Curare il disturbo ossessivo compulsivo

di Mauro Giacomantonio

La Terapia Cognitivo Comportamentale è efficace?

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è una psicopatologia piuttosto diffusa e invalidante. Può manifestarsi in diverse forme, ad esempio con compulsioni di lavaggio o di controllo, ed esordire già in giovane età. È quindi di fondamentale importanza sviluppare e mettere alla prova protocolli di intervento sempre più incisivi e sostenibili dalle persone che soffrono di DOC.

Proprio con questo intento, Andrea Gragnani e collaboratori hanno recentemente pubblicato un articolo che esamina, attraverso uno studio condotto su pazienti che presentavano sintomi ossessivi, l’efficacia di un intervento sviluppato e perfezionato dal Prof. Francesco Mancini e il suo gruppo clinico e di ricerca negli ultimi venti anni.

Questo modello di intervento, oltre ad essere basato su una specifica concettualizzazione teorica del DOC, si pone il problema di favorire la capacità di tollerare la minaccia ossessiva e, quindi, di aderire meglio alla tecnica dell’esposizione con prevenzione della risposta (ERP). L’ ERP, infatti, è una tecnica psicoterapica molto efficace per il trattamento del DOC, che troppo frequentemente viene rifiutata o abbandonata dai pazienti perché percepita come ansiogena.

In risposta a questo problema, l’intervento esaminato nell’articolo propone una serie di tecniche cognitive che facilitano il processo di accettazione della minaccia, riducendo sia la convinzione di potere o dovere ridurre il rischio temuto, sia la tendenza a ricorrere a ragionamenti eccessivamente sbilanciati sul versante della prudenza. La capacità di accettare il rischio aiuterà poi il paziente a tollerare l’esposizione rinunciando alle condotte di protezione. Dei 40 pazienti che hanno sperimentato il protocollo proposto, una elevata percentuale (80%) ha riportato un beneficio significativo e in pochissimi hanno abbandonato il trattamento proposto.

Questi risultati confermano la necessità di articolare un trattamento complesso che favorisca prima l’accettazione “cognitiva” della minaccia e permetta poi di sperimentarla praticamente attraverso l’ERP.

Studi di efficacia come quello pubblicato da Gragnani e colleghi sono particolarmente preziosi per la pratica clinica quotidiana, perché permettono di valutare gli aspetti cruciali per la riuscita del trattamento, aprendo così la strada al suo perfezionamento.

Per approfondimenti

Gragnani, A., Zaccari, V., Femia, G., Pellegrini, V., Tenore, K., Fadda, S., Luppino, O.I., Basile, B., Cosentino, T., Perdighe, C., Romano, G., Saliani, A.M., Mancini, F. (2022). Cognitive-Behavioral Treatment of Obsessive-Compulsive Disorder: The Results of a Naturalistic Outcomes Study. Journal of Clinical Medicine, ;11(10):2762.

Articolo integrale: https://doi.org/10.3390/jcm11102762

ERP o non ERP, questo è il dilemma

di Benedetto Astiaso Garcia

L’utilizzo dell’esposizione con prevenzione della risposta in un campione di psicoterapeuti italiani

L’esposizione con prevenzione della risposta (ERP) consiste nell’esporre il paziente al pensiero, all’immagine o all’evento temuto per un tempo superiore a quello che normalmente riesce a tollerare (esposizione) e nell’aumentare la resistenza all’impulso di mettere in atto i comportamenti cui abitualmente ricorre per contenere, prevenire o neutralizzare la minaccia temuta (prevenzione della risposta).

Benché sia risaputo che l’ERP sia un intervento evidence-supported indicato dalle linee guida internazionali come trattamento d’elezione per il Disturbo Ossessivo Compulsivo, per quali ragioni alcune ricerche ne evidenziano uno scarso impiego nella pratica clinica? 

