Disturbi alimentari e memorie infantili

di Giulia Signorini

Esplorare le esperienze di vita precoci tramite l’impiego di tecniche immaginative

Restrizione calorica, abbuffate, condotte compensatorie (vomito autoindotto, utilizzo di lassativi, esercizio fisico eccessivo, etc.), pensiero massimamente focalizzato sul peso e sulla forma corporea, emozioni di vergogna, colpa, disgusto, ma anche ansia, rabbia (spesso inespressa) e solitudine… Il tutto accompagnato da una grande ambivalenza nei confronti del trattamento e del cambiamento: questi sono i termini che descrivono solitamente i disturbi del comportamento alimentare (DCA), per lo meno in prima battuta.

Sì perché il comportamento alimentare può essere letto non solo come la chiara espressione di un disagio clinico, ma anche come un modo (e un mondo) attraverso cui l’individuo è riuscito a trovare un equilibrio, per quanto disfunzionale sia nel lungo termine, una soluzione che gli consente di sopravvivere al meglio delle sue attuali consapevolezze e risorse. Sopravvivere a che cosa? Questa è la domanda interessante. E qui entra in gioco l’indagine del terapeuta: “Cosa c’entrano i miei genitori con tutto questo? Io non ho problemi con loro, ma con il cibo!” – plausibile obiezione dei pazienti quando vengono rivolte loro domande relative all’infanzia e alla relazione con le loro figure di accudimento. Accanto, infatti, a fattori temperamentali, fisici e socioculturali, le prime interazioni con le figure di accudimento primarie e l’ambiente familiare giocano un ruolo decisivo nello sviluppo dei disturbi alimentari (e nella psicopatologia in generale). Indagare le memorie infantili ha quindi molto a che fare proprio con l’individuo di oggi e i suoi problemi attuali, con ciò che in tempi “non sospetti” lui/lei ha imparato riguardo sé, il mondo, le relazioni, cosa ha valore e cosa non è importante.

In Schema Therapy, modello teorico e approccio terapeutico appartenente alla cosiddetta “terza ondata” del Cognitivismo, l’esplorazione dei contenuti relativi ai ricordi infantili ha come obiettivo l’identificazione dei bisogni emotivi non soddisfatti, a partire dai quali si formano gli schemi maladattivi precoci, che sottendono al funzionamento psicopatologico del paziente. Per questo tipo di indagine, ci si avvale anche di tecniche immaginative, attraverso le quali il terapeuta può sfruttare il grande potere dell’immaginazione umana e metterlo al servizio della terapia, sia in fase diagnostica (imagery diagnostico) sia in fase di trattamento (imagery with rescripting). Si tratta di tecniche potenti, da utilizzare dopo una specifica formazione, che consentono di bypassare filtri di natura cognitiva/razionale, solitamente attivi durante una narrazione verbale.

Proprio l’impiego dell’imagery diagnostico è stato oggetto dello studio condotto da Barbara Basile e colleghi, recentemente pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology. Il gruppo di ricerca ha coinvolto 49 pazienti affette da DCA (33 con diagnosi di Anoressia Nervosa e 16 di Bulimia Nervosa), ricoverate presso la casa di cura Villa Garda, in provincia di Verona, allo scopo di indagare i bisogni emotivi non soddisfatti legati a ricordi infantili. Gli autori erano interessati a capire, in particolare, se ci fossero dei bisogni infantili associati in modo specifico a particolari schemi (della paziente o del genitore, indagati attraverso specifici questionari self report) e anche a eventuali specificità di schemi o bisogni emotivi nell’Anoressia e nella Bulimia nervosa.

Lo studio ha rivelato che le esperienze negative infantili evocate durante la procedura di imagery riguardavano per la maggior parte dei casi la figura materna, evidenziando prevalentemente il non soddisfacimento dei bisogni di:

  • sicurezza e protezione, tipicamente legato a episodi di abusi fisici/sessuali/psicologici subiti dal paziente o forti litigi tra genitori in presenza del bambino – associato agli schemi di deprivazione e inibizione emotiva di entrambi i genitori e agli schemi di deprivazione emotiva e fallimento dei pazienti;
  • accudimento e cura: in relazione a momenti in cui uno o entrambi i genitori non erano in grado di occuparsi del bambino, abbandonandolo o non riuscendo a gestire una situazione negativa, mancando in stabilità e prevedibilità – associato agli schemi di dipendenza del paziente e pessimismo/negativismo da parte del padre;
  • espressione emotiva: tipico di quando vengono derise, ignorate o punite manifestazioni spontanee, o quando i bisogni altrui o le regole esterne sono considerate più importanti di quelle del bambino – associato allo schema di deprivazione emotiva da parte del padre.

