Pubblicate le nuove linee guida per la diagnosi ed il trattamento dell’ADHD

di Carlo Buonanno

Sul numero di Ottobre di Pediatrics sono state pubblicate a cura dell’American Academy of Pediatrics le nuove linee guida per la diagnosi ed il trattamento dell’ADHD (clicca qui per scaricare l’articolo). La principale novità riguarda l’estensione dei criteri diagnostici a bambini più piccoli, con un gruppo che includerà soggetti in età compresa tra i 4 ed i 18 anni.

Oltre ai richiami alle terapie combinate (metlfenidato e terapia comportamentale), le nuove linee guida si caratterizzano per certificare la cronicità della sindrome, elemento che nel corso degli anni aveva già trovato riscontro clinico ed epidemiologico.

Tra le raccomandazioni da seguire, la valutazione di condizioni in comorbilità (DOP, DC, ansia e depressione); l’utilizzo di report e l’acquisizione di informazioni attraverso il contributo di insegnanti, genitori, clinici ed operatori della salute mentale che si occupano del bambino; il richiamo esplicito ad interventi comportamentali nei quali coinvolgere sia il bambino, sia i genitori, sia gli insegnanti.

E’ evidente che, in qualche modo, l’inclusione di bambini più piccoli avvalora la necessità di un intervento di prevenzione che miri ad interrompere precocemente la spirale descritta in letteratura che, in molti casi, conduce progressivamente allo sviluppo di DOP, DC e, in età successive, di personalità antisociale.

Per bambini in età prescolare (4-5 anni), l’intervento comportamentale da somministrare nel corso di programmi di parent training è rivolto esclusivamente ai genitori (Head Start and Children and Adults with Attention Deficit Hyperactivity Disorder CHADD www.chadd.org). Intervento che in questa fascia d’età risulta essere di prima scelta.

Il richiamo all’uso della fase di gestione delle contingenze di rinforzo si fà più esplicito in riferimento al gruppo di adolescenti (14 anni). Anche in questo caso, le procedure implicherebbero il coinvolgimento diretto dei genitori in programmi di parent training, chiamati ad intervenire per modificare le circostanze ambientali che favoriscono il mantenimento del disturbo. In particolare, si tratterà di istruire i genitori all’uso e alla manipolazioni di rinforzi (premiare le condotte adeguate, ignorare le condotte mediamente negative), con l’obiettivo di alimentare progressivamente le aspettative di successo nella realizzazione di diversi compiti.

Infine, resta da chiarire nel dettaglio la natura degli interventi comportamentali, tenendo conto come nemmeno nel caso degli adolescenti sia previsto un richiamo a procedure che favoriscano l’automonitoraggio, che alimentino la motivazione al trattamento o che considerino gli stati mentali attivi nella mente dei pazienti. Se non altro, la cronicità come esito più probabile suggerirebbe la necessità di considerare le conseguenze che sul piano relazionale l’adhd produce, conseguenze che meriterebbero di essere affrontate con programmi di social competence training che abbiano al centro la consapevolezza dei propri stati mentali. Dunque, non insegnare sic et sempliciter come ci si comporta, ma perché sarebbe utile farlo.

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