Assessment e Cognitivismo

di Anna Chiara Franquillo (SPC sede di Grosseto)

Il ruolo degli scopi e degli antiscopi nella concettualizzazione del paziente.

Più è accurata la mappa, più è sicuro il viaggio: assessment e trattamento dei disturbi di personalità è il nome del simposio che, al XXI Congresso Nazionale SITCC di Bari, ha ospitato un lavoro molto interessante, oltre che innovativo, sul ruolo degli scopi e degli antiscopi all’interno della prospettiva cognitivista. Perché è centrale comprendere la concezione scopo/antiscopo all’interno della psicopatologia? Giuseppe Femia, insieme ad un nutrito gruppo di ricerca composto dai colleghi Isabella Federico, Andrea Gragnani, Francesca D’Olimpio, Guyonne Rogier, Roberto Lorenzini e Francesco Mancini, ha risposto ad un interrogativo così importante e cruciale attraverso un complesso studio, che si è posto l’obiettivo di sottolineare quanto l’iperinvestimento sugli scopi e gli antiscopi, oltre che la rigidità, la pervasività e persistenza degli stessi, possano costituire un nucleo centrale di sofferenza soprattutto in relazione a manifestazioni psicopatologiche come i disturbi di personalità.
Ma… andando per gradi… che definizione potremmo dare alla concezione di goal e antigoal?
Potremmo parlare di entrambi differenziandoli in stato desiderato e stato temuto, come qualcosa, cioè, da raggiungere e da evitare ad ogni costo, all’interno di una rappresentazione individuale in cui questi si strutturano nel tempo e costruiscono il modo in cui la persona si muove nel mondo. Sulla base di ciò, l’obiettivo dello studio era proprio quello di osservare se fosse maggiore l’iperinvestimento degli scopi/antiscopi in un campione clinico rispetto al gruppo di controllo e a quello di psicoterapeuti in formazione, e se l’iperinvestimento si associasse a maggiore disagio e sofferenza. È stato costruito, pertanto, uno strumento ad hoc chiamato Strumento Scopi- Antiscopi (S-AS) in grado proprio di cogliere sia attraverso domande qualitative, che quantitative, oltre che con l’utilizzo di una checklist di emozioni, l’architettura scopistica dell’individuo. Questo strumento vanta la sua costruzione sulla base di una grande pratica clinica, oltre che su un confronto attivo con i colleghi in grado di fornire stimoli e spunti di riflessioni secondo la prospettiva cognitivista. Quello che emerge è che il gruppo clinico, rispetto al gruppo di controllo e quello degli psicoterapeuti in formazione, ottiene punteggi più alti rispetto alla scala del prestigio interpersonale, a quella dell’instabilità psicologica e quella dell’esclusione sociale, del perfezionismo, dell’autosacrificio dell’identità e, infine, della fiducia. Queste considerazioni statistiche supportano la concezione iniziale teorica che fonda le basi dello studio e fornisce delle prime osservazioni sull’importanza di tale strumento all’interno dell’assessment cognitivista. L’utilizzo di tale strumento si rivela fondamentale poiché, se l’assessment è ben fatto e riesce a cogliere le specifiche dell’individuo attraverso la formulazione degli scopi e antiscopi che lo muovono nel rapporto con sé e con il mondo esterno, allora anche la strutturazione del trattamento può diventare mirata e ben focalizzata sulla persona, sui suoi personali significati e rappresentazioni. Un buon trattamento non può esistere se prima non si è fatto un buon assessment. Per questo, ampliare la prospettiva cognitivista di uno strumento come il S-AS può diventare un plus valore sia per i pazienti che per i terapeuti stessi, i quali si troveranno ad accedere in maniera più agevolata al paziente e ai suoi contenuti più profondi, costruendo di conseguenza interventi sia mirati che accurati.