Dalle descrizioni delle pazienti emerge una figura materna vulnerabile ai pericoli, prona all’autosacrificio, più abbandonica e allo stesso tempo più invischiata rispetto alla figura paterna, che, invece, è percepita come più inibita emotivamente e trascurante rispetto quella materna.

Inoltre, gli schemi individuali di invischiamento delle pazienti correlano con quelli materni di invischiamento, sottomissione e punizione. Proprio l’invischiamento, così come la vulnerabilità ai pericoli, potrebbe essere letto, secondo gli autori, come un modo disfunzionale di fornire protezione, limitando e scoraggiando lo sviluppo dell’indipendenza e dell’autonomia del bambino.

Per quanto riguarda le differenze tra gruppi diagnostici, i risultati dello studio hanno rivelato che i bisogni non soddisfatti di cura, accudimento e attaccamento sicuro sono significativamente associati solo alla diagnosi di Bulimia Nervosa, e che le pazienti di questo gruppo riportano maggiormente lo schema di autocontrollo insufficiente rispetto al gruppo di pazienti con Anoressia Nervosa.

Quali implicazioni per la pratica clinica?

I DCA hanno visto un vertiginoso aumento nel corso della pandemia: stando ai dati raccolti dall’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica (ADI), l’incidenza dei casi è salita di oltre il 30% tra febbraio 2020 e febbraio 2021.

L’indagine dei bisogni emotivi non soddisfatti attraverso l’imagery diagnostico può rappresentare un ottimo punto di partenza per esplorare gli schemi degli individui affetti da questo disturbo, a partire proprio dal senso che queste narrazioni hanno permesso di dare a esperienze infantili negative. In altre parole, più che all’evento realmente accaduto, attraverso queste esplorazioni, al terapeuta interessa identificare le storie (schemi) che il paziente ha imparato a raccontarsi per dare un senso a quanto accaduto. Questo permette poi di collegare gli schemi (es. “Sono un peso per gli altri”; “Non sono amabile”; “Quello che provo è sbagliato”) alle strategie di coping disfunzionali che il paziente con DCA mette in atto (restrizione, ipercontrollo, abbuffate, etc.) – per sopravvivere alla sofferenza indotta dagli schemi stessi – e di lavorarci in terapia più consapevolmente.

Come auspicano gli autori dello studio, infine, sarebbe interessante esplorare in future ricerche la possibilità di predire gli esiti del trattamento a partire proprio da specifici schemi individuali o genitoriali.

Per approfondimenti

Basile, B., Novello, C., Calugi, S., Dalle Grave, R., Mancini, F. (2021). Childhood Memories in Eating Disorders: An Explorative Study Using Diagnostic Imagery. Frontiers in Psychology, July (12), https://doi.org/10.3389/fpsyg.2021.685194

Simpson, S., Smith, E. (2020). Schema Therapy for Eating Disorders: Theory and Practice for Individual and Group Settings. Routledge Editore.

Young, J.E., Klosko, J.S.; Weishaar M.E. (2003). Schema Therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità. Edizione italiana a cura di A.Carrozza, N. Marsigli e G. Melli. Eclipsi Editore.

/2021/01/24/rescripting-un-metodo-per-intervenire-sulle-esperienze-dolorose-precoci/

/2016/05/06/la-schema-therapy-uno-sguardo-ai-bisogni-e-alle-emozioni-delleta-infantile/

Foto di Alena Darmel da Pexels

Disturbi dell’alimentazione e Covid-19

di Valentina De Santis e Valentina De Santis

Lo stress non è piacevole da sperimentare e molti finiscono per “rifugiarsi” nel cibo per consolazione

I disturbi dell’alimentazione sono tra i più comuni problemi di salute che affliggono tendenzialmente la giovane popolazione dei Paesi occidentali e rappresentano un gruppo di condizioni complesse: anomalie nei pattern di alimentazione, un eccesso di preoccupazione per la forma fisica, un’alterata percezione dell’immagine corporea e una stretta correlazione tra tutti questi fattori e i livelli di autostima.

