Bagni di bosco

di Roberto Petrini

Il potere benefico delle camminate attente al momento presente in ambienti naturali

La camminata (o pedalata) ci rammenta come in fondo sia davvero facile e normale mettersi in relazione con l’esperienza della natura, la tirannia del nostro lobo frontale allenta la presa, riusciamo finalmente a prendere le distanze da noi stessi e a mano a mano che procediamo, siamo sempre più attenti all’ambiente.
Come risposta alla fatica attivata dalla camminata o pedalata, i pensieri si fanno meno assillanti, più lontani. Lo sforzo ci ricorda che il nostro corpo esiste anche se spesso dimenticato nella routine della vita urbana.
Iniziamo a essere assorbiti dal bosco, i pensieri ora sono più lenti, la nostra mente si ripulisce a ogni passo, il dialogo con noi stessi cambia, ora riusciamo a vederci meno fusi con le nostre preoccupazioni, iniziamo a prestare attenzione al nostro respiro nel tentativo di regolare frequenza respiratoria e cardiaca.
Usare la muscolatura aiuta a scaricare l’attivazione di un corpo per troppo tempo costretto a una vita sedentaria, finalmente muoversi aumenta il senso di essere connessi, l’esperienza è più sentita e vivida.

Nella vita urbana la nostra mente è attivata e allarmata da falsi pericoli, che di solito sono attacchi all’autostima, una paura di non farcela. Nel bosco il muoversi della vegetazione ci richiama al presente, e alla possibilità di un incontro. Magari incrociamo un animale nel suo ambiente naturale, pensare di averne paura o curiosità: “Chi incontrerò oggi?”. Forse sarà un guardarsi solo per un attimo come può accadere con la volpe, uno degli incontri più belli. Vedere un lupo, un istante, nemmeno il tempo per averne paura e per capire cosa si è visto. Alzare gli occhi e trovare fiori nuovi, specie vegetali, erbe, funghi, certo una famiglia di cinghiali che vuole attraversare il sentiero non è un bell’incontro ma non lo è nemmeno il camion rosso del trasportatore frettoloso che ci sfiora all’incrocio.
I benefici del camminare sono oramai noti, ma il bosco instilla soprattutto calma ed è appagante per tutti i sensi, l “fitoncidi” che variano in base al tipo di piante e in base alla stagione, stimolano il nostro olfatto, e i suoni sono tutti da riconoscere, i tronchi sono fitti e si ripetono, c’è chi si ferma ad abbracciarli e chi è tentato, ma crede che sia stupido farlo.
Quindi caro amico/a alziamoci, spegniamo pc e telefono e prescriviamoci dei bagni di bosco; una terapia a bassissimo costo, adatta a tutti. Per iniziare facciamo cinquanta minuti a ritmo moderato, tre giorni la settimana. Buona camminata.

“Io sono Ringo Starr”

di Caterina Parisio

Trappole della mente e consapevolezza emotiva

Ringo Starr tutta la vita. È la terza via, quella indicata della band dei Pinguini Tattici Nucleari nel brano portato a Sanremo e con il quale si sono posizionati al terzo posto della classifica finale. “In un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr”, recita il testo della canzone. La terza via è quella che sta alle spalle, troppo timida per farsi notare: in fondo, basta girarsi e aspettare. Vivere nella luce senza mai rimanere accecati, scegliere la mitezza, l’incompiutezza, la fragilità di chi si sente sempre inadeguato. Darsi in pasto al mondo è un sacrificio, meglio sgranocchiare la vita tenendo in pugno due bacchette per suonare la batteria. Ringo Starr, dunque: quello in fondo nelle foto, il meno noto dei Beatles, quello col profilo basso, sempre un passo indietro rispetto agli altri tre. Mentre John Lennon e Paul McCartney scrivevano testi da consegnare all’eternità, il buon Ringo viveva il presente, in una quotidianità dorata, eppure più distante dalla giungla del successo.

“A volte penso che a quelli come me il mondo non abbia mai voluto bene. Il cerchio della vita impone che per un Re Leone vivano almeno tre iene”, canta il frontman dei Pinguini: alcune persone possono fare l’esperienza di vivere una vita piena di significato e di soddisfazione, nonostante la presenza di sofferenze fisiche e psicologiche; all’opposto, altre persone possono far esperienza di una vita priva di significato e di gioia, vuota, nonostante il successo e la relativa assenza di sofferenze, nella costante sensazione di “sentirsi in trappola”.