Uno studio pilota sviluppato nel 2022 da Cosentino, Raimo, et al. si prefigge lo scopo di rispondere a tale quesito, indagando l’utilizzo dell’ERP tra gli psicologi cognitivisti italiani e valutandone la frequenza, le credenze associate alla messa in atto di tale pratica e il ruolo giocato dalle caratteristiche personali del terapeuta, quali la sensibilità al senso di colpa: come proposto da Sars e Van Minnen nel 2015 per l’anxiety sensitivity, viene ipotizzato dagli autori che anche la disposizione a prevenire ed evitare di sentirsi in colpa potrebbe indurre un mancato impiego della tecnica. 

Hanno preso parte a tale indagine 105 partecipanti, in prevalenza donne (74%) e di età compresa tra i 30 e i 40 anni (60%). I partecipanti, per la maggior parte esercitanti la libera professione (80%), per il 43% svolgono attività di psicoterapia da meno di cinque anni. 

Dai risultati, in linea con la letteratura internazionale, emerge come le credenze sull’efficacia dell’ERP e un atteggiamento favorevole al suo impiego correlino positivamente con la frequenza dell’utilizzo. Certamente d’interesse la correlazione negativa tra la sensibilità alla colpa e il ricorso all’ERP nel trattamento del DOC: come ipotizzano gli autori, probabilmente, il terapeuta, proprio come il paziente, al fine di evitare i propri stati di colpa tende a ricorrere a evitamenti e comportamenti protettivi, ad esempio per non sperimentare la responsabilità di avere un ruolo attivo nell’infliggere sofferenza al paziente e le eventuali conseguenze. 

Per quanto complessivamente il 65% dei terapeuti utilizzava l’ERP nel trattamento del DOC e circa il 40% nel trattamento degli altri disturbi d’ansia, i terapeuti con attività clinica inferiore ai cinque anni utilizzano in maniera nettamente minore tale tecnica: l’autoefficacia percepita dal terapeuta nella gestione delle situazioni complesse correla positivamente nell’utilizzo dell’esposizione. Come poter dunque favorire una maggiore disponibilità negli psicoterapeuti ad affidarsi a tale tecnica?

Rispondere a tale domanda solleva una questione quanto mai urgente e attuale: l’importanza di un adeguato e strutturato addestramento. Essere capaci di gestire situazioni complesse passa necessariamente attraverso la formazione in psicoterapia, condizione determinante per la crescita personale e lo sviluppo di competenze, atte a modificare credenze negative circa tale pratica e offrire uno specifico padroneggiamento della tecnica. È necessaria, dunque, una formazione valida che, accanto a una profonda conoscenza teorica, offra utili strumenti pratici per porre il professionista nella miglior condizione di esercitare l’esposizione con prevenzione della risposta, garantendo di conseguenza ai pazienti un trattamento di grandissima efficacia comprovata.

Gli psicologi per primi, molto spesso, sono spaventati dall’utilizzo di strumenti e tecniche che in realtà conoscono poco, timorosi di scottarsi attraverso la sofferenza del paziente. Una buona formazione in psicoterapia diviene l’unica modalità per danzare sui carboni ardenti. Precludersi all’utilizzo di una tecnica di acclarata efficacia, molto spesso a causa di una mancata formazione, significa compromettere la buona riuscita della terapia.  Come affermava George Orwell, “il primo compito delle persone intelligenti è la riaffermazione dell’ovvio”. Oggi più che mai, anche grazie alla ricerca Utilizzo dell’esposizione con prevenzione della risposta in un campione di psicoterapeuti italiani, siamo chiamati a difendere l’ovvio: una buona formazione degli specialisti. Cui prodest? Certamente ai pazienti. 

Per approfondimenti: 

Raimo, S., Battimiello, V., Biondi, D., Ciccarelli, M., Colardo, T., Riemma, D., Schiano Di Zenise, L., Gragnani, A., Scuotto, A., Cosentino, T., (2022). L’utilizzo dell’esposizione con prevenzione della risposta in un campione di psicoterapeuti italiani, Psicoterapia Cognitiva Comportamentale, 28 (3), 245- 260.

Cosentino, T., De Sanctis, B., Luppino, O., (2021). Le procedure comportamentali: esposizione con prevenzione della risposta. In: Perdighe, C., Gragnani, A., Psicoterapia Cognitiva, Raffaello Cortina Editore.

