L’imagery Rescripting di gruppo online

Riduce le credenze disfunzionali legate al sé e il problema secondario ma non incrementa la Self-Compassion positiva

a cura di Alessandra Mancini

L’articolo pubblicato recentemente sulla rivista Current Psychology, edita da Springer mira ad espandere i dati empirici sulla tecnica esperienziale cardine della Schema Therapy, ovvero il rescripting (o Imagery Rescripting; IR). La ricerca ha mostrato come l’IR sia in grado di ridurre l’intensità delle emozioni negative; le difficoltà di regolazione emotiva e le credenze patogene in diversi disturbi mentali. Tuttavia, data la natura complessa di questa tecnica, i meccanismi di cambiamento coinvolti nella sua efficacia sono attualmente oggetto di indagine. L’ipotesi testata nell’articolo in oggetto è che l’IR riduca, oltre che l’intensità delle credenze patogene legate al sé, anche la risposta emotiva negativa alle emozioni primarie (cioè il problema meta-emotivo) e le difficoltà di regolazione emotiva (tra cui la benevolenza verso se stessi) (Mancini e Mancini, 2018).

Con il diffondersi dei trattamenti online e delle app che promuovono la salute mentale, si è riscontrata la necessità di fare luce sull’efficacia di questa tecnica anche quando erogata in un contesto telematico. Nello studio in oggetto, i ricercatori hanno chiesto ad un totale di 45 partecipanti subclinici di valutare quale tra alcune frasi associate a Disturbi di Personalità (DP) e a Schemi patogeni evocasse in ciascuno di loro maggior sofferenza. A partire dalla credenza identificata a ciascun partecipante è stato chiesto di evocare un ricordo di infanzia su cui è poi stato eseguito il rescripting. Da notare che, nella fase di rescripting, a ciascun partecipante veniva chiesto di far entrare il proprio Sé adulto nell’immagine e di produrre un intervento in modo da soddisfare i bisogni emotivi del proprio Sé bambino. Il rescripting è stato ripetuto per tre volte a distanza di una settimana. Al termine della somministrazione ai partecipanti è stato chiesto di valutare nuovamente le credenze patogene, le meta-emozioni, l’autocompassione e le proprie capacità di regolazione emotiva lungo l’arco di tre sessioni di follow-up.

I risultati hanno mostrato una riduzione significativa nelle credenze disfunzionali tipiche di alcuni DP, in particolare quelle associate ai DP dipendente, ossessivo-compulsivo, antisociale e istrionico. Inoltre, è stata riscontrata una riduzione significativa delle misure del problema secondario, in particolare delle credenze disfunzionali sulle emozioni e della valenza negativa associata alle emozioni negative. Infine, è stata osservata una riduzione significativa delle difficoltà di regolazione emotiva. Tuttavia, mentre la Self Compassion negativa è risultata significativamente ridotta dopo le tre sessioni di IR, la Self Compassion positiva è rimasta invariata.

LE TECNICHE DI IMMAGINAZIONE IN PSICOTERAPIA
LE TECNICHE DI IMMAGINAZIONE IN PSICOTERAPIA

Questi risultati suggeriscono alcune considerazioni di interesse clinico. In primo luogo, rafforzano dati precedenti che mostrano che l’IR può modificare le credenze patogene legate ai disturbi di personalità e riduca le emozioni negative associate al ricordo (p.es. la vergogna, Tenore et al., 2022). In secondo luogo, mostrano come essa sia in grado di ridurre il problema meta-emotivo o secondario. Il risultato non è banale dato che il problema meta-emotivo è considerato un fattore di mantenimento importante a livello trans-diagnostico. Infine, suggeriscono che l’IR erogata online sia in grado di ridurre le difficoltà di regolazione emotiva e le scale negative della Self Compassion (i.e. giudizio di sé, isolamento e iperidentificazione). In una review del 2017 Murris e Petrocchi suggeriscono che gli indicatori negativi della Self Compassion siano più fortemente associati alla psicopatologia rispetto a quelli positivi (che rappresentano piuttosto un indice di protezione verso la psicopatologia). Per cui, sembra che questo intervento riduca l’autocritica e l’auto-invalidazione emotiva ma che non aumenti un atteggiamento più benevolo verso se stessi. Una possibile interpretazione di questo dato è che il contesto di gruppo non consentiva al terapeuta di “entrare” nel ricordo e modellare un atteggiamento benevolo verso la parte bambina del paziente e verso le sue emozioni. Questo limite ha forse ostacolato la promozione di una attitudine più benevolente verso se stessi.