Foto di Ishaan Aggarwal: https://www.pexels.com/it-it/foto/cartina-geografica-bussola-tiro-verticale-mappa-8231152/

Più è accurata la mappa, più è sicuro il viaggio

di Augusta Luana, Bartolo Emmanuela, De Santis Giuseppe, Lavilla Federica (centro clinico Ecopoiesis Reggio Calabria)

Assessment e disturbi di personalità

Il XXI Congresso Nazionale SITCC è stato il teatro, nella sede mediterranea di Bari, di un simposio sull’assessment, con chair il Dott. Andrea Gragnani e la Dott.ssa Donatella Fiore nel ruolo di discussant, ricco di interventi che hanno sintetizzato al meglio gli obiettivi di ricerca e di impegno sociale propri della psicoterapia cognitiva: più è accurata la mappa, più è sicuro il viaggio: assessment e trattamento dei disturbi di personalità.

Già il titolo introduce l’importanza di considerare la valutazione iniziale con il paziente come una guida imprescindibile per il clinico, finalizzata a una migliore gestione dell’intervento terapeutico e orientata a scegliere il miglior trattamento possibile. Per procedura di assessment intendiamo infatti l’operazione di valutazione che ha inizio al momento del primo contatto con il soggetto, e che prosegue durante tutta la durata della terapia (Bara, 2006).

Nella prima relazione, dal titolo “Assessment terapeutico” e drop-out nei pazienti complessi, il Dott. Gaetano Mangiola (Centro Clinico Ecopoiesis, Reggio Calabria) ha indagato l’efficacia di anteporre al trattamento dei pazienti con disturbi di personalità una fase iniziale di assessment standardizzato, in linea con il Therapeutic Model of Assessment TMA (Finn, 1998).

La procedura di assessment dell’Associazione Ecopoiesis prevede un primo colloquio clinico semi-strutturato per analizzare il motivo della visita; due incontri dedicati all’intervista SCID-5-PD, alla somministrazione di una batteria di test (MMPI-2, PID-5, LPFS, SCL-90, TAS-20, ASQ e IIP-47) e all’approfondimento di un questionario anamnestico; un ultimo incontro di restituzione al paziente del suo funzionamento in ottica cognitiva e di una proposta terapeutica.

Ciò che in genere si osserva è che, al termine dell’incontro di restituzione, nel paziente avviene un processo di insight rispetto al proprio funzionamento, con un aumento della fiducia e della motivazione al trattamento che migliorano l’alleanza terapeutica (Sartori, 2010) e favoriscono di conseguenza un outcome migliore.

Partendo da questa ipotesi, il lavoro si è proposto di confrontare i dati relativi al drop-out del campione di 484 soggetti con disturbi di personalità a disposizione del Centro Clinico con quelli presenti in letteratura, ipotizzando che il modo in cui la procedura di assessment è strutturata riduca la percentuale di drop-out dei pazienti complessi.

Effettivamente, i risultati della ricerca hanno mostrato come l’assessment sembri avere un effetto positivo in termini di riduzione del drop-out dei pazienti con disturbi di personalità, in particolare del cluster B, soprattutto con diagnosi di tipo narcisistico e borderline. Inoltre, i pazienti che effettuano una procedura standardizzata di assessment comprensiva di un incontro di restituzione hanno un outcome migliore rispetto ai dati presenti in letteratura, e presentano anche un tasso di drop-out significativamente più basso rispetto ai pazienti che non effettuano una procedura standard di valutazione.

A seguire il Dott. Giuseppe Femia, con l’iper-investimento su scopi e la psicopatologia: quale relazione?, ha presentato lo strumento Scopi-Antiscopi (S-AS, Femia et al., 2021), ancora in fase di validazione, che sembrerebbe essere in grado di indagare scopi e antiscopi dei pazienti.
Dal punto di vista clinico, l’utilizzo dello strumento potrebbe cogliere l’architettura scopistica, agevolando così il lavoro di assessment e offrendo un supporto per lo sviluppo dell’alleanza terapeutica, oltre che per una progettazione mirata dell’intervento.

Cornice teorica alla base dello studio è che la mente degli esseri umani non si limita a credere e sapere, ma crea anche rappresentazioni di ciò che vuole – gli scenari desiderati o scopi – e ciò che non vuole – gli scenari temuti o antiscopi (Saliani et al., 2020). Dunque, la psicopatologia e, più specificamente, i disturbi di personalità, oltre che da caratteristiche di rigidità degli investimenti, pervasività e persistenza che portano allo svilupparsi di un piano esistenziale povero che genera sofferenza e resistenza al cambiamento, sembrano essere propriamente caratterizzati anche da un iperinvestimento in termini di scopi e antiscopi.