 

Foto di DS stories:
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Sensazioni corporee, che paura!

di Miriam Miraldi
Anxiety sensitivity e Disturbo Ossessivo Compulsivo
La persona che soffre di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) si trova a dover fronteggiare pensieri o immagini negative di tipo intrusivo, attivando compulsioni volte a neutralizzare il disagio da esse prodotto. La Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) può essere un valido aiuto in quanto, attraverso tecniche espositive con prevenzione della risposta (E/RP, Exposure with response prevention), favorisce il graduale avvicinamento agli stimoli temuti, al netto della messa in atto delle usuali strategie disfunzionali che il soggetto utilizza, e che sono generalmente di evitamento e fuga. Tuttavia, non tutte le tecniche sono egualmente efficaci per tutti gli individui e vi sono fattori che possono influenzare gli esiti trattamentali, come ad esempio la copresenza di depressione grave. La ricercatrice americana Shannon M. Blakey e colleghi si sono chiesti di recente se anche la cosiddetta Anxiety Sensitivity (AS), o “sensibilità all’ansia”, possa essere un elemento perturbante il buon esito della terapia per il disturbo ossessivo.
La AS consiste in una peculiare propensione a considerare pericolosi per la propria integrità psicofisica segnali, anche normali, di arousal, o attivazione corporea fisiologica (p.es. palpitazioni, lievi capogiri, vertigini, etc.), che vengono letti dal soggetto non come semplicemente fastidiosi, quanto piuttosto come ambigui o minacciosi, causando un inevitabile incremento dell’ansia; così, ad esempio, una persona con elevata sensibilità all’ansia potrebbe interpretare erroneamente un senso di costrizione toracica come segno di infarto, oppure le vertigini come segno di stare “perdendo il controllo”. Sebbene il concetto di AS sia principalmente associato al disturbo di panico o al disturbo di ansia per la salute, esso è considerato un processo transdiagnostico e un fattore di vulnerabilità per la psicopatologia in genere tanto che – per esempio- specie la dimensione cognitiva dell’AS si associa alla gravità dei sintomi nel DOC. Ci sono motivi per ipotizzare che l’AS possa impattare negativamente sulla buona riuscita del trattamento per tale disturbo. Innanzitutto, l’attivazione ansiosa viene spesso “provocata” durante la terapia di esposizione e pertanto, gli individui con un AS elevato tendono a temere non solo gli stimoli di esposizione di per sé, ma anche le sensazioni di attivazione che vengono “terapeuticamente” indotte durante l’esposizione. Ciò potrebbe comportare che i pazienti affetti da DOC con AS elevata possano essere soggetti a episodi di panico durante l’esposizione, il che condurrebbe a comportamenti di evitamento e ostacolerebbe sia l’aderenza al trattamento, che la fiducia nelle tecniche; inoltre, le ossessioni di alcuni pazienti potrebbero direttamente riguardare sensazioni somatiche ambigue: per esempio, un paziente che presenta un DOC da contaminazione può essere particolarmente ipervigilante e ansioso in risposta a sensazioni di nausea, che spesso accompagnano l’attivazione ansiosa.