Con il neologismo “lifetraps”, trappole per la vita, lo psicologo americano Jeffrey Young intende rimarcare che la vitalità di uomini e donne apparentemente normali può essere bloccata all’interno di modi di pensare, di sentire, di agire e di relazionarsi con sé stessi e gli altri che si sono formati in momenti cruciali dello sviluppo, si sono rinforzati nel corso del tempo, fino a consolidarsi tanto da divenire vere e proprie trappole.

Arrendersi alle trappole, perdendo la speranza che vi sia la possibilità di sottrarvisi, e quindi di cambiare i propri modelli di vita (Che la mia vita non è niente di speciale e alla fine c’hai ragione tu”) è una delle strategie più radicali, e purtroppo anche più comuni, attraverso cui una persona può cercare di convivere con quei modi di sentire, di pensare e di agire che hanno messo in gabbia la sua vitalità.
Una diversa strategia può essere quella di evitare accuratamente ogni situazione che possa mettere in trappola: il che conduce inesorabilmente all’evitare di vivere, distaccandosi sempre più dalla percezione di emozioni e sentimenti, a meno che non servano a un patologico nutrimento narcisistico.
Credere che l’unica vita possibile sia quella dentro una trappola, invece di quella che si intravede fuori, sembra dunque essere un tratto comune a molti.

Frustrazione per non essere mai la prima scelta, per non essere in linea con le aspettative sociali (“…gli amici miei si sposano ed io mi incazzo se non indovino all’Eredità”), cui subentra la rassegnazione di essere, nella vita, un personaggio secondario. Cosa che, in fondo, quando accettata serenamente, potrebbe non essere poi così male.

È Ringo colui che suggerisce alcune strategie funzionali per uscire da trappole della nostra mente: è il protagonista della “vita da mediano” cantata da Ligabue, è Robin che lascia Batman a farsi supereroe nella notte buia di Gotham City, come ricorda Cesare Cremonini.

Jeffrey Young e Janet Klosko (codirettore del Cognitive Therapy Center di Long Island) suggeriscono che, per cominciare a cambiare e imparare a vivere nel momento presente, sia essenziale non solo uscire fuori dalle trappole, ma anche scoprire chi si è e cosa rende veramente felici, senza basarsi esclusivamente su ciò che rende felici le persone vicine. Bisognerebbe imparare a sviluppare (o rafforzare) una visione personale, le naturali inclinazioni che comprendono interessi, relazioni e le attività che intrinsecamente portano a sentirsi realizzati. In questo senso, Young suggerisce che il compito forse più importante che ci si può assumere nella vita è proprio scoprire le naturali attitudini e inclinazioni personali e, rispetto a tale obiettivo, la migliore guida è rappresentata da emozioni e sensazioni corporee.

“Siate onesti con voi stessi” e “abbiate comprensione per voi stessi” sono di fatto i due pilastri della porta che conduce fuori dalle trappole verso il cambiamento, mentre sulla trave della medesima via d’uscita vi è scritto: “Il momento migliore per cominciare a cambiare è adesso”.

In fondo Ringo, confinato a suonare tamburello e maracas in “Love me do”, non ha fatto altro se non seguire il naturale movimento dei propri passi, con leggerezza e consapevolezza. John e Paul credevano nelle sue qualità, ma non così tanto.

Ah, vero, i Beatles erano quattro: John, Paul, Ringo e George Harrison. Ma per lui servirebbe un’altra canzone, altre trappole della mente, un altro articolo. Nel frattempo, “in un mondo di John e di Paul, io sono Ringo Starr”.

Per approfondimenti:

Jeffrey E. Young, Janet S. Klosko (2004), Reinventa la tua vita. Raffaello Cortina Editore

“Se non ci penso più mi sento bene”

di Caterina Parisio

Arisa e la sua mindfulness: da Sanremo alle pratiche ACT

“C’è solo un tempo importante: adesso! – diceva Lev Tolstoj – È il tempo più importante perché è l’unico tempo su cui abbiamo potere”.
La citazione dello scrittore russo, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, è un monito per ricordare che la vita si sta svolgendo ora, in questo momento, e che il passato e il futuro esistono solamente come pensieri che avvengono nel presente. Si può pianificare il futuro, ma questo pianificare avviene nel “qui e ora”; si può riflettere sul passato e imparare da questo, ma tale riflessione avviene nel presente. Questo momento è tutto ciò che abbiamo sempre.
Siamo nel 2019, alla 69esima edizione del Festival di Sanremo. Nel brano “Mi sento bene”, l’artista Arisa canta: “Se non ci penso più mi sento bene […]. Forse è tutto questo il mio vivere, quasi elementare, semplice. Adesso voglio vivere così”.