Lo studio condotto ha quindi voluto esplorare la struttura fattoriale dello strumento S-AS e la relazione che intercorre tra i diversi fattori del S-AS e i domini della personalità. A tal fine ad un campione di 572 soggetti, suddivisi in tre gruppi: popolazione generale, gruppo clinico e psicoterapeuti in formazione, resi omogenei per età e per genere, è stato somministrato lo strumento S-AS, questionario composto da un elenco di 20 scopi e 20 antiscopi. Inoltre, ipotizzando che il gruppo clinico avesse risultati più elevati rispetto agli altri due gruppi, si è voluto valutare se ci fossero differenze tra i tre gruppi in termini di iperinvestimento (su scopi e antiscopi) e se un maggior iperinvestimento fosse associato ad un aumento dei punteggi in termini di sofferenza e disagio percepiti. Per tale obiettivo, ad un sotto-campione di 327 soggetti è stato chiesto di compilare ulteriormente il PID-5 e la SCL-90-R.

Le analisi fattoriali hanno mostrato una struttura del S-AS a 8 fattori: Prestigio interpersonale, Instabilità psicologica, Esclusione sociale, Perfezionismo, Difettosità, Autosacrificio, Identità e Fiducia. Tali fattori saranno quindi oggetto di approfondimento nelle ricerche future.

I dati ottenuti si sono rivelati efficaci nel supportare il clinico in maniera rapida e al contempo accurata nel processo di assessment e di successiva pianificazione del trattamento, «mappando» quelli che sono i temi di vita e, nello specifico, gli scopi e gli antiscopi iperinvestiti nei pazienti.  Le analisi correlazionali, invece, tra i punteggi del S-AS e dei domini del PID-5 e tra i punteggi del S-AS e della SCL-90-R sembrerebbero confermare le ipotesi iniziali. I risultati ottenuti, ad eccezione del quinto fattore, suggerirebbero, dunque, una relazione tra tratti e domini di personalità maladattivi e iperinvestimento in termini di scopi e antiscopi. Inoltre, sembrerebbe che all’aumentare dell’iperinvestimento in termini di scopi e antiscopi aumenterebbe anche la sofferenza sintomatologica e l’indice di distress generale (Global Severity Index), confermando, di fatto, la relazione tra iperinvestimento e psicopatologia.

Nella terza relazione, dal titolo MMPI-2 e PID-5 a confronto: scale cliniche e funzionamento della personalità mediante un caso clinico, il Dott. Emanuele Del Castello si è proposto l’obiettivo di dimostrare la capacità dell’MMPI-2 di delineare il profilo di funzionamento della personalità tramite l’utilizzo di una lettura sia di tipo clinico-categoriale che di tipo dimensionale.

Esaminando l’MMPI-2 è possibile riscontrare due livelli: il livello statistico attuariale (Scale Cliniche e alcune Scale Supplementari) e il livello di contenuto (Scale di Contenuto, Sottoscale Cliniche e Item Critici). Entrambi i livelli permettono di costruire una rappresentazione complessa e articolata del funzionamento della personalità, essenziale ai fini diagnostici e clinici. Per favorire l’integrazione tra questi due livelli è possibile applicare una tecnica di aggregazione dei dati che viene definita Psicodiagnosi Strutturale (Del Castello, 2015): una metodologia che permette al clinico di far convergere i dati provenienti dai vari strumenti di indagine, clinici e testologici, nelle varie aree del funzionamento mentale del paziente, contribuendo, in tal modo, a costruire un quadro ordinato e pertinente degli aspetti problematici e anche dei punti di forza del paziente in oggetto.

Mediante l’analisi di caso clinico, è stato possibile osservare come, mettendo a confronto i domini emersi nel PID-5 e le Scale PSY-5 dell’MMPI-2, ci sia un pieno grado di accordo e una piena corrispondenza tra le dimensioni del DSM-5 presenti nel PID-5 (Antagonism, Psychoticism, Disinhibition, Negative affectivity e Detachment) con il modello PSY-5 dell’MMPI-2 (Aggressiveness, Psychoticism, Disconstraint, Negative emotionality neuroticism, Introversion/low positive emotion). In tal modo è stato possibile dimostrare come l’MMPI-2 sia perfettamente in grado di valutare clinicamente il funzionamento della personalità secondo i criteri dimensionali previsti dal DSM-5-TR (APA, 2023) e dal modello alternativo sui Disturbi della Personalità (Sezione II del DSM-5-TR).