La ricerca di Blackey ha inteso esaminare la misura in cui i livelli di partenza di AS possano influenzare l’esito del trattamento in un campione di individui con diagnosi clinica di DOC: 187 partecipanti sono stati inclusi in un programma di trattamento residenziale presso il Centro dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi del Rogers Memorial Hospital di Oconomowoc, nel Wisconsin, che comprendeva una media di 28 ore settimanali di esposizioni graduate, gruppi di psicoeducazione, terapia cognitivo comportamentale individuale. Tutti i partecipanti hanno completato una batteria di questionari self report, sia pre- che post-trattamento, che includeva: una scala di valutazione dei sintomi ossessivo-compulsivi (DOCS,Dimensional Obsessive-Compulsive Scale); una scala di valutazione della depressione (BDI-II, Beck Depression Inventory-II); e infine una scala specifica per l’Anxiety Sensitivity (ASI, l’Anxiety Sensitivity ), un questionario di 16 item sulle credenze riguardanti la pericolosità dell’arousal (ad es., “Mi fa paura quando il mio cuore batte rapidamente”). Scopo dello studio era comprendere perché alcuni pazienti con DOC non aderiscono o rispondono alla TCC, sebbene sia l’intervento gold standard per tale disturbo.
Coerentemente con l’ipotesi dei ricercatori, l’AS era correlata positivamente con la gravità del DOC prima della terapia e ciò indica che un livello maggiore di paura delle sensazioni corporee è associato all’aumento della gravità del DOC. Lo studio ha confermato, inoltre, che maggiori livelli basali di AS, prospettivamente, predicono la gravità dei sintomi anche dopo la terapia.
Un importante passo è considerare il meccanismo attraverso il quale AS ostacola gli effetti della terapia sul DOC: si può ipotizzare che un AS elevata possa amplificare le difficoltà di esposizione; in particolare, le esposizioni che generano attivazione fisiologica possono essere vissute come più impegnative o angoscianti non solo a causa della paura degli stimoli (ad esempio, “Toccare il gabinetto mi farà star male”), ma anche a causa della minaccia associata all’attivazione fisiologica (es. “Se il mio cuore batte forte, avrò un infarto”). Sembra quindi che i pazienti ossessivi con alta Anxiety Sensitivity si debbano confrontare simultaneamente con due stimoli di paura condizionati durante le esposizioni, che potrebbero comprensibilmente portare a una più complicata aderenza al trattamento.
La terapia dovrebbe dunque implicare l’uso simultaneo di esposizioni “enterocettive” e di esposizioni in vivo : per esempio, una paziente che interpreta le sue mani tremanti come un’indicazione che è altamente probabile che agisca i suoi pensieri ossessivi indesiderati di pugnalare una persona cara, potrebbe condurre esercizi di esposizione enterocettiva “su misura” (es., tenendo una posizione di pressione per indurre il tremore) immediatamente prima di tenere un coltello, mentre è vicino alla persona cara (esposizione in vivo).
Per quanto riguarda le implicazioni cliniche, può dunque essere vantaggioso avvalersi anche di tecniche di esposizione enterocettiva, per modificare l’interpretazione erronea di sintomi fisici, inducendo deliberatamente sensazioni corporee temute, ma senza impegnarsi in strategie di riduzione dell’attivazione fisiologica, allo scopo di estinguere la paura delle sensazioni legate all’arousal: questo potrebbe aumentare la compliancenelle tecniche terapeutiche di esposizione che si utilizzano per il DOC e la buona riuscita della terapia.
Per approfodimenti:
Blakey, S. M., Abramowitz, J. S., Reuman, L., Leonard, R. C., & Riemann, B. C. (2017).  Anxiety sensitivity as a predictor of outcome in the treatment of obsessive-compulsive disorder. Journal of behavior therapy and experimental psychiatry, 57, 113-117.
Calamari, J. E., Rector, N. A., Woodard, J. L., Cohen, R. J., & Chik, H. M. (2008). Anxiety sensitivity and obsessive—compulsive disorder. Assessment,15(3), 351-363.
​Gragnani, A., Cosentino, T., Bove, A., & Mancini, F. (2011). Trattamento breve con l’uso dell’esposizione enterocettiva in un caso di disturbo di panico con agorafobia. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale,17 (2), 235-250.