Insorgono generalmente nell’adolescenza ma sono in aumento anche i casi di bambini e di adulti diagnosticati con questa tipologia di disturbo. In persone con oltre 40 anni di età, spesso il disturbo è causato da un evento stressante della vita.

I disturbi dell’alimentazione più diffusi sono: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata o binge eating disorder (BED).

A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, si è assistito a un progressivo aumento dei DCA e contemporaneamente vi è stato un decremento dell’età di insorgenza: nello specifico sul piano epidemiologico, la prevalenza lifetime dell’anoressia nervosa e della bulimia nervosa si aggirano rispettivamente intorno allo 0,9% e 1,5%, nel genere femminile e allo 0,3% e 0,5% per la bulimia.

La maggiore responsabilità nel causare i disturbi dell’alimentazione è attribuita ai modelli presenti nella società (pressione sociale) che mostrano come desiderabili figure eccessivamente magre e spingono, soprattutto i giovani a cercare di somigliargli. Tuttavia, le cause di questi disturbi sono complesse ed è più corretto considerarle come il risultato di fattori genetici, biologici e psicologici che una volta scatenati da eventi ambientali particolari, danno inizio al disturbo.

La condotta alimentare disturbata persiste per diversi anni in un’alta percentuale di casi, il decorso può essere intermittente con fasi di remissione, alternate a fasi di ricomparsa dei sintomi. Le persone affette da un disturbo alimentare hanno ripercussioni sulle proprie capacità relazionali, hanno difficoltà emotive, problemi nello svolgimento delle normali attività sociali, lavorative, e complicazioni mediche.

Questi mesi hanno messo a dura prova ognuno di noi, costringendoci a limitare le nostre libertà a causa del Covid-19. Lo stravolgimento dell’equilibrio quotidiano all’interno del quale ci sentiamo sicuri, l’incertezza nel futuro e il rischio di contagio sono fattori che minano lo stato mentale. Chi soffre di una patologia mentale e chi ha vissuto il disagio del lockdown con pensieri disfunzionali che hanno alimentato l’ansia e le preoccupazioni può avere maggiore possibilità di aumentare i sintomi di un determinato disturbo.

Biologicamente, lo stress contribuisce ad aumentare la secrezione dell’ormone cortisolo e livelli elevati sono collegati a un aumento dell’appetito e al desiderio di cibi zuccherati, salati e grassi. Questa elevata secrezione di cortisolo può essere, a volte, sufficiente per provocare attacchi di abbuffata. A livello psicologico, lo stress non è piacevole da sperimentare e molti di noi finiscono per “rifugiarsi” nel cibo per consolazione. Sebbene per alcuni può essere d’aiuto, il problema sorge quando le persone che mettono in atto queste modalità di alimentazione “di conforto” finiscono per sentirsi peggio con sentimenti di colpa.

Se consideriamo che l’esordio, per tali disturbi, si colloca nel periodo dell’adolescenza, è interessante vedere quali siano state le ripercussioni di questa pandemia nei ragazzi.

Una parte di essi, quella che vive l’adolescenza con disagio, ansia sociale e “male di vivere”, ha trovato nello stare in casa una comfort zone, il nido di pascoliana memoria, che gli ha dato modo di potersi sottrarre al tanto temuto giudizio altrui e di accedere a tante comodità.

L’accesso facile al cibo dà un sollievo alla pressione emotiva vissuta al momento alla noia di giornate vuote e sempre uguali. Inoltre, bisogna considerare che il tempo libero porta a stare di più sui social che dettano le regole sul “come dovremmo essere”, scatenando nella mente un circolo vizioso tra i pensieri “devo controllare il mio corpo” e “devo mangiare”.

Tra i fattori di rischio o di mantenimento del problema, troviamo sicuramente il dover stare in stretto contatto con i propri familiari h24: un’imposizione da rispettare categoricamente genera, nel ragazzo, un aumento della rabbia e dell’aggressività. Questo, insieme alla paura della perdita di controllo e all’impossibilità di uscire da casa per muoversi e fare sport, può portare l’adolescente ad avere condotte restrittive con il cibo o ad abbuffarsi con o senza condotte compensatorie, come il vomito.