Riferimenti bibliografici

Tenore, K.; Granziol, U.; Luppino, O.; Mancini, F. & Mancini, A. (2024). Group imagery imagery rescripting via telehealth decreases dysfunctional personality beliefs and the meta-emotional problem but does not increase positive self-compassion. Current Psychology. 1-12. 10.1007/s12144-024-05815-x.

Tenore, K.; Mancini, A.; Luppino, O. I.; Mancini, F. Group Imagery Rescripting on Childhood Memories Delivered via Telehealth: A Preliminary Study. Front. Psychiatry 2022, 13. https://doi.org/10.3389/fpsyt.2022.862289.

Mancini A, Mancini F. Rescripting Memory, Redefining the Self: A Meta-Emotional Perspective on the Hypothesized Mechanism(s) of Imagery Rescripting. Front Psychol. 2018 Apr 20;9:581. doi: 10.3389/fpsyg.2018.00581. PMID: 29731735; PMCID: PMC5919940.

Workshop sulla Compassion Focused Therapy nel trattamento della rabbia problematica.

di Rosita Maglio

Si è conclusa da poco a Manchester la 4ª edizione della Conferenza Internazionale sulla Terapia Focalizzata sulla Compassione (21-23 ottobre, 2015). Il giorno precedente l’inizio della conferenza c’è stata la possibilità di partecipare ad alcuni workshop formativi, tra i quali quello tenuto dal Prof. Russell Kolts dell’Università della Eastern Washington, centrato sull’applicazione della Compassion Focused Therapy (CFT) nel trattamento della rabbia problematica.

Il Prof. Kolts svolge anche attività clinica in ambito forense, lavorando nelle prigioni, con pazienti che presentano problematiche legate alla rabbia. Il modello da lui proposto si basa sull’approccio sviluppato dal Prof. Paul Gilbert e ruota intorno all’idea di promuovere nel soggetto meccanismi più funzionali di controllo della rabbia, partendo dal presupposto che il soggetto agisce ponendo in essere strategie maladattive che però non sceglie consapevolmente di mettere in atto. Strutturalmente, il workshop ha visto una prima parte introduttiva, dove è stata presentata l’emozione della rabbia nell’ottica della CFT ed il motivo per il quale sarebbe auspicabile utilizzare un approccio compassionevole nel trattamento della rabbia problematica. La seconda parte ha riguardato l’applicazione della CFT nel trattamento della rabbia. Leggi tutto “Workshop sulla Compassion Focused Therapy nel trattamento della rabbia problematica.”

La Terapia Focalizzata sulla Compassione e il problema secondario

di Nicola Petrocchi

Avevo anticipato nello scorso post come il target primario dell’intervento della Terapia Focalizzata sulla Compassione (TFC) sia l’autocritica e la tendenza all’auto-invalidazione in pazienti  caratterizzati da diffuse emozioni di colpa e/o vergogna e che sembrano piuttosto resistenti agli interventi della Terapia Cognitiva standard. Questi pazienti sarebbero capaci di “generare” ipotesi e pensieri alternativi a quelli catastrofici o di auto-svalutazione che solitamente intrattengono ma non riuscirebbero a “lasciarsi convincere” da questi. Li sentono spenti, troppo razionali, logici ma, in qualche modo, non convincenti e non in grado di cambiare “come si sentono nel profondo”. Perché? La TFC spiega questo fenomeno ricorrendo ad alcune ricerche di neurofisiologia che sembrano affermare l’esistenza di 3 tipi di sistemi di regolazione emozionale responsabili dei diversi tipi di emozioni (Depue et al, 2005; Le Doux, 1998; Panksepp, 1998). Leggi tutto “La Terapia Focalizzata sulla Compassione e il problema secondario”

La compassione di sé e la voglia di imparare

di Nicola Petrocchi

Continuo in questo post il discorso (che avevo lasciato un po’ in sospeso, esame di specializzazione alle porte, sorry!) sui vari aspetti della compassione (in questo caso, verso se stessi) e sulla sua possibile utilità in ambito psicologico. Visto il clima d’esame ho trovato interessante un articolo di Kristin Neff (creatrice del costrutto della Self-Compassion che ho descritto nello scorso post) di un po’ di tempo fa (2005… non il post, l’articolo!) che mette in relazione un atteggiamento compassionevole verso sé stessi con alcune variabili cognitive che agitano i sonni e i risvegli all’alba di molti di noi che (ancora!) studiano: gli scopi relativi alle performance accademiche e le strategie di coping rispetto a (ipotetici….) fallimenti accademici. Leggi tutto “La compassione di sé e la voglia di imparare”

