Se non ora quando?

di Valentina Silvestre

Origine e trattamento della procrastinazione

Il lavoro di Cristina Salvatori sull’ultimo numero di Cognitivismo Clinico offre una sintesi critica dei contributi presenti in letteratura sul tema della procrastinazione.

Cos’è la procrastinazione? Il rimandare consapevolmente l’esecuzione di compiti.
Nella procrastinazione comportamentale si posticipa un compito per ricercare sensazioni nuove e forti o per evitare un fallimento temuto e proteggere l’autostima. La procrastinazione decisionale, invece, riguarda il rimandare decisioni ed è accompagnata da un atteggiamento pessimistico circa la possibilità di fare scelte opportune e soddisfacenti.
Diversi studi evidenziano la presenza di tratti ben distinti che predispongono il soggetto a procrastinare. Le persone con alti livelli di impulsività sono le più propense: la variabile tempo è sottovalutata e la preoccupazione per le conseguenze si manifesta solo quando queste sono molto vicine nel tempo. Altro tratto ricorrente sarebbe la sensation seeking, la ricerca di forti emozioni, generate dall’avvicinarsi della scadenza, da parte di individui che sperimentano facilmente noia. Si pone, poi, l’accento sul perfezionismo: il procrastinatore, spinto dal timore del giudizio e del rifiuto altrui, tende a svolgere il compito in maniera perfetta.

Il lavoro passa in rassegna anche ricerche su aspetti relazionali correlati al fenomeno: si parla di modalità passivo-aggressiva di affermare la propria autostima e di modalità manipolativa per controllare l’altro. Quest’ultimo aspetto, in particolare, sembra richiamare quelle personalità di tipo dipendente: pensare di non avere le risorse necessarie per agire, sperare nell’appoggio dell’altro e allontanare il timore di solitudine. La procrastinazione, inoltre, è associata anche a bias ed euristiche di diverso tipo quali senso di inadeguatezza, scarsa fiducia in se stessi rispetto alla propria prestazione e alle proprie risorse e l’effetto di tali pensieri è l’evitamento.
Ma perché si procrastina? Per spiegare l’origine della procrastinazione, Piers Steel, psicologo dell’università di Calgary, propone la seguente equazione: le decisioni vengono prese moltiplicando le aspettative che si hanno rispetto alla probabilità che un evento si verifichi per il valore attribuito a quell’evento. A questo si aggiunge l’importanza del fattore tempo: tanto più è grande il ritardo, tanto più diminuisce la motivazione. Si evidenzia, infatti, la cattiva gestione del tempo e la valutazione erronea delle risorse a disposizione: i procrastinatori alternano, così, periodi di lavoro intenso a momenti di sospensione.
Si è evidenziato il ruolo trasversale della procrastinazione nella genesi e nel mantenimento di alcuni disturbi. Nel Disturbo Borderline e Antisociale di Personalità, la scarsa capacità di integrare i propri stati porterebbe il soggetto ad agire senza una pianificazione né una gerarchia di rilevanza. La personalità narcisistica tende a proteggersi dalla possibilità di fallimento con la procrastinazione. Rispetto ai disturbi di asse I, emergono forti correlazioni con l’abuso di alcol e sostanze, dove l’assunzione di sostanze è la ricompensa allo sforzo richiesto dalla mole di lavoro dovuta alla procrastinazione. Nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo è vista come difesa rispetto al timore di cadere in errore e sentirsi in colpa. Nella depressione, si evidenzia una forte associazione tra pensieri automatici negativi relativi a sé in seguito alla procrastinazione.
Perché lavorare sulla procrastinazione? Cristina Salvatori sottolinea come il fenomeno contribuisca a una serie di problematiche fisiche e mentali. Non esistono protocolli di testata efficacia: la terapia cognitivo-comportamentale è spesso indicata come trattamento d’elezione. La ristrutturazione cognitiva, accompagnata da esperimenti comportamentali, rappresenta la forma di intervento più utilizzata: rendere l’individuo consapevole di credenze disfunzionali e del loro ruolo, promuovere un ritmo giornaliero delle attività con una definizione chiara degli obiettivi inibisce la procrastinazione.

La quiete dentro la tempesta

di Elena Bilotta

Una pratica di mindfulness per rallentare pensieri e impulsività nei momenti difficili

