostrano un overgeneral memory bias che si esprime attraverso incapacità di focalizzare il ricordo su un singolo evento, ipergeneralizzando i ricordi e riassumendoli. Si è dimostrato il bias per un accesso preferenziale verso i ricordi a contenuto negativo. Rispetto agli scenari futuri di ricerca, sarebbe interessante approfondire il funzionamento del bias categoriale, valutando quanto l’incapacità di accesso a ricordi episodici possa rallentare la guarigione e quanto, allo stesso modo, il focus eccessivo su un passato che continua a presentarsi attraverso flashback sia altrettanto deleterio. Sarebbe utile domandarsi se la personalità di base influisca sul tipo di ricordo evocato. Ci sono almeno due vantaggi del recuperare eventi specifici dalla memoria: può consentire a una persona di pensare su un evento in un modo diverso e, in secondo luogo, l’accesso a memorie specifiche può aiutare nella pianificazione e nell’apporto di modifiche verso un comportamento futuro.

Per approfondimenti:

Torre S. e Couyoumdjian A. (2017). Personalità e memoria categoriale nella depressione. Cognitivismo clinico 14,2, 191-221.

Overgeneral memory e disturbo depressivo: perché?

di Rosina Misasi, Università Guglielmo Marconi, Roma[1]

Il fenomeno overgeneral memory (OGM), caratteristica costante dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore (Williams 1996), è un ipergeneralizzazione dei ricordi autobiografici che riflette la difficoltà a recuperare una memoria specifica. Ma perché ciò accade nei pazienti con MDD?

La conoscenza di base della memoria autobiografica (autobiographical memory knowledge base) è composta da conoscenze relative al Sé organizzate in un magazzino di memorie autobiografiche secondo tre livelli di specificità (Conway e Pleydell-Pearce 2000). Leggi tutto “Overgeneral memory e disturbo depressivo: perché?”