“Pathways to Rights”: VI Congresso Mondiale su Salute Mentale e Sordità

di Stefania Fadda photo Stefania Fadda

La comunità accademica e scientifica di esperti internazionali nell’ambito della sordità ha accolto con grandi consensi il 6° Congresso Mondiale su Salute Mentale e Sordità, organizzato dalla European Society for Mental Health and Deafness (ESMHD)* e tenutosi dal 16 al 19 settembre a Belfast, capitale dell’Irlanda del Nord.

Il Congresso, dal titolo “Pathways to Rights”, è stato realizzato anche con il contributo dei prestigiosi Queen’s University of Belfast e Royal College of Psychiatrists, e si è proposto di affrontare un tema molto attuale nel dibattito internazionale sulla sordità: costruire percorsi indirizzati ad un pieno riconoscimento dei diritti delle persone sorde nell’ambito della salute mentale, qualunque sia il grado di perdita uditiva, la causa e il periodo della sua insorgenza.

Professionisti e ricercatori provenienti da ogni parte del mondo hanno condiviso studi, ricerche ed esperienze, attraverso oltre 100 presentazioni e poster pienamente accessibili ad un pubblico di astanti, sordi e udenti, di nazionalità diverse. Lingue ufficiali del congresso, infatti, sono state: l’Inglese, il British Sign Language, l’Irish Sign Language e l’International Sign Language. Non sono mancati, inoltre, il supporto della sottotitolazione simultanea in Inglese e le traduzioni da parte di interpreti esperti nelle lingue dei segni di oltre dieci nazioni.

Le quattro giornate sono state aperte da Liisa Kauppinen, Presidente Onorario del World Federation of the Deaf e vincitrice del Premio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani 2013, e da Roy McClelland, Professore Emerito di Salute Mentale alla Queen’s University of Belfast.

Da più parti è ormai riconosciuto che il deficit uditivo può avere un impatto profondo sul piano emotivo, fisico e psicologico, con ricadute negative sulle relazioni personali e sociali. Le barriere della comunicazione, inoltre, e altri limiti imposti dalla società ad una piena ed effettiva partecipazione alle attività sociali, culturali ed economiche, possono essere causa di isolamento e di frustrazione per le persone sorde.

Una particolare attenzione va rivolta ai bambini sordi: crescere in un “contesto udente”, non rispondente alle loro peculiari esigenze, può avere sui piccoli un impatto sullo sviluppo cognitivo, sociale, emotivo, comunicativo e linguistico.

Sulla base di queste considerazioni si pone l’esigenza, affermata dalla Dott.ssa Kauppinen, di migliorare la qualità della vita delle persone sorde, in accordo con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006).

Tra i fattori che garantiscono una migliore qualità della vita delle persone sorde, ha sottolineato il Prof. McClelland, vi è la possibilità di accedere ai servizi di salute mentale su base di uguaglianza con le persone udenti.

Il problema dell’accessibilità dei servizi di salute mentale si pone in tutte le fasce di età. Ad esempio, una persona divenuta sorda in età adulta, e per la quale la diagnosi di sordità è stata di per sé motivo di perdita, potrebbe scivolare nella depressione, in assenza di servizi di supporto accessibili. (“Mind the Gap!”, S. Harvest, Ireland).

Per raggiungere pari opportunità in quest’ambito, è importante un’intensa attività di promozione e diffusione della conoscenza del diritto alla salute mentale e al benessere psicologico.

A tal fine si rivela utile la realizzazione di ricerche, su base nazionale, volte a raccogliere dati sull’incidenza della sofferenza e dei disturbi mentali nella popolazione sorda. I risultati di queste ricerche avrebbero la duplice funzione di sensibilizzare le Istituzioni e di suggerire una pianificazione territoriale dei servizi di salute mentale in base alle esigenze rilevate (“Mental health in Deaf and hard of hearing adolescents in Norway”, K. Wagner, Norvegia).