Utilità della Self-Compassion e della Compassion-Focused Therapy nella terapia Cognitivo Comportamentale

di Nicola Petrocchi

Ci accorgiamo tutti di quanto sia cresciuto, solo negli ultimi anni, l’interesse verso i benefici della mindfulness, una componente centrale della filosofia e della pratica di meditazione di origine buddista. C’è un altro costrutto essenziale di questa filosofia che sta recentemente attirando l’interesse di clinici e ricercatori e che può, a mio parere, essere uno strumento molto potente in psicoterapia: è la pratica della compassione, in particolare della compassione di sé. La compassione è “una particolare sensibilità alla sofferenza di noi stessi e degli altri, unita al vissuto del desiderio di alleviarla”; rivolgerla a noi stessi vuol dire essere consapevoli e “toccati” dalla nostra stessa sofferenza e sperimentare un desiderio di benessere nei nostri confronti. In sintesi, è la disponibilità a dare a se stessi, soprattutto in momenti di sofferenza, lo stesso tipo di attenzione, cura e gentilezza che saremmo soliti riservare alle persone amate che si trovano in una condizione simile. Nel 2003, Kristin Neff, una psicologa e ricercatrice americana dell’università del Texas, ad Austin, ha introdotto il costrutto della Self-Compassion che descrive questa attitudine come la risultante di tre abilità di base: 1) la capacità di trattarsi con gentilezza, comprensione e perdono (ad esempio con un cambiamento intenzionale del proprio self-talk) piuttosto che con severa auto-critica; 2) la capacità di vedere le proprie esperienze negative e i propri difetti come aspetti condivisi dell’esperienza umana piuttosto che come elementi “anormali”, di separazione ed isolamento dagli altri; 3) la capacità di affrontare e contenere le proprie emozioni e pensieri dolorosi con consapevolezza piuttosto che iper-coinvolgimento ed identificazione (abilità di mindfulness). La Neff ha inoltre costruito uno strumento, la Self-Compassion Scale che è attualmente utilizzato in numerose ricerche internazionali e i dati ci dicono che correla con la maggior parte delle misure di benessere psicologico ben più di quanto possa fare un costrutto apparentemente simile, ma profondamente diverso, che è l’autostima. Di quest’ultima garantirebbe i benefici senza però gli ormai noti “effetti collaterali” tra cui aumento delle tendenze narcisistiche, chiusura cognitiva, tendenza a negare o accusare gli altri per i propri fallimenti ed ad esibire quello che è stato definito il better-than-average effect: il bisogno di sentirsi migliori degli altri come unico modo per sentirsi bene con se stessi.

E’ di Gilbert, un altro noto psicoterapeuta e ricercatore sul tema della compassione, il merito di aver strutturato un intervento per rendere le abilità della compassione utilizzabili in ambito psicoterapeutico. Gilbert (2009)  ha creato uno specifico training, il Compassionate Mind Training, che insegna come incrementare la compassione di sé e ridurre la tendenza all’autocritica, soprattutto in pazienti con una spiccata disposizione all’auto-invalidazione, come la definirebbe la Linehan.

Nel gennaio 2011 ho avuto la fortuna (anche perché era in un’assolata isoletta sperduta delle Canarie!) di partecipare a un corso di una settimana con Paul Gilbert dove ho imparato ad applicare il Compassionate Mind Training in terapia: queste idee hanno cambiato il mio modo di fare terapia e penso che possano dare un grande contributo a tutti noi che siamo alle prese con i problemi secondari (dei pazienti e nostri!). La riflessione su come le pratiche della compassione possano giovare ai pazienti continua: al recente forum di Assisi, ho pensato di dare un piccolo contributo allo sviluppo della ricerca in questo campo con un poster sulla validazione italiana della Self-Compassion Scale. I risultati sono stati interessanti e spero che possano essere d’aiuto a sviluppare nuove idee..

Neff, K. D. (2003).  Development and validation of a scale to measure self-compassion. Self and Identity, 2, 223-250.
Gilbert, P. (2009). The Compassionate Mind. London: Constable-Robinson. Oaklands CA.: New Harbinger