Oltre un secolo di storia, dalla letteratura alla musica, per tracciare uno dei principi fondamentali di quella che oggi chiamiamo “pratica mindfulness”.
Nel linguaggio comune, la parola “mindfulness” è diventata sinonimo di “essere nel momento”, “essere presente” o “vivere adesso”. Essere in contatto con il momento presente è, infatti, il cuore del concetto di mindfulness: il fatto di essere presente rappresenta l’elemento fondamentale per vivere una vita congruente con i propri valori.
“Guardo una serie tv e mi sento bene, leggo il giornale e mi sdraio al mare e prendo la vita come viene”, prosegue Arisa nel testo della sua canzone, che tanto assomiglia a una delle pratiche informali della mindfluness.

Ma cosa vuol dire veramente vivere nel momento presente?

Significa essere consapevolmente “in contatto con” e “partecipi di” tutto ciò che accade in questo momento. Gli essere umani trovano molto difficile rimanere nel momento presente: è esperienza comune farsi catturare dai propri pensieri e perdere il contatto con il mondo. Si può trascorrere un sacco di tempo assorti in pensieri sul passato o sul futuro, senza essere pienamente consapevoli dell’esperienza che si sta vivendo. Entrare in contatto con il momento presente significa riportare in modo flessibile la consapevolezza sia sul mondo fisico sia su quello psicologico. Significa anche prestare attenzione consapevolmente alla propria esperienza “qui e ora” invece che andare alla deriva sui propri pensieri o attivare il “pilota automatico” sulle proprie azioni.

È importante altresì sottolineare quanto sia impossibile impedire alla mente di far riemergere ricordi dolorosi o di raccontarsi storie spaventose sul futuro; si può però imparare a lasciare che questi pensieri vadano e vengano invece di attaccarsi a questi.

Arisa direbbe di svegliarsi presto il lunedì, godere delle strade piene a Natale, stare al telefono, andare a cena fuori.
Steven Hayes, professore all’università del Nevada e fondatore dell’Acceptance and Committment Therapy (ACT), terapia di terza generazione nata per modificare la relazione tra pensieri disfunzionali ed emozioni negative, in una delle sue pratiche più conosciute di defusione dai pensieri, così direbbe:

  1. Trova una posizione comoda e chiudi gli occhi o fissali su un punto.
  2. Immagina di essere seduto in riva a un gentile ruscello che scorre e che ci siano foglie che scorrono sulla superficie.
  3. Ora, prendi ogni pensiero che sorge nella tua testa, ponilo su una foglia e lascia che sia trasportato. Fallo senza badare al contenuto positivo o negativo del pensiero, piacevole o doloroso. Anche se ci sono molti pensieri piacevoli, ponili sulle foglie e lascia che siano trasportati via.
  4. Se i tuoi pensieri si fermano, osserva il ruscello. Prima o poi i pensieri ricominceranno.
  5. Permetti al ruscello di scorrere secondo il proprio ritmo. Non accelerarlo. Non stai cercando di far scivolare via le foglie, stai permettendo loro di andare e venire con il proprio tempo.
  6. Se la tua mente ti dice “Questo è stupido” o “Non posso farlo”, poni quel pensiero su una foglia.
  7. Se una foglia si ferma, lasciala lì attorno. Non forzarla a scorrere via.
  8. Se sorge una sensazione negativa, come noia o impazienza, semplicemente riconoscila. Dì a te stesso “ecco un sentimento di noia” o “ecco una sensazione di impazienza”. Poi poni quel pensiero su una foglia e lascia che scorra via.
  9. Di tanto in tanto, i tuoi pensieri si agganceranno e potrai perdere l’attenzione. Questo è normale e naturale e potrebbe succedere. Quando realizzi che sta succedendo, gentilmente riconoscilo e riprendi.
  10. E ora, porta l’attenzione verso una fine… E apri i tuoi occhi. Guardati attorno. Nota che cosa puoi vedere e sentire, sgranchisciti un po’. Bentornato!

Ora, una cosa potrà risultare sicuramente più chiara: quanto è cara questa felicità. E, di certo, Arisa o Hayes sarebbero due perfetti compagni di viaggio per godere a pieno del momento presente, sdraiati in riva al mare.

 

Per approfondimenti:
Russ Harris (2009), Fare ACT, Ed. Franco Angeli