Altrettanto utile è l’attuazione, a scuola, di programmi di psicoeducazione rivolti ai bambini e agli adolescenti sordi, agli insegnanti e ai genitori, come il “Bridging the Gap Project”, realizzato nell’Irlanda del Nord dalla National Deaf Childrens Society. I bambini e gli adolescenti sordi coinvolti hanno avuto l’opportunità di apprendere quali sono le condizioni del benessere emotivo e in che modo mantenerlo, mentre gli insegnanti hanno acquisito gli strumenti necessari a favorire tale benessere nell’ambiente scolastico. I genitori, a loro volta, hanno compreso l’importanza di salvaguardare la propria salute mentale e quella dei propri piccoli, rafforzando il ruolo di agenti di cura nel contesto familiare (“Turning Rights into Realities – Young Deaf People & Children, building resilience”, C. Doherty – Irlanda del Nord).

Le pari opportunità sul piano della salute mentale si concretizzano anche attraverso l’abbattimento delle barriere della comunicazione, con particolare riferimento alle persone sorde che utilizzano una Lingua dei Segni.

L’importanza di conoscere la sordità e la Lingua dei Segni riguarda molti casi di malattia mentale, che presentano un uso disorganizzato del linguaggio da parte del paziente.

Riguardo ai pazienti sordi segnanti, nelle fasi di assessment e trattamento, si pongono sfide nella traduzione e interpretazione non solo dei segni prodotti dai pazienti, ma anche delle componenti non manuali della Lingua dei Segni, come l’espressione degli occhi, il movimento delle sopracciglia e della bocca (“To recognize potentially bizarre content and unusual linguistic features in the signing of hallucinated persons”, AA.VV., Norvegia).

La carenza di professionisti della salute mentale specializzati in sordità e in grado di comunicare in modo adeguato con le persone sorde, nelle fasi di assessment, diagnosi e trattamento, può ostacolare il riconoscimento di una sofferenza psicopatologica del paziente sordo o, al contrario, indurre alla diagnosi di un disturbo mentale anche se non presente.

Un esempio è il caso di un paziente sordo segnante, di 35 anni, il quale, dopo essere stato ricoverato in un reparto psichiatrico norvegese, è stato riconosciuto perfettamente sano da uno staff di professionisti non esperti in sordità e lingua dei segni. In realtà, il paziente era affetto da schizofrenia paranoide (“Challenges faced when deaf patients are admitted to psychiatric general acute wards”, H. Saltnes & B. Øre, Norvegia).

Anche per quanto riguarda i test psicologici, la mancanza di norme di riferimento per l’utilizzo degli stessi con la popolazione sorda e la carenza di adattamenti per la somministrazione in Lingua dei Segni possono essere causa di errate valutazioni dei pazienti sordi.

Il Regno Unito offre un esempio di test tradotto in British Sign Language (BSL): si tratta del test SDQ, il cui adattamento in BSL lo ha reso uno strumento utile ad una reale comprensione dei bisogni dei bambini sordi e ad una più efficace prevenzione dei disturbi di salute mentale (“Translation of the SDQ into BSL”, J. Smith, Regno Unito). Un altro esempio degno di nota è rappresentato dal British Sign Language Cognitive Screening Test, utilizzato per identificare la demenza nelle persone sorde (“The challenge of identifing dementia in deaf people. A new cognitive screening test using British Sign Language”, AA.VV., Regno Unito).

Il Congresso Mondiale dell’ESMHD ha fornito molti spunti ai Paesi, come l’Italia, in cui vi è ancora una diffusa disparità nell’accesso ai servizi di salute mentale, e sanitari in genere, tra persone udenti e persone sorde. Una maggiore accessibilità a tali servizi permetterebbe alle persone sorde di partecipare attivamente alle decisioni relative alla propria salute. Essa è, inoltre, essenziale per ottenere il consenso informato a tutte le forme di trattamento. Infatti, in tutte le situazioni in cui è necessario un consenso informato da parte di una persona sorda e, in particolar modo, nel caso di ammissione volontaria o obbligatoria a cure psichiatriche, la mancanza di informazioni nella lingua propria dell’individuo lede un suo diritto fondamentale. (S.Fadda, Audizione parlamentare del 1° giugno 2011)

*La ESMHD è una organizzazione internazionale che, dal 1986, riunisce medici e psicologi specialisti in sordità e salute mentale, negli ambiti dell’età evolutiva, dell’età adulta e della salute pubblica. La sua mission è quella di promuovere, in Europa, un’adeguata salute mentale nelle persone sorde.