Nonostante i trattamenti evidence based che sembrano funzionare anche a distanza, come per esempio la CBT-ED da remoto, seguire una terapia online è, molte volte, complesso; la presenza di un familiare limita il senso di privacy e il mancato controllo dei professionisti mette il paziente nelle condizioni di potersi gestire come vuole. Negli Stati Uniti, per esempio, l’interruzione dei servizi di erogazione del trattamento face to face, dovuto al Covid-19 ha aggravato del circa 25% il numero di persone con un disturbo alimentare.

Una serie di strategie rivolte sia ai pazienti sia ai familiari insieme al trattamento da remoto possono essere le seguenti:

  • Mantenere una routine nell’alimentazione (almeno 3 pasti al giorno)
  • Allenarsi con la mindfulness a rimanere nel “qui e ora”
  • Dedicarsi a qualcosa di pratico (sperimentare un hobby)
  • Fare un uso funzionale dei social
  • Assicurarsi uno spazio della casa dove poter stare con sé stessi

Per approfondimenti

  • Prevenzione dei disturbi dell’alimentazione nella scuola: progressi e sfide future. Riccardo Dalle Grave – Unità Funzionale di Riabilitazione Nutrizionale Casa di Cura Villa Garda, Via Montebaldo 89, 37016, Garda (Vr), Italia, Fax: +39458102884, email: rdalleg@tin.it
  • I disturbi del comportamento alimentare in adolescenza. Sandra Maestro, Giampiero I. Baroncelli, Silvia Ghione, Silvano Bertelloni Sezione Clinica per i Disturbi della Condotta Alimentare, U.O. NPI 3: Psichiatria dello Sviluppo, IRCCS Stella Maris, Pisa 2 Medicina dell’Adolescenza, Dipartimento Materno-infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa
  • I disturbi alimentari. Di Giovanni Maria Ruggiero, Sandra Sassaroli (2014) Editori Laterza
  • Challenges and Opportunities for enhanced cognitive behaviour therapy (CBT-E) in light of COVID-19. Rebecca Murphy, Simona Calugi, Zafra Cooper and Riccardo Dalle Grave (2020)

Anoressia? È anche maschile

di Giuseppe Femia
illustrazioni di Elena Bilotta

Nella pratica clinica capita di riscontrare quadri di anoressia classica negli uomini e alle volte questo avviene in una fase tardiva del ciclo vitale
L’anoressia maschile spesso è stata trascurata a causa della credenza che la concepisce come un disordine prevalentemente femminile. Nonostante questa assunzione sia in parte vera, attualmente si riscontrano molti casi di anoressia restrittiva o “riversa” negli uomini.
Spesso si rileva una connessione con un senso d’identità fragile e disturbi nella sfera del comportamento sessuale. Tale relazione fra le forme di anoressia nervosa e la presenza di un’identità di genere problematica o di disfunzioni relative alla sessualità, seppur dimostrata parzialmente, appare consolidata.
Inoltre potrebbe osservarsi un’associazione fra i comportamenti restrittivi di tipo alimentare negli uomini e disagi di matrice affettiva, nello specifico di tipo depressivo, oppure una comorbidità con tratti latenti di narcisismo o con caratteristiche proprie del disturbo ossessivo compulsivo di personalità.
Si osservano molte forme di anoressia “riversa” in cui si riscontrano tutte le caratteristiche di funzionamento che solitamente determinano i disturbi alimentari quali: iper-attenzione e iper-vigilanza per le forme corporee e lo scopo della buona immagine, problemi di dismorfofobia, esercizi fisici spasmodici e problemi comportamentali generalizzati, con l’eccezione che in questa forma l’obiettivo non è solo “non accrescere di peso” ma, in particolare, raggiungere l’ideale a livello di immagine e tono muscolare, provando sempre una profonda frustrazione e mettendo in moto una sorta di chiusura in un mondo ossessionato e privo di altri valori di riferimento.
Questa forma di anoressia, dapprima denominata come “il complesso di Adone”, attualmente viene definita “vigoressia” e, nonostante riguardi di più gli uomini, sta iniziando a diffondersi anche fra le donne.
Il “perfezionismo clinico” governa, la dedizione al lavoro fisico sfinisce e il piacere viene sospeso, compreso quello sessuale. Spesso l’adrenalina derivante dall’attività sportiva sostituisce tutto il resto e copre problematiche individuali e familiari che rimangono irrisolte.
Il disagio diventa affettivo, una sorta di ritiro generalizzato dai sentimenti, una specie di chiusura verso gli altri, il mondo e la costruzione di legami intimi, duraturi e autentici.
Dietro le manifestazioni di tipo restrittivo, classiche e non solo, si riscontrano emozioni di rabbia, vergogna e orgoglio. Questa configurazione emotiva sembra caratterizzare particolarmente il mondo affettivo dei pazienti con disturbi alimentari.

