Gli scrupoli di un uomo devoto

di Manuel Petrucci

Il disturbo ossessivo-compulsivo nel racconto di un vescovo del ’600

La letteratura, la storia e la filosofia hanno offerto, nei secoli, descrizioni mirabili della vita mentale umana, precedendo, o anche talvolta superando in raffinatezza, lo studio scientifico che ne fanno la psicologia e la psichiatria.

Nel caso del senso di colpa, emozione che occupa certamente un posto di rilievo nella psicopatologia, è celebre la figura shakespeariana di Lady Macbeth che cerca di lavare via simbolicamente l’orrore dei delitti che ha istigato, tanto che gli studi moderni hanno denominato “Macbeth effect” l’evidenza che la colpa può aumentare il senso di contaminazione e i comportamenti di lavaggio. Il Dostoevskij di Delitto e castigo e il Poe de Il cuore rivelatore ci hanno successivamente lasciato un affresco dei tormenti angosciosi, corrosivi, persino allucinatori a cui può andare incontro chi ha mano macchiata di sangue per omicidio. Il meno conosciuto Jeremy Taylor, vescovo della Chiesa di Inghilterra nell’era Cromwell (XVII secolo), in un suo trattato teologico ci ha invece fornito un sorprendente ritratto di come anche una trasgressione morale molto più blanda di un omicidio, o soltanto il dubbio di una simile trasgressione, possa essere per alcune persone una fonte di preoccupazione tale da motivare sforzi estenuanti per scongiurarla, o per porvi rimedio. È il caso di chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), che Taylor definisce come “scrupolo”:

“A scruple is a great trouble of mind proceeding from a little motive, and a great indisposition, by which the conscience though sufficiently determined by proper arguments, dares not proceed to action, or if it doe, it cannot rest. That it is a great trouble, is a daily experiment and a sad sight. […] They repent when they have not sinned, and accuse themselves without form or matter; their virtues make them tremble, and in their innocence they are afraid; they at no hand would sin, and know not on which hand to avoid it: and if they venture in, as the flying Persians over the river Strymon, the ice will not bear them, or they cannot stand for slipping, and think every step a danger, and every progression a crime, and believe themselves drowned when they are yet ashore. Scruple is a little stone in the foot, if you set it upon the ground it hurts you, if you hold it up you cannot go forward; it is a trouble where the trouble is over, a doubt when doubts are resolved”.

(Uno scrupolo è un grande disagio della mente che si origina da un motivo trascurabile, e da un grande malessere, per cui la coscienza, pur essendo supportata da validi argomenti, non osa procedere all’azione, o, se lo fa, non riesce poi a trovare pace. È un grande disagio, esperito ogni giorno, triste a vedersi. […] Gli scrupolosi si pentono quando non hanno peccato, e accusano se stessi senza alcun fondamento; tremano nella virtù, temono nell’innocenza; si interrogano su come evitare il peccato, anche se non peccherebbero per alcuna ragione; se osano avventurarsi, come accadde ai Persiani in fuga sul fiume Strimone, il ghiaccio si sgretolerà o li farà scivolare, ogni passo sarà un pericolo, ogni progressione un crimine, e si crederanno annegati pur trovandosi a riva. Lo scrupolo è un sassolino nella scarpa, posizionato sotto fa male per il contatto con il suolo, posizionato sopra impedisce l’andatura. È un problema quando il problema è superato, un dubbio quando il dubbio è risolto).

Emergono, da questa descrizione, alcune tra le caratteristiche più salienti del DOC: la pervasività dei timori di colpa, la sofferenza a cui danno vita, l’impossibilità di pervenire a una definitiva rassicurazione nonostante i tentativi e i proper arguments. Questi elementi sono ancora più evidenti nell’esempio riportato da Taylor in un successivo passaggio: 

“William of Oseney was a devout man, and read two or three Books of Religion and devotion very often, and being pleased with the entertainment of his time, resolved to spend so many hours every day in reading them, as he had read over those books several times; that is, three hours every day. In a short time he had read over the books three times more, and began to think that his resolution might be expounded… and that now he was to spend six hours every day in reading those books, because he had now read them over six times. He presently considered that in half so long time more by the proportion of this scruple he must be tied to twelve hours every day, and therefore that this scruple was unreasonable; that he intended no such thing when he made his resolution, and therefore that he could not be tied… he remembered also that now that profit of those good books was received already and grew less, and now became changed into a trouble and an inconvenience. . . and yet after all this heap of prudent and religious considerations, his thoughts revolved in a restless circle, and made him fear he knew not what. He was sure he was not obliged, and yet durst not trust it… Well! being weary of his trouble, he tells his story, receives advice to proceed according to the sense of his reason, not to the murmurs of his scruple; he applies himself accordingly. But then he enters into new fears; for he rests in this, that he is not obliged to multiply his readings, but begins to think that he must doe some equal good thing in commutation of the duty… He does so; but as he is doing it, he starts, and begins to think that every commutation being intended for ease, is in some sense or other a lessening of his duty… and then also fears, that in judging concerning the matter of his commutation he shall be remiss and partial… What shall the man doe? After a great tumbling of thoughts and sorrows he begins to believe that this scrupulousness of conscience is a temptation, and a punishment of his sins, and then he heaps up all that ever he did, and all that he did not, and all that he might have done, and seeking for remedy grows infinitely worse, till God at last pitying the innocence and trouble of the man made the evil to sink down with its own weight, and like a sorrow that breaks the sleep, at last growing big, loads the spirits, and bringing back the sleep that it had driven away, cures it self by the greatness of its own affliction”.

