Che schifo! Sarò stato contaminato?

di Barbara Basile

Cosa è il disgusto? Che funzione ha nella nostra vita e cosa accade se siamo troppo sensibili ad esso?

 Il disgusto ci salva dall’ingestione di cibi andati a male o dal contatto con sostanze potenzialmente pericolose. Grazie alla sua intensa sgradevolezza, associata a una specifica espressione del viso, a sensazioni fisiologiche (come nausea e vomito) e a una risposta di repulsione e allontanamento, l’uomo è riuscito a evitare alimenti putrefatti, a sottrarsi al contatto con animali sporchi e potenziali vettori di malattia, a evitare il possibile contagio tramite ferite o manifestazioni corporee potenzialmente dannose. Tutte queste caratteristiche e manifestazioni sono descritte in modo molto evocativo nel libro “Il Profumo” di Patrick Süskind.

Un’altra accezione più evoluta e socialmente determinata è quella del disgusto socio-morale, inteso come regolatore delle relazioni tra le persone. Capita spesso di sentir dire: “Che persona disgustosa!”, “Quell’individuo mi fa schifo! Non ci voglio avere a che fare”, rispetto a soggetti che agiscono in modo immorale, per esempio pedofili, stupratori, dittatori politici o personaggi che in qualche modo ledono, usano o approfittano degli altri. In questo senso, il disgusto incoraggia risposte di rifiuto e repulsione e anche di punizione (come accade, ad esempio, per i condannati criminali che vengono sottoposti a una pena da scontare in carcere).

Il disgusto si apprende fin dai primi mesi di vita, quando i genitori usano manifestazioni verbali o smorfie per indicare al bambino di non toccare o raccogliere oggetti sporchi e potenzialmente dannosi. Le figure genitoriali hanno quindi un ruolo fondamentale nell’insegnare al bambino come approcciarsi a questa emozione e rappresentano un modello di apprendimento molto importante.

Nel Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) il disgusto gioca un ruolo chiave. Ciò è particolamente vero nel sottotipo da contaminazione, in cui si ha il timore di potersi sporcare o di essere contagiati da una possibile malattia. Queste paure molto intense spingono a comportamenti di evitamento (arrivando anche a non uscire più di casa), di controllo e soprattutto di lavaggio, con lo scopo di prevenire a tutti i costi qualsiasi possibile contaminazione. Il film francese “Supercondriaco – Ridere fa bene alla salute” rappresenta abbastanza fedelmente quali possono essere i timori e i comportamenti che una persona affetta da questo disturbo vive.

Trattare chi ha una elevata sensibilità al disgusto è molto difficile, soprattutto considerando il forte potere attivante che questa emozione racchiude. Il flooding rappresenta una possibile tecnica di intervento terapeutico, difficile da attuare poichè richiede una fortissima adesione del paziente. Si tratta di un approccio comportamentale, in cui l’individuo entra in contatto con le situazioni che generano ansia in modo non-graduale e prolungato. L’ipotesi è che nel soggetto esposto allo stimolo ansiogeno per molto tempo, pian piano la risposta d’ansia si attenui fino alla completa estinzione. Proprio questo, senza anticipare troppo il finale del film diretto da Dany Boon, è quello che sperimenta il protagonista. Altri interventi consistono nell’aiutare il paziente a esporsi gradualmente agli stimoli disgustosi o pericolosi, senza poi mettere in atto i comportamenti di lavaggio (Esposizione e Prevenzione della Risposta, E/RP). Ancora, si può chiedere all’individuo di associare più volte gli stimoli disgustosi con stimoli valutati da lui come molto gradevoli. Se correttamente applicato, questo processo di controcondizionamento dovrebbe depotenziare l’effetto attivante negativo degli stimoli disgustosi. Anche in ambito scientifico, purtroppo, gli studi volti a verificare l’efficacia di uno specifico trattamento psicoterapico sono ancora scarsi.

 

Per approfondimenti:

 – Questa et al., Cognitivismo Clinico (2013) 10, 2, 161-172

– Mancini F. (2016), a cura di “La mente ossessiva”. Raffaello Cortina Editore

Un bacio rubato: istigazione e colpa

di Carlo Buonanno

Essere istigati alla violazione dell’altro non ci solleva del tutto dai sensi di colpa

Adesso rilassatevi, chiudete gli occhi e provate a immaginare di baciare una donna contro la sua volontà. A meno che non siate antisociali, è molto probabile che non vi piacerà: vi rimarrebbe addosso una sensazione molto sgradevole. Ora provate a immaginare di baciare la stessa donna, ma stavolta con un amico accanto che vi incita a farlo: “Devi farlo!”.