F. ha 24 anni e trascorre la maggior parte del suo tempo in palestra, segue un regime alimentare proteico, si preoccupa del proprio fisico in modo incessante, controlla la massa corporea, parla di adipe e cerca di raggiungere un fisico muscoloso e sempre orientato a un ideale di perfezione stereotipato.
Questa sua iper-attenzione e i continui allenamenti non gli permettono di riflettere su altri ambiti di vita e funzionamento: tutto sembra cristallizzato. Le sue interazioni interpersonali sono poche, i sui bisogni emotivo-affettivi appaiono appiattiti oppure passano per la ricerca di una conferma del proprio essere esteticamente piacevole, in forma e forte. Potrebbero celarsi dei temi di narcisismo legati al voler essere riconosciuto in quanto bello e muscoloso in modo particolare.

Il pensiero assume sfumature ossessive e spesso non permette di raggiungere un livello di riflessione adeguato, mentre sul piano comportamentale si rintracciano condotte a connotazione compulsiva di controllo rispetto al peso, ai muscoli, con la ricerca di validazione esterna e rassicurazione rispetto ai propri traguardi in termini di potenza espressa.
Le credenze patogene che ne sono alla base suggeriscono come la perfezione riguardo l’immagine sia fondamentale per essere accettati e riconosciuti in quanto adeguati e non deboli.
Si evidenziano esperienze in cui F. da ragazzo veniva svilito per il suo essere mingherlino e poco mascolino. Nella pratica clinica capita di riscontrare anche quadri di anoressia classica negli uomini e alle volte questo avviene in una fase tardiva del ciclo vitale.

M. ha 58 anni e arriva in consultazione a causa di un disagio psichico e famigliare in cui il fulcro della sintomatologia si focalizza su una condotta alimentare di tipo restrittivo: attualmente pesa 52 kg contro 179 di altezza. Non reputa di avere un problema e si ritiene fiero degli obiettivi raggiunti:

 – “Finalmente non sono più il ciccione di turno, sono stato sempre robusto, sin da ragazzo e ho sofferto per questo, già da giovane mi prendevano in giro e provavo molta vergogna!”.

– “Sto bene così: mi annoiavo, invece adesso lo sport e la sfida con i miei bisogni primitivi mi hanno dato energia, sono addirittura più produttivo!”

– “Alle volte sono di cattivo umore, non sono calmo in famiglia e sto mettendo a rischio il mio matrimonio, ma non riesco a smettere!”

 Studiando il caso di M., si svela sempre di più la motivazione a emanciparsi da un’immagine di sé da sempre vissuta con disagio, a causa di un sovrappeso a cui seguivano commenti di derisione e conseguenti emozioni di tristezza, vergogna, rabbia e inadeguatezza sul piano sociale.
Attualmente si delinea un profilo orientato al controllo, in particolare rivolto al fisico, ma da sempre attivo sul comportamento, sul lavoro e sulle emozioni. Si svelano man mano caratteristiche di rigidità cognitiva, credenze poco adattive, testardaggine e intolleranza verso il punto di vista altrui.
Nella storia di vita emerge un iper-investimento sulla produttività, a discapito della vita relazionale e dello svago. Insomma: gradualmente si compone un quadro “Docp” (Disturbo Ossessivo e Compulsivo della Personalità), in cui i vissuti di rabbia e le difficoltà relazionali hanno connotato il funzionamento e lo sviluppo della personalità di M. in modo persistente.
La sintomatologia relativa al comportamento alimentare si associa a un vissuto di tipo depressivo, a emozioni di noia riferita e alla tendenza a ricercare sensazioni forti.
Queste caratteristiche sembrano attualmente disattivate sul piano professionale e destinate al fisico e alle forme corporee e alla prestazione (alle volte corre per almeno 40 minuti anche tre volte al giorno), determinando una resistenza circa la consapevolezza del disagio e la motivazione al cambiamento.
Appare paradossale come, nonostante la motivazione iniziale fosse o sembrasse quella di non provare vergogna a causa della propria immagine, attualmente, il risultato sia esattamente l’opposto di quello atteso: tutti commentano il dimagrimento, in famiglia tutti si preoccupano, gli amici si interrogano, a lavoro si chiacchiera.
Se lo scopo fosse dunque un altro? Ad esempio ritrovare attenzione e accudimento?
Oppure manifestare un disagio esperito nella propria vita coniugale? O ancora, combattere un momento di vuoto, di demoralizzazione e fallimento?