(William di Oseney, un uomo devoto, leggeva di frequente due o tre libri di religione, con tale diletto che si propose di trascorrere nella lettura ogni giorno il numero di ore corrispondente al numero di volte che aveva letto i libri. In breve tempo ebbe letto i libri tre volte in più, ed estese quindi il suo proposito di lettura a sei ore al giorno, dato che aveva letto i libri sei volte ormai. Iniziò a realizzare che seguendo le proporzioni dello scrupolo si sarebbe trovato nella metà del tempo speso fino ad allora a dover leggere dodici ore al giorno, e lo scrupolo gli parve dunque irragionevole. Non aveva intenzione di arrivare a questo con la sua risoluzione, e pertanto non poteva esserne vincolato. Ritenne inoltre che il beneficio dell’aver letto quei libri fosse ormai tratto, e fosse anzi diminuito al punto da diventare un cruccio e un inconveniente. Eppure, dopo questa serie di considerazioni prudenti e religiose, i suoi pensieri vorticavano in un circolo senza requie. Era sicuro di non essere vincolato, eppure non osava crederci. Divenuto cosciente del suo disagio, raccontò la vicenda, e ricevette consiglio di procedere seguendo il senso della sua ragione, non i capricci dello scrupolo. Si dispose dunque ad agire in tale direzione, quando entrò in nuove paure: poteva non essere obbligato a intensificare le sue letture, ma avrebbe dovuto fare una buona azione di egual misura, in corrispondenza del debito. Fece dunque così, ma iniziò a pensare che ogni buona azione compiuta fosse votata al sollievo, e potesse quindi intendersi in qualche modo come un alleggerimento del suo dovere. Si spaventò allora di essere giudicato negligente e manchevole nella sua commutazione. Cosa avrebbe dovuto fare? Dopo un gran turbinio di pensieri e inquietudini cominciò a credere che la scrupolosità della sua coscienza fosse una tentazione, e una punizione per i suoi peccati. Ripercorse allora tutto ciò che aveva fatto nella vita, tutto ciò che non aveva mai fatto, tutto ciò che avrebbe potuto fare, e nella ricerca del rimedio la situazione peggiorava infinitamente, finché Dio, impietosito dall’innocenza e dalla sofferenza dell’uomo, fece sprofondare il male con il suo stesso peso, curando la grandezza dell’afflizione, riportando il sonno laddove era stato spezzato da quel dolore, che ingigantitosi aveva oppresso lo spirito).

La necessità di violare un proposito, nonostante fosse stato formulato autonomamente e per puro diletto, e non implicasse alcun danno per altri, ha innescato una spirale di timori legati alla possibilità di essere giudicato inadempiente, e per questo punito. È chiaro come le strategie adottate per risolvere il problema, affidate al sense of reason, abbiano generato nuovi timori e nuove ruminazioni, fino a portare al tentativo estremo di passare al vaglio l’intera esistenza, vissuta e potenziale. Il finale diventa ironico se pensiamo che quello stesso Dio di cui William teme il giudizio ha in realtà uno sguardo compassionevole sul suo dolore, alleviandolo. 

Se le manifestazioni del DOC conservano le proprie peculiarità attraverso i secoli, ciò che è cambiata è la conoscenza del funzionamento di questo disturbo e gli strumenti terapeutici efficaci di cui disponiamo. La cura al giorno d’oggi non ha bisogno quindi di chiamare in causa interventi divini, ma se è vero che Dio ci aiuta quando siamo i primi ad aiutare noi stessi… Ecco un motivo in più per andare in terapia! 

Per approfondimenti:
Estratto da Jeremy Taylor, Ductor dubitantium, or the rule of conscience (London: Royston, 1660, 2 voll.), citato in Hunter, R., & Macalpine, I., Three hundred years of psychiatry, 1535-1860 (London: Oxford University Press, 1963, p. 163-165) [Traduzione: MP]