Effetti di esperienze negative precoci

di Miriam Miraldi

Schemi maladattivi nel Disturbo Ossessivo Compulsivo

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è una condizione clinica caratterizzata da pensieri o impulsi indesiderati, che definiamo “ossessioni”, e dai tentativi di ridurre o neutralizzare l’ansia attraverso compulsioni – mentali o comportamentali – di tipo ritualistico. Le linee guida indicano come interventi elettivi la terapia comportamentale, con l’uso di tecniche di esposizione quali l’ERP (Exposure and response prevention), e la terapia farmacologica (principalmente inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, SSRI). Tuttavia, il 50% dei pazienti non risponde in modo soddisfacente a queste forme di trattamento e inoltre, persone con DOC che presentano in comorbidità disturbi di personalità o gravi difficoltà interpersonali ricevono meno benefici dalla tradizionale terapia cognitivo-comportamentale (CBT); questo sembrerebbe dipendere anche dalle difficoltà che tali pazienti manifestano nell’accedere alle loro stesse emozioni.

La Schema Therapy (ST) ideata dallo psicoterapeuta Jeffrey Young è un approccio di terza generazione, integrato, che armonizza le strategie della CBT con modelli legati alla teoria dell’attaccamento, l’analisi transazionale, la gestalt e la psicoanalisi delle relazioni oggettuali. Young identifica 18 Schemi Maladattivi Precoci, ovvero temi generali e pervasivi relativi al sé e all’altro, costituiti da ricordi, emozioni, sensazioni corporee e pensieri, e che si strutturano a partire dal temperamento di base, dalle esperienze frustranti e da bisogni non soddisfatti dai caregiver nell’età dello sviluppo. A partire dagli schemi maladattivi, si sviluppano anche i mode, definiti come stati emotivi intensi che si verificano quando gli schemi vengono attivati e includono le strategie di coping adottate. Per gestire il disagio derivante dall’attivazione degli schemi, gli individui sviluppano stili di coping specifici che rappresentano “strategie di sopravvivenza” e che includono, ad esempio, la “resa” (sottomissione a relazioni di abuso o trascuratezza), l’evitamento (dissociazione, evitamento comportamentale, uso di sostanze o altre strategie per evitare il contatto con bisogni emotivi) e l’ipercompensazione (es. il tentativo di controllare gli altri o le situazioni, oppure la ricerca di approvazione).

La ST nasce come trattamento per difficoltà relazionali, ma ha mostrato efficacia anche su Disturbi di Asse I. Specifici schemi e mode sono stati proposti per diversi disturbi e Ellen Gross ha presentato una formulazione per il DOC secondo l’approccio ST. A tal proposito, Katia Tenore e colleghi hanno indagato il ruolo degli schemi, dei mode e degli stili di coping in 51 soggetti non clinici che presentavano alti sintomi di DOC e li hanno confrontati con un gruppo di controllo di soggetti senza questa sintomatologia. Nel gruppo che presentava precise peculiarità per le caratteristiche del DOC, sono stati identificati Schemi Maladattivi prevalenti quali “sfiducia/abuso”, “vulnerabilità al pericolo” e “standard severi/ipercriticismo”, che hanno conseguentemente attivato in misura maggiore specifici mode, in particolare “genitore esigente” e “bambino vulnerabile” (che prova emozioni negative come tristezza, solitudine, colpa, vergogna), e stili di coping disfunzionali, come l’evitamento.

Lo schema “sfiducia/abuso” si riferisce al fatto che il soggetto viva con l’aspettativa che gli altri intenzionalmente lo possano ferire, umiliare, manipolare o approfittarne. Le persone con questo schema verosimilmente hanno subito forme di abuso, sono state trattate in modo ingiusto oppure hanno ricevuto sistematicamente severe punizioni da parte dei loro caregivers; infatti, diversi studi riportano che molti pazienti con DOC presentano esperienze traumatiche durante l’infanzia. Il clima familiare descritto dai pazienti ossessivi risulta molto centrato sulla moralità e sul rispetto rigido di norme; inoltre spesso queste persone ricordano le reazioni genitoriali come distanzianti e caratterizzate da espressioni facciali di diniego, come “mettere su il muso”. Il mode “bambino vulnerabile” può sorgere in risposta a un messaggio punitivo o critico dettato dall’aver commesso errori o dal non aver raggiunto determinati standard elevati. In queste persone, anche la paura di essere rimproverati, criticati o umiliati quando si commette un errore può dunque spiegare la presenza dello schema di sfiducia/abuso nel DOC.