Nel primo caso, la maggior parte di voi si sarà sentito sporco e avrà provato un forte senso di contaminazione psicologica. In più, complice il disgusto, è molto probabile che siate stati assaliti dall’urgenza di pulirvi, di lavarvi le mani o di impegnarvi in rituali di purificazione. Questo accade soprattutto se siamo gli unici responsabili della violazione morale e del danno che essa ingenera. Come possiamo mitigare la sensazione psicologica di contaminazione che consegue alla percezione di aver violato una regola? Una deroga agli imperativi della grammatica morale è rappresentata dalla diffusione della responsabilità. Leggi tutto “Un bacio rubato: istigazione e colpa”

Non ci voglio… non ci posso… non ci devo pensare!!!

di Olga Ines Luppino

Sempre più “affascinata” dal DOC, ancora una volta cerco, leggo e scrivo di ossessioni…in particolare, in questo post, di pensieri intrusivi di natura religiosa e sessuale.

Tra i soggetti affetti da DOC la presenza di ossessioni di natura sessuale e/o religiosa è relativamente comune e si associa ad esiti maggiormente sfavorevoli ai diversi trials di CBT e farmacoterapia (Ferrão et al, 2006; Rufer et al., 2005). I soggetti che sperimentano questo genere di ossessioni tendono a considerare i propri pensieri inaccettabili e causa di esperienze di vergogna ed imbarazzo oltre che di ansia e timore, impegnandosi perciò, in rituali volti a neutralizzare o ad eliminare i pensieri stessi. Leggi tutto “Non ci voglio… non ci posso… non ci devo pensare!!!”

La dura legge del contagio

 di Viviana Balestrini

Facendo una review sulla contaminazione nel DOC, mi sono imbattuta in un esperimento non recente, ma tanto semplice, quanto interessante.

Com’è noto, il timore di contaminazione si riferisce all’intensa e persistente sensazione di essere stati inquinati, sporcati o infettati a causa del contatto, diretto o indiretto, con un oggetto, luogo o persona  percepiti come sporchi, impuri o infetti (Rachman, 2006) e ha molto a che vedere con alcuni pazienti affetti da DOC. Numerosi studi sono stati condotti sulle credenze magiche legate alle modalità di contaminazione (irrilevanza della dose, permanenza nel tempo, etc.), tra questi la sperimentazione di Tolin e colleghi (2004), che hanno voluto indagare la “legge del contagio”. Eccone una breve descrizione.

I ricercatori hanno ingaggiato un gruppo di soggetti clinici, pazienti con DOC con timore di contaminazione e pazienti con disturbo di panico, e un gruppo di soggetti non clinici di controllo. È stato chiesto ai partecipanti di identificare l’oggetto “più contaminato” del luogo dove si trovavano. Quindi lo sperimentatore ha preso una matita nuova e l’ha sfregata sull’oggetto individuato. A quel punto ha chiesto ai partecipanti se e quanto la matita fosse contaminata. Successivamente lo sperimentatore ha preso un’altra matita e l’ha sfregata con la precedente e nuovamente ha domandato ai partecipanti se attraverso il contatto avvenuto si fosse contaminata. Questa stessa procedura è stata ripetuta per 12 matite. Al termine dell’esperimento, i soggetti con disturbo di panico e del gruppo non clinico hanno riferito che c’era una riduzione della contaminazione vicina al 100%, mentre i per i pazienti con DOC, la riduzione della contaminazione si è attestata intorno al 40%.

Una riflessione clinica. Se ancora ce ne fosse bisogno, tali risultati sono suggestivi di quanto sia arduo intervenire sulla modificazione delle assunzioni del paziente rispetto alla minaccia di essere contaminati e anche di quanto ciò possa essere controproducente, perché incrementa la tendenza ad attivare ragionamenti dialogici, sia intrapersonali che interpersonali, che mantengono il disturbo. Alla luce di ciò, piuttosto che tentare di scalfire la dura legge del contagio e le altre credenze ad essa connesse, occorre inquadrarle in un’ottica funzionale, in modo da comprendere insieme al paziente quanto la sintomatologia e i particolari meccanismi e processi cognitivi soggiacenti abbiamo un senso ai fini del raggiungimento di uno scopo.

 

Riferimenti bibliografici

Rachman, S. (2006). Fear of contamination: assessment and treatment. New York: Oxford University Press Inc.
Tolin, D., Worhunsky, P., & Maltby, N. (2004). Sympathetic magic in contamination-related OCD. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, 193-205.

Per approfondire…

Studi e ricerche sul Disturbo Ossessivo Compulsivo