Nell’ultimo contributo del simposio, dal titolo Il ruolo della noia come emozione cruciale nel funzionamento di alcune dimensioni personologiche, la Dott.ssa Anna Chiara Franquillo ha approfondito la relazione tra la noia e alcuni tratti di personalità, indagando le ricadute di tale associazione sul distress psicologico.

Sulla base dei dati presenti in letteratura sembra infatti che la noia, descritta come uno stato affettivo specifico caratterizzato da diverse componenti tra cui basso arousal, mancanza di attenzione, valenza negativa, una percezione amplificata del tempo e una sensazione di mancanza di scopo esistenziale, correli positivamente con il tratto di personalità del nevroticismo, caratterizzato da ansia, preoccupazione, instabilità emotiva e generale insicurezza (Mercer-Lynn, 2013; Tam et al., 2021) e sia presente in soggetti affetti da Disturbo Borderline di Personalità (DBP) (Masland et al., 2020) e da Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP) (Wink and Donahue, 1997).

Sulla base di tali premesse, il lavoro di ricerca si è proposto di approfondire la relazione tra la noia di stato e la psicopatologia generale, ipotizzando che la relazione con la sintomatologia depressiva fosse più forte che con altre condizioni psicopatologiche, e di comprendere la relazione tra la noia e i tratti di personalità, ipotizzando una forte relazione tra questi due costrutti.

Lo studio è stato condotto su un campione di 588 italiani adulti appartenenti ad una popolazione generale, cui sono stati somministrati, tramite una survey online, due strumenti di valutazione: il MSBS per la noia e il PID-5 per la valutazione dei tratti di personalità, in accordo con il modello dimensionale proposto dal DSM-5.

I risultati hanno mostrato un’interessante associazione tra la noia e il distress psicologico, in particolar modo con la depressione, e tra la noia e alcune tendenze personologiche, considerate tratti, come l’affettività negativa e il distacco. In merito a quest’ultimo aspetto, sembra sia proprio la depressione a giocare un ruolo cruciale nel mettere in relazione la noia con tratti di personalità come il nevroticismo e il distacco.

Sulla base di tali osservazioni, seppur riscontrabili all’interno di un campione non clinico, è possibile affermare che la noia sembrerebbe essere un vissuto centrale e trasversale ad alcuni tratti strutturanti la personalità, oltre che a diverse condizioni sintomatologiche che causano sofferenza. Lo studio della noia offre, dunque, interessanti spunti di riflessione clinica sia in termini di assessment che di intervento cognitivo-comportamentale. Esso contribuisce, infatti, ad una più ampia comprensione degli stati mentali problematici e alla costruzione di nuovi modelli di trattamento specifici indirizzati verso la gestione di questa emozione.

Senza alcun dubbio, potrebbe rivelarsi interessante orientare gli sviluppi futuri di tale lavoro verso un’osservazione del costrutto su un campione specificatamente clinico, integrando ulteriori analisi ed eventuali strumenti di valutazione al fine di approfondire la relazione tra le variabili e il loro effetto.

Il simposio preso in esame ha avuto, in conclusione, il merito di confrontare e far comunicare contributi e punti di vista differenti, dimostrando ancora una volta l’importanza di integrare le varie chiavi di lettura volte ad osservare i processi implicati nella valutazione della psicopatologia della personalità, per una sempre più profonda conoscenza e valutazione del funzionamento mentale.

Foto di Amine M’siouri : https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-che-cammina-sul-deserto-2245436/

I crocevia del terapeuta

di Giuseppe Femia

L’importanza dei processi differenziali nelle fasi di Assessment 

Nella pratica clinica diventa sempre più complesso differenziare i diversi quadri psicopatologici e le manifestazioni normali da quelle problematiche. Questo avviene a causa della natura eterogenea dei disturbi, della scarsa specificità di alcune manifestazioni, sempre più transdiagnostiche, e dallo scontro fra unicità del paziente e criteri nosografici monotetici: in poche parole, i criteri di classificazione dei disturbi sono inevitabilmente limitati rispetto alla molteplicità delle manifestazioni della mente umana.