Quando si soffre, si è portati a immaginare che dolore, rabbia, paura, tristezza non avranno mai fine e che non sarà possibile ritornare alla normalità fino a quando non si farà qualcosa affinché la “tempesta emotiva” passi. Ciò che accade in quei momenti di alta intensità emotiva è una completa “fusione” della persona con ciò che pensa e prova, e una maggiore tendenza ad agire impulsivamente. Si interpretano con più facilità i propri pensieri come fatti e, di conseguenza, si agisce esclusivamente sulla base di essi. Dopo che la tempesta emotiva passa, però, ci si accorge che quegli stessi pensieri appaiono meno travolgenti perché l’emozione si è attenuata. Ci si pente così di ciò che si è fatto trascinati dall’emozione, perché magari quell’azione ritenuta salvifica ha causato un ulteriore problema.
Facciamo un esempio: Michela si trova fuori città per un importante impegno di lavoro e sente molto la mancanza di suo marito Lorenzo. Per questo prova a contattarlo per telefono più volte durante la mattinata, ma lui non risponde. “Gli sarà successo qualcosa di grave…”, pensa, e inizia a provare una forte ansia che si trasforma in paura nel giro di pochi secondi, mano a mano che le sue chiamate continuano a non trovare risposta: “Non è possibile che non risponda… Sicuramente avrà avuto un incidente!”, pensa. “Se fossi a casa potrei aiutarlo in qualche modo… Invece da qui sono impotente!”. I pensieri nella testa di Michela si moltiplicano e sono tutti di natura catastrofica, il suo corpo risponde agitandosi e lei non è in grado di vedere che in realtà non vi sono dei fatti concreti dietro il suo rimuginio. Michela è dentro un circolo vizioso. A questo punto, sull’onda della tempesta emotiva nella quale si trova, prende il primo biglietto per tornare a casa, rinunciando al suo impegno di lavoro importante. “Devo tornare subito a casa per capire cosa è successo!”, pensa, e fugge senza dare spiegazioni a nessuno. Sul treno riceve una chiamata dal marito che, vivo e vegeto, le spiega di aver dimenticato il suo telefono a casa e di essere rientrato nella pausa pranzo per recuperarlo. A quel punto Michela prova sollievo e felicità all’idea che suo marito stia bene e non gli sia accaduto niente, ma si rende conto di aver agito d’impulso e di aver anche perso un’occasione lavorativa. Entra in uno stato di tristezza da fallimento e inefficacia. In questo stato farà rientro a casa.
Quello di cui Michela aveva bisogno in quel momento era riconoscere di essere dentro uno stato mentale problematico, dentro una tempesta emotiva, appunto, e fermarsi. Se si fosse fermata e avesse riconosciuto di provare ansia e paura e di star facendo dei pensieri catastrofici, forse avrebbe potuto riconoscere la preoccupazione che tipicamente la assale quando si allontana da casa e dagli affetti, e avrebbe potuto così rallentare la sequenza dei pensieri e l’impulsività. In quel momento, però, Michela pensava di non avere altra scelta se non quella di tornare immediatamente a casa.
Cosa avrebbe potuto fare Michela per non essere travolta dalle emozioni? Fermarsi e ritornare al respiro può aiutare a recuperare quello spazio “neutrale” di cui si ha bisogno per riconnettersi con la propria libertà di scegliere cosa fare e come farlo, anche quando si è nel mezzo di una tempesta emotiva.
Se ti capita di ritrovarti dentro una “tempesta emotiva”, puoi provare a rallentare la velocità con la quale la tua mente viaggia e il tuo corpo risponde, ritornando al respiro con una pratica di mindfulness. Chiudi gli occhi e osserva il tuo corpo: che sensazioni stai provando? Riconnettiti con il tuo respiro a livello della pancia. Osserva l’addome che si alza e si abbassa al passaggio dell’aria. Se il respiro non è tranquillo, non ti allarmare, è normale che non lo sia quando sei dentro una tempesta! Lentamente, cambierà. Osserva la tua mente: a cosa stai pensando? Ricorda che i pensieri non sono fatti e che nei momenti di maggiore intensità emotiva pensiamo che stiano per accadere proprio le cose che più temiamo. Osserva l’emozione del momento. Che cosa stai provando? Continua a respirare e immagina di essere dentro una casa: quando fuori c’è la tempesta tutte le finestre e le porte vengono chiuse per non farle sbattere col vento e per non far entrare la pioggia. Anche tu, quando sei dentro una tempesta fatta di emozioni, hai bisogno di chiudere porte e finestre e tornare al centro della tua casa, il tuo respiro. Ripeti questa semplice pratica senza agire, continua a rallentare e solo dopo che avrai rallentato, solo allora, scegli cosa fare. Potrai sperimentare come a volte scelta più saggia sia non fare nulla.

Lo faccio domani: quella (dannosa) tendenza a rimandare gli impegni

di Cristina Salvatori

Quante volte ci si riempie la mente di scuse mentre gli impegni si accumulano, le scadenze si avvicinano e il malessere aumenta? “Lo faccio domani”, si tende spesso a pensare. Con il rischio, però, di ritrovarsi con l’acqua alla gola e di fronte a due sole possibilità: abbandonare l’impresa, oppure costringersi a sforzi sovrumani per raggiungere lo scopo prefissato. Si chiama ‘procrastinazione’ (dal latino: pro- a favore di, e crastinus– di domani) quel comportamento che porta a rimandare intenzionalmente un’azione che è nel proprio interesse svolgere nell’immediato. I procrastinatori, spesso, scelgono il piacere istantaneo a discapito di gratificazioni successive ben più consistenti, seguendo quel processo che Piers Steel, massimo esperto sul tema, definisce di “accumulo dei debiti sulla carta di credito emotiva”: Le conseguenze in questo modo non si pagano subito, ma il conto andrà comunque saldato. E con interessi ben maggiori. Leggi tutto “Lo faccio domani: quella (dannosa) tendenza a rimandare gli impegni”