Lo schema “standard severi/ipercriticismo” si basa sulla convinzione di dover puntare al massimo e di dover evitare critiche. È caratterizzato da un senso di pressione verso se stessi e si attiva con il mode “genitore esigente”, che spinge verso obiettivi irrealisticamente alti, portando a comportamenti ipercontrollanti e perfezionistici, al fine di evitare errori e prevenire un senso generale di insuccesso; queste modalità possono spiegare i comportamenti compulsivi dei pazienti, come il controllo, i lavaggi e la ruminazione.

L’altro schema che si è mostrato attivo nel gruppo di partecipanti che mostravano sintomi ossessivo-compulsivi è la “vulnerabilità al pericolo”, intesa come suscettibilità sia a fattori interni (es. i propri pensieri) che esterni (es. un timore di contaminazione), in riferimento al timore esagerato connesso alla credenza di una catastrofe imminente.

L’identificazione di specifiche caratteristiche di personalità nel DOC può avere importanti implicazioni cliniche. La presenza dello schema di sfiducia/abuso, ad esempio, potrebbe avere un ruolo ostativo nella costruzione di un’alleanza terapeutica sicura, mentre lo schema degli standard elevati potrebbe portare i pazienti a lottare per obiettivi non realistici o perfezionistici, anche all’interno della terapia stessa. Inoltre, affrontare il tema delle modalità genitoriali esigenti e punitive costituisce un importante lavoro sulla vulnerabilità storica e rappresenta un ulteriore aspetto rilevante nel trattamento del DOC, poiché queste sembrano essere fortemente associate ai comportamenti compulsivi, che rappresentano il modo disfunzionale di far fronte a tali regole genitoriali introiettate. In sintesi, la Schema Therapy sostiene come esperienze negative precoci nella storia di vita di una persona possano divenire sensibilizzanti rispetto a specifici contenuti cognitivi ed emotivi tipici di alcuni disturbi, come ad esempio il disturbo ossessivo-compulsivo. 


Per approfondimenti

Tenore, K., Mancini, F., & Basile, B. (2018). Schemas, modes and coping strategies in obsessive-compulsive like symptoms. Clinical Neuropsychiatry15(6).

Gross, E., Stelzer, N., & Jacob, G. (2012). Treating OCD with the schema mode model. In The Wiley-Blackwell Handbook of Schema Therapy (pp. 173-184). John Wiley & Sons, Ltd., Oxford.