 

 

Come adattare i materiali DBT per i pazienti sordi

di Stefania Fadda photo Stefania Fadda

L’approccio dialettico-comportamentale (DBT), sviluppato da Marsha Linehan (Linehan, M. 1993) per il trattamento di pazienti con comportamento suicidario cronico affetti da Disturbo Borderline di Personalità, è il primo modello terapeutico con efficacia dimostrata in tale disturbo. Pertanto, è auspicabile che anche i pazienti sordi abbiano accesso al trattamento DBT e, affinché questo avvenga, si rivela necessario l’adattamento dei materiali utilizzati.

Nell’adattare il materiale scritto si dovrà tener conto del bagaglio culturale, del funzionamento psicologico e delle competenze in lingua italiana posseduti dai pazienti sordi. Ad esempio, schede ed esercizi potrebbero essere modificati in tre forme che rispondano a differenti abilità di lettura e comprensione dei pazienti: una prima forma potrebbe rivolgersi a coloro i quali possiedono minime abilità di lettura e comprensione e, pertanto, necessitano di materiale iconico; una seconda forma potrebbe rivolgersi a coloro i quali sono in grado di leggere l’italiano ad un livello elementare ed, infine, una terza forma a coloro i quali leggono l’italiano ad un livello avanzato. Ad esempio, nel modulo dedicato alle abilità nucleari di mindfulness, immagini quali quella di Dorothy e della sfera di cristallo nel “Mago di Oz” aiuterebbero pazienti con povere capacità linguistiche a comprendere l’importanza di osservare prendendo distanza critica da ciò che viene esperito (i pensieri non sono la realtà) (Glickman e Gulati, 2003). Per i pazienti con maggiori competenze linguistiche tali semplificazioni non sono necessarie, tuttavia è consigliabile utilizzare un linguaggio più chiaro e diretto rispetto a quello presente nelle schede rivolte ai pazienti udenti.

Per orientare il paziente alle varie componenti e procedure del programma DBT, i terapeuti utilizzano spesso una varietà di metafore. Queste ultime, per risultare efficaci con i pazienti sordi, devono essere significative in Lingua dei Segni Italiana e tener conto della cultura sorda e delle esperienze di vita peculiari dei pazienti sordi. Devono, quindi, essere di tipo visivo e comprensibili sia da un punto di vista linguistico che concettuale. Ad esempio, quando si introduce l’abilità di “tolleranza della sofferenza mentale/angoscia” si potrebbero utilizzare i cambiamenti del tempo come metafora per lavorare sulle emozioni: è, infatti, difficile controllare il meteo come lo è controllare le proprie emozioni, tuttavia è possibile rispondere efficacemente in situazioni che attivano emozioni forti, così come ci si può preparare ad affrontare il freddo. Quando si introduce l’argomento dell’ambiente invalidante potrebbe essere utile discutere dell’esperienza comune a molte persone sorde di essersi sentite invalidate dal “mondo udente”, in primis dalla famiglia d’origine.

All’interno del modulo “efficacia nelle relazioni interpersonali” vengono spesso utilizzati acronimi quali, ad esempio, “DEAR MAN” il cui fine è quello di ricordare ai pazienti i sette passi che consentono di richiedere ciò di cui si ha bisogno e dire di “no” (Descrivere, Esprimere, Affermare, Rinforzare, Mantenere la Mindfulness, Apparire fiduciosi, Negoziare). Con i pazienti sordi non fluenti in italiano gli acronimi risultano spesso poco utili in quanto il significato viene perso nella traduzione in Lingua dei Segni. Negli Stati Uniti sono stati creati acronimi comprensibili per le persone sorde mediante l’impiego di lettere che formano parole dalla dattilologia nota e associate a segni di uso quotidiano. Ad esempio, l’acronimo “DEAR MAN” è stato modificato in “DEAF CAN”, più semplice da ricordare e adeguato culturalmente. I sette concetti dell’acronimo originale sono rimasti invariati, ma collocati in posizioni differenti e segnati in modo comprensibile per i pazienti sordi (Describe, Express, Ask/Say no, Focus, Confident appearance, Add rewards, Negotiate/suggest).

Rispetto ai pazienti sordi italiani, sia l’adattamento per le persone udenti italiane che quello per le persone sorde americane non si rivela efficace, infatti entrambi mancano di accessibilità linguistica e culturale. Un passo in tale direzione sarebbe, pertanto, auspicabile al fine di rendere la DBT sempre più fruibile da parte dei pazienti sordi.