Al fine di condurre un’attenta analisi del funzionamento psicologico, i processi differenziali in termini diagnostici – cioè i procedimenti che tendono a escludere man mano alcuni disturbi per giungere a quello corretto – si mostrano sempre più indispensabili nella comprensione dei diversi disagi psicologici e nella definizione degli interventi psicoterapici più adeguati.

Prendiamo in esame due pazienti. Il primo è strutturalmente portato alla depressione oppure sta demoralizzandosi sulla base di un funzionamento narcisistico o di un problema di ansia fobica che sta limitandone l’autonomia e compromettendo gli scopi esistenziali. Il secondo lamenta distacco, visione offuscata, sensazione di stare in un film, riferisce di sentirsi come in un sogno. In questi casi, il clinico viene chiamato a stabilire se si tratta di un fenomeno di distacco psicotico oppure di uno stato dissociativo e, nello specifico, di depersonalizzazione in relazione a vissuti di panico e agorafobia oppure di una reazione traumatica.

Differenziare le manifestazioni significa comprenderne l’origine: dare un senso ai sintomi, non etichettare in modo sterile i vari disordini ma coglierne il significato.Ecco il motivo per cui il ragionamento clinico in fase di Assessment si costituisce in quanto elemento fondamentale da cui muoversi verso approfondimenti e ipotesi.

Spesso accade che le persone arrivino in consultazione raccontando un problema che li affligge ma, in fondo, quello che loro raccontano come difficoltà principale si scopre essere la risposta a qualcosa di più profondo e nucleare che si svela solo di fronte a difficoltà che in qualche modo minacciano scopi di vita e scompongono equilibri e abitudini.

Pensiamo a un soggetto con una personalità dipendente, da sempre abituato a funzionare assieme a qualcuno che dirige il timone della sua esistenza: questi inizierà a manifestare problemi di ansia e tristezza di fronte alla minaccia che la relazione possa terminare; arriverà in consultazione manifestando attacchi di panico, agorafobia, angoscia e solo man mano riuscirà a tracciare la connessione fra il sintomo, il disagio acuto che lo porta a soffrire e la sua struttura personologica di base.

Altro esempio in cui i processi differenziali risultano fondamentali sia ai fini diagnostici che terapeutici, è la sempre più difficile differenzazione del Disturbo Borderline da quello Bipolare di tipo II. Le manifestazioni di impulsività e ostilità, oltre che l’instabilità affettiva e comportamentale, si sovrappongono e rendono complesso questo tipo di operazione da parte del clinico.

Anche rispetto al disturbo depressivo risulta fondamentale definire la natura del disagio, escludere episodi di attivazione e chiarire la natura unipolare o bipolare del disagio manifesto.

Allo stesso modo, nella valutazione dei processi di tipo ossessivo, alle volte le ossessioni sono talmente bizzarre e spaventevoli per il paziente che sembrano somigliare a veri e propri disordini del pensiero.

Infine, ultimo esempio, può accadere che le credenze di inadeguatezza e gli evitamenti messi in moto allo scopo di evitare le sensazioni temute, si confondano con tratti stabili e pervasivi di tipo evitante. Dunque, fobia sociale o Disturbo Evitante della Personalità?

In conclusione, possiamo assumere come la conoscenza della psicopatologia richieda un continuo approfondimento e un’attitudine clinica pronta ed empatica che, se supportata da esami psicodiagnostici adeguati, promuove la verifica delle ipotesi di funzionamento e inquadramento nosografico. Processi, questi, da ritenere “preliminari” alla messa a punto di un piano di intervento psicoterapeutico adeguato.

Madri ossessionate

di Viviana Balestrini

Così come per altre situazioni cruciali del ciclo vitale, la gravidanza e il periodo postnatale costituiscono eventi che possono incrementare il rischio di sviluppare o peggiorare condizioni di disagio psicologico o psichiatrico. Spesso si rivolge l’attenzione alla depressione post partum e a altre condizioni che ineriscono a alterazioni umorali, meno frequentemente si fa riferimento ai disturbi d’ansia. Leggi tutto “Madri ossessionate”