Clinica della mente ossessiva

di Valentina Silvestre e Cecilia Laglia

Primo weekend del ciclo di workshop dedicato al disturbo ossessivo compulsivo

A gennaio scorso si è svolto, presso la sede della Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Verona, il primo weekend del ciclo di workshop “Clinica della Mente Ossessiva”.
La prima giornata è stata aperta dal neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta cognitivista e direttore delle Scuole di Psicoterapia Cognitiva dell’Associazione di Psicologia Cognitiva APC Francesco Mancini, che ha evidenziato l’obiettivo del corso di creare una rete di psicoterapeuti che si occupino di disturbo ossessivo-compulsivo e condividano non solo una rappresentazione del funzionamento del paziente ossessivo ma anche le modalità di intervento. Mancini ha spiegato come rendere uniforme un intervento sia estremamente vantaggioso in termini di efficacia del trattamento: condividere un modello di riferimento e il razionale dell’intervento consente un confronto tra professionisti e una migliore comprensione e risoluzione soprattutto in caso di difficoltà, incongruenze o inefficienze.
Secondo il neuropsichiatra, l’approccio cognitivista ha dato un enorme contributo allo studio del disturbo ossessivo-compulsivo, tuttavia “è fondamentale non subordinare il disturbo alla tecnica”. Mancini ha infine delineato e schematizzato il modello di funzionamento e la formulazione di una concettualizzazione razionale del profilo interno del DOC.
Olga Ines Luppino, insieme con Katia Tenore, ha parlato dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta (E/RP), un intervento di efficacia empirica che prevede una prima fase di esposizione allo stimolo elicitante il timore ossessivo per un tempo maggiore a quello normalmente tollerato e la successiva rinuncia alla messa in atto di comportamenti di ricerca di sicurezza. L’E/RP è un intervento evidence based e richiede una preparazione del paziente: l’esposizione perdura fino alla scomparsa del disagio e può essere applicata solo in fase avanzata del percorso di trattamento. La giornata è stata caratterizzata da un’impostazione nettamente pratica: i partecipanti sono stati suddivisi in piccoli gruppi per consentire esercitazioni sulla formulazione del caso clinico, la ricostruzione dello schema del disturbo e l’esposizione graduata.
Nella seconda giornata, Stefania Fadda ha esposto e approfondito le varie tecniche di intervento che si possono utilizzare nella pratica clinica, per ridurre il senso di responsabilità e accettare il rischio del paziente con DOC. La fase di ristrutturazione cognitiva ha l’obiettivo di ridurre le assunzioni di minaccia di colpa o di contaminazione del paziente ossessivo. È stato dedicato ampio spazio alle esercitazioni in piccoli gruppi: il vantaggio è stato quello di toccare con mano le difficoltà che si possono incontrare nel lavoro con questa tipologia di pazienti.
A chiusura di questo primo weekend, Angelo Maria Saliani ha presentato l’intervento con i familiari, descrivendo i processi interpersonali che coinvolgono non solo le persone che vivono a stretto contatto con il paziente DOC ma anche gli interlocutori abituali. Le possibili reazioni alla sintomatologia ossessivo-compulsiva si inseriscono su un continuum i cui estremi sono accommodation e antagonismo, entrambi fattori di mantenimento del DOC. Tuttavia non risultano essere le uniche modalità di interazione disfunzionale: Saliani ha descritto sette trappole interpersonali osservate nell’esperienza clinica, che comportano un fallimento sistematico dei tentativi di aiuto. Più efficaci risultano gli interventi di psicoeducazione e auto-osservazione delle trappole: la conoscenza del disturbo e il monitoraggio dei propri comportamenti consente di trasformare i dialoghi da viziosi in virtuosi. Esercitazioni, simulate e role playing sono stati un’ottima occasione di riflessione e confronto nonché di applicazione di quanto appreso durante l’ultima giornata.

Appuntamento a marzo per il secondo weekend!

Per approfondimenti:

Francesco Mancini, La mente ossessiva: curare il disturbo ossessivo compulsivo, 2016, Raffaello Cortina Editore

Esporsi alle paure per superarle

di Francesco Mariano Arbore

Exposure and Response Prevention nel trattamento del Disturbo Ossessivo Compulsivo