Riferimenti

Glickman, N., & Gulati, S. (Eds.). (2003). Mental health care of deaf people: A culturally affirmative approach Mahway, NJ: Lawrence Erlbaum.

Linehan, M. M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. New York: Guiliford Press.

La Terapia Dialettico Comportamentale: adattamento per i pazienti sordi – Seconda Parte.

di Stefania Fadda 

La DBT (Dialectical behavior therapy) vede le origini del disturbo borderline nella disregolazione emotiva e combina l’utilizzo della validazione emotiva con l’insegnamento di tecniche per tollerare l’angoscia, ridurre le emozioni dolorose ed eliminare i problemi comportamentali. Leggi tutto “La Terapia Dialettico Comportamentale: adattamento per i pazienti sordi – Seconda Parte.”

La Terapia Dialettico Comportamentale: adattamento per i pazienti sordi – Prima Parte

di Stefania Fadda 

Le terapie che si avvalgono di materiali e protocolli scritti, la cui comprensione richiede familiarità con la cultura dominante, spesso pongono barriere linguistiche e culturali per i pazienti che appartengono a gruppi minoritari. Quanto affermato è applicabile anche alle persone sorde affiliate alla comunità sorda, per le quali la lingua dei segni rappresenta il metodo di comunicazione elettivo.

Il bisogno di adattare la terapia alle esigenze dei pazienti appartenenti a gruppi linguistici e culturali minoritari è stato palesato, per la prima volta, dal U.S. Surgeon General’s Report on Mental Health (USDHHS, 2001) e, in riferimento alla Terapia Cognitivo Comportamentale, dal Cognitive and Behavioural Practice Journal (Hofmann, 2006).

In questo e nei prossimi post verranno illustrati gli adattamenti della Terapia Dialettico Comportamentale (DBT) e la modalità di utilizzo della stessa con i pazienti sordi.

La DBT costituisce uno dei trattamenti maggiormente validati per la riduzione del rischio suicidario in pazienti con diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità (BPD). Con riferimento ai pazienti sordi, sebbene i dati sull’utilizzo di tale terapia siano limitati, alcuni studi riportano una più alta incidenza dei tentativi di suicidio e/o dell’ideazione suicidaria rispetto alla popolazione udente (Black e Glickman, 2006; Durland, 2004; Samar et at., 2007). Inoltre, le persone sorde presentano un più elevato rischio di sviluppare BPD.

La prospettiva socio-biologica della DBT suggerisce che gli individui con BPD presentano vulnerabilità emotiva sia su base biologica che come risultato di esperienze traumatiche. Tali individui, rispetto alla popolazione non clinica, dimostrano una maggiore sensibilità verso stimoli emotivamente rilevanti, più intense risposte emotive e un più lento ritorno ai valori di base.

L’ambiente dal quale i pazienti con BPD provengono, viene frequentemente definito invalidante in quanto non offre all’individuo rispetto, attenzione e comprensione verso i suoi vissuti cognitivi ed emotivi. Il caso estremo è la configurazione di un ambiente abusante. All’interno di un ambiente invalidante, l’individuo non impara a tollerare il distress, a regolare l’arousal, e a discernere quando fidarsi delle proprie risposte emotive. La Lineahan (1993) afferma che il BPD trae origine dall’interazione tra la vulnerabilità emotiva e l’ambiente invalidante.

L’ipotesi che le persone sorde siano ad alto rischio di invalidazione appare agli occhi di chi scrive convincente. Infatti, i pazienti sordi adulti frequentemente riferiscono di aver esperito limitate comunicazione e interazione con la famiglia d’origine e, più in generale, con le persone udenti. Spesso essi sono l’unica persona sorda a casa, a scuola, nei contesti socio-ricreativi e nel luogo di lavoro. Inoltre, la percentuale di persone udenti in grado di comunicare efficacemente con essi è estremamente bassa.

La capacità di tollerare il distress, lo sviluppo delle abilità di regolazione emotiva e la possibilità che i propri pensieri ed emozioni vengano validati dipendono in misura significativa da una adeguata comunicazione e interazione con gli altri.