Per approfondimenti:

Basile, B; et al (2007). I disturbi di Personalità in pazienti con disturbi del comportamento alimentare. Cognitivismo Clinico 4- 1, 3-21.

Bruch, H. (1978).Patologia del comportamento alimentare. Feltrinelli, Milano.

Bruch, H. (2006).La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale. Feltrinelli, Milano.

Dalle Grave, R. (2005).Terapia cognitiva comportamentale dei disturbi dell’alimentazione durante il ricovero, Positive Press, Verona

Dalla Grave, R., Camporese, L., Sartirana, M. (2012). Vincere il perfezionismo clinico, Positive Press, Verona

Fairburn, C. G; Cooper, Z; Shafran, R. (2003), Eating disorders, in “Lancet, 361, pp 4078- 416.

Munno, D; Sterpone S.C; Zunno. G. (2005),    L´anoressia nervosa maschile: Una review. Giornale Italiano di Psicopatologia, 11, 215-224.

 

 

 

“Tutta colpa della TV!”. Il falso mito della modella nell’Anoressia Nervosa

di Rocco Luca Cimmino

La normalizzazione di corpi statuari da parte dei mass media sembrerebbe un falso mito: nati prima della tv, i disturbi alimentari spesso dipendono da disagi all’interno del nucleo familiare

L’estate è alle porte e se l’insolito bollettino meteo può disorientarci, i media ci ricordano che le distanze si accorciano. Ebbene sì, l’appuntamento con il due pezzi è dietro l’angolo e le aspettative sono tante: pancia piatta, vita stretta, gambe snelle e toniche immuni alle umane imperfezioni. Questo lo status da raggiungere per il prossimo mese, lo stesso che ci viene propinato dai media che non desistono minimamente dal definire e normalizzare corpi statuari da ammirare, desiderare e a cui ambire (a volte, a tutti i costi). Pena l’Anoressia Nervosa, direbbe qualcuno. Nel senso comune, infatti, fa eco un saldo rapporto di causa ed effetto tra il ruolo esercitato dai mass media e tale disturbo alimentare: “Tutta colpa della TV!”, si dice. Il patinato ideale di magrezza diventa sinonimo di bellezza e dà valore alla persona tanto da diventare uno status da raggiungere, quello della “modella”. Non è un caso che in alcuni Paesi abbiano adottato delle misure di sicurezza per contrastare la magrezza eccessiva esibita nei perfetti corpi “photoshoppati” delle modelle. In Francia, ad esempio, si è resa obbligatoria la dicitura “foto ritoccata” sulle copertine e sui manifesti modificati.
Ma è davvero cosi influente il ruolo dei media sull’Anoressia Nervosa? Essendo ribattezzata come la malattia del XX secolo, la risposta verrebbe da sé. Ma volgendo lo sguardo al passato, quando dei media non vi era traccia alcuna, si troveranno inaspettati casi di anoressia. Leggi tutto ““Tutta colpa della TV!”. Il falso mito della modella nell’Anoressia Nervosa”

Dall’anoressia e dalla bulimia si può guarire

di Maria Pontillo

Il libro “Corpi senza peso”, scritto da un neuropsichiatra e un’ex modella, aiuta a comprendere come accettare e affrontare i disturbi alimentari

Anoressia, bulimia e altri disturbi alimentari colpiscono il 40% degli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Questo il dato diffuso dal prof. Vicari, primario dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Vicari sottolinea come i rischi legati a tali disturbi siano altissimi: secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, i disturbi del comportamento alimentare rappresentano la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali. La situazione è ancor più grave: secondo le ultime stime, l’età di esordio dei disturbi alimentari si è addirittura abbassata, con diagnosi e ricoveri che riguardano anche bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni. Dati allarmanti, quindi, che devono richiamare l’attenzione sulla necessità di sensibilizzare genitori e ragazzi su tali tematiche. Leggi tutto “Dall’anoressia e dalla bulimia si può guarire”