 L’esposizione con prevenzione della risposta (ERP) rappresenta una delle possibili tecniche nell’ambito della terapia cognitivo comportamentale (CBT), che si è dimostrata particolarmente efficace nel trattamento del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). L’esposizione nell’ERP si riferisce all’esporre se stessi a pensieri, immagini, oggetti o situazioni che rendono l’individuo ansioso o che producono le ossessioni. Mentre la prevenzione della risposta nell’ERP si riferisce a fare la scelta di non mettere in atto il comportamento compulsivo una volta che l’ansia o le ossessioni sono state “innescate”. Tutto ciò è svolto all’inizio sotto la supervisione di uno psicoterapeuta, anche se alla fine il paziente imparerà autonomamente a svolgere gli esercizi ERP per la gestione dei sintomi. Detto ciò, la strategia di esposizione volontaria a ciò che rende ansioso il paziente, potrebbe non sembrargli del tutto appropriata. Probabilmente diversi pazienti con DOC hanno provato molte volte ad affrontare le loro ossessioni soltanto per constatare come l’ansia aumenti vertiginosamente. Attraverso l’ERP, la differenza è che quando il paziente compie la scelta di fronteggiare la sua ansia e le sue ossessioni, deve inoltre assumere l’impegno di non piegarsi alla tentazione di innescare il comportamento compulsivo. Quando il paziente non mette in atto comportamenti compulsivi, col tempo avvertirà effettivamente una riduzione nel suo livello d’ansia. Questa naturale diminuzione nell’ansia che avviene quando il paziente è “esposto” e “previene” la “risposta” compulsiva, viene chiamata “abituazione”.
Potremmo considerare l’ansia come un sistema d’allarme. Che significato ha l’attivazione dell’allarme? L’allarme si attiva per richiamare l’attenzione. Se un intruso sta cercando di irrompere in casa di una persona, l’allarme si attiva, svegliando quella persona e predisponendola ad agire, a fare qualcosa come proteggere se stesso e la sua famiglia. Ma cosa succederebbe invece se il sistema d’allarme scattasse allorché un uccello si poggiasse sul tetto della casa di quella persona? Quest’ultima risponderebbe all’allarme allo stesso modo in cui risponderebbe se ci fosse stata una reale minaccia come la presenza di un intruso. Il disturbo ossessivo compulsivo prende il controllo del sistema d’allarme di un individuo, un sistema che dovrebbe essere presente per proteggere quell’individuo. Ma invece di avvertirgli di un pericolo reale, quel sistema d’allarme comincia a rispondere a qualsiasi innesco (“trigger”): non importa quanto sia lieve, viene vissuto come se fosse una minaccia assoluta, terrificante e catastrofica. Quando l’ansia di un individuo “scatta” come un sistema d’allarme, ciò veicola l’informazione che quell’individuo è in pericolo, piuttosto che comunicargli: “Presta attenzione poiché potresti essere in pericolo”. Sfortunatamente, attraverso il DOC, il cervello suggerisce a una persona che è in serio pericolo anche in situazioni dove quella persona è consapevole del fatto che c’è una piccola probabilità che qualcosa di infausto possa accadergli. Questa è una delle più crudeli parti del disturbo.
Ora consideriamo che i comportamenti compulsivi siano dei tentativi di una persona di mantenersi al sicuro quando l’allarme si attiva. Ma cosa sta dicendo quella persona al suo cervello quando innesta questi comportamenti? Sta rinforzando l’idea del cervello che lui/lei sia veramente in pericolo. Un uccello sul tetto viene considerato uno stimolo attivante alla stregua di un intruso che sta cercando di irrompere in casa. In altre parole, il comportamento compulsivo di quella persona sta alimentando quella parte del cervello che emette una serie di segnali d’allarme ingiustificati. Il nocciolo della questione è che, al fine di ridurre l’ansia e le ossessioni, l’individuo deve prendere la decisione di stoppare i comportamenti compulsivi. Tuttavia, intraprendere una terapia ERP può essere una decisione difficile da fare. È come se il paziente stia scegliendo di mettersi in pericolo. È importante sapere che l’ERP cambia il DOC e il profilo cerebrale. Il paziente comincia a sfidare il sistema d’allarme (l’ansia esperita) e a porlo più in linea a ciò che gli sta realmente accadendo. Le tradizionali talk therapy fondate sul colloquio (o psicoterapie) tentano di migliorare una condizione psicologica aiutando il paziente a ricavare l’insight all’interno dei suoi problemi. Una talk therapy può rappresentare un trattamento molto prezioso per diversi disturbi, ma non si è dimostrato che sia efficace nel trattamento dei sintomi attivi del DOC. Sebbene la talk therapy possa essere di beneficio in diverse fasi del processo di recupero del paziente con DOC, è importante innanzitutto provare un protocollo ERP o un approccio farmacologico, dal momento che in letteratura e sotto il profilo clinico risultano essere i rimedi più efficaci per il trattamento del DOC.
Per approfondimenti:

Dorz S, Novara C, Sanavio E. Il chiodo fisso. Come comprendere e sopravvivere alle ossessioni. Angeli Editore (1999).

Foa E, Wilson R. Stop Obsessing! How to Overcome Your Obsession and Compulsion. Bantam Books (1991).

Marks IM. Ansia e paure. Comprenderle, affrontarle e dominarle. McGraw-Hill (2002).

Rapoport JL. Il ragazzo che si lavava in continuazione ed altri disturbi ossessivi. Bollati Boringhieri Editore (1994).

Schwarz JM. Il cervello bloccato. Come liberarsi del disturbo ossessivo-compulsivo. Longanesi (1997).

Steketee G, White K. When Once Is Enough: Help for Obsessive Compulsives. Oakland, CA: New Harbinger (1990).