Le persone sorde spesso non hanno avuto la possibilità di apprendere incidentalmente strategie di regolazione emotiva e di coping nei contesti familiari e, solo un numero limitato di esse, ha beneficiato di un apprendimento diretto. Complicano il quadro la limitata competenza nella lingua utilizzata dalla maggioranza della popolazione e la difficoltà ad accedere alle informazioni. Ne risulta che molti pazienti sordi arrivano in terapia con una difficoltà a identificare e regolare le emozioni (Glickman e Gulati, 2003). Fine prima parte.

Bibliografia

Black, P. A., & Glickman, N. S. (2006). Demographics, psychiatric diagnoses, and other characteristics of North American deaf and hard-of-hearing inpatients. Journal of Deaf Studies and Deaf Education, 11, 303–321.

Durland, B. (2004). [Preliminary analyses of National College Health Assessment data collected in the Fall of 2002]. Unpublished raw data.

Glickman, N., & Gulati, S. (Eds.). (2003). Mental health care of deaf people: A culturally affirmative approach Mahway, NJ: Lawrence Erlbaum.

Hofmann, S. G. (2006). Culturally sensitive CBT [Special Issue].Cognitive and Behavioral Practice, 13(4), 344.

Linehan, M. M. (1993a). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. New York: Guiliford Press.

Samar, V. J., Pollard, R., O’Hearn, A., Lalley, P., Sutter, E., Klein, J. D., et al. (2007, March 13-14). Deaf young adults’ self-reported suicide attempt rate: role of reading and gender. Honolulu, Hawaii: Paper presented at the Pacific Rim Disability Conference.

U.S. Department of Health and Human Services. (2001). Mental health: Culture, race, and ethnicity—A supplement to Mental Health: A Report of the Surgeon General. Washington, DC: Author.

La Culturally Affirmative Psycotherapy per i pazienti sordi – parte seconda

di Stefania Fadda

In considerazione di quanto esposto nella prima parte rispetto agli aspetti socio-linguistici della sordità, nonché all’impatto che l’etnia, la cultura e caratteristiche quali l’orientamento sessuale hanno sulla reattività al trattamento, viene fortemente raccomandato l’impiego della Culturally Affirmative Psycotherapy (Leigh, 1999). Il punto centrale di questa psicoterapia è proprio quello di comprendere e rispettare le differenze piuttosto che sradicarle. Nel lavoro psicoterapico con le persone sorde, essa richiede auto-consapevolezza da parte dello psicoterapeuta, familiarità con la comunità sorda e la sua cultura e conoscenza degli interventi terapeutici culturalmente sintonici. Leggi tutto “La Culturally Affirmative Psycotherapy per i pazienti sordi – parte seconda”

La Culturally Affirmative Psychotherapy per i pazienti sordi – parte prima

di Stefania Fadda

In questo e nel successivo post il mio intento sarà quello di proseguire nell’individuazione e condivisione delle caratteristiche che il lavoro psicoterapico deve possedere al fine di risultare efficace con i pazienti sordi. L’interesse per tale tematica nasce dalla constatazione di come la popolazione sorda ponga sfide comunicative, metodologiche e culturali alla psicoterapia cognitiva tradizionale, sia da un punto di vista etico che pratico. Inoltre, gli scorsi trent’anni hanno visto un proliferare di studi sulla storia delle persone sorde, sulla cultura sorda, sulla sociologia della comunità sorda, sulle sue norme, valori e prospettive. Ma, sfortunatamente, ad oggi, la letteratura in ambito psicoterapeutico ha dedicato solo pochi articoli agli approcci e alle pratiche efficaci nel lavoro con i pazienti sordi. Leggi tutto “La Culturally Affirmative Psychotherapy per i pazienti sordi – parte prima”

Terapia cognitiva e sordità

di Stefania Fadda

L’approccio cognitivo trova ampia applicazione nella terapia con pazienti appartenenti a diverse culture e che presentano difficoltà di comunicazione.
In riferimento ai pazienti sordi, per essere considerata efficace, la terapia cognitiva dovrà possedere una doppia valenza: essere in grado di rispondere alle problematiche che affliggono i pazienti sordi quanto quelli udenti, e mirare alla riduzione di sintomatologie peculiari rispetto alla condizione di sordità. Per raggiungere questi obiettivi, la terapia dovrà utilizzare tecniche visive ed essere culturalmente appropriata. Leggi tutto “Terapia cognitiva e sordità”