Disturbo mentale o normale reazione?

di Emanuela Pidri

La depressione tra condizione esistenziale e malattia

Il Disturbo Depressivo può essere identificato come alterazione della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni e del comportamento oppure come espressione di una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi. Tale sindrome è connessa alla presenza di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti della vita dell’individuo. Tuttavia può essere considerata come una reazione normale e prevedibile o culturalmente accettata di fronte a un fattore stressante poiché i comportamenti socialmente devianti e i conflitti non sono disturbi mentali se non sono l’espressione di una disfunzione.

In base alla specificità dei criteri diagnostici, esistono vari tipi di disturbo dell’umore: disturbo disforico, disturbo depressivo maggiore, disturbo depressivo persistente (distimia), disturbo bipolare, disturbo ciclotimico, disturbo depressivo con altra specificazione (depressione breve ricorrente, episodio depressivo di breve durata, episodio depressivo con sintomatologia insufficiente). Ogni disturbo è identificabile in relazione alle cause, ai sintomi e ai segni, all’evoluzione e al decorso, alla prognosi. Non solo i disturbi depressivi sono frequenti, ma si associano ad aumentata mortalità (suicidio e altre cause) e ad alta disabilità. La letteratura riporta una frequenza maggiore di comportamenti suicidari in anziani e di comportamenti parasuicidari negli adolescenti. Il 90% dei suicidi è correlato a disturbi psichici e il 16% di chi ha tentato il suicidio lo ripete entro l’anno.

Una tappa prioritaria nell’assessment clinico è, quindi, la rilevazione dei comportamenti suicidari. Viene valutato il livello di pianificazione, il grado di conoscenza della letalità del mezzo usato, i livelli di intenzionalità, l’intervento o non intervento casuale di altre persone, l’assunzione di sostanze psicoattive. L’applicabilità dei fattori di rischio varia in base alla persona e alla sua cultura, tuttavia spesso manca la volontà di parlarne per il timore di essere ricoverati e che il ricovero si prolunghi, di deludere e di non essere creduti oppure che venga minimizzato il problema. L’accuratezza dell’assessment e la specificità della diagnosi permettono di attuare un intervento individualizzato e calibrato alla complessità del quadro clinico in atto. I trattamenti efficaci previsti dalle linee guida per i disturbi dell’umore sono trattamenti farmacologici, psicologici e psicosociali (social skills training, psicoeducazione, lavoro supportato, illness management). Rispetto all’intervento farmacologico, è importante sapere che il dosaggio con il quale si ha la risposta, in funzione del numero di episodi di malattia e/o della loro gravità, è lo stesso con il quale proseguire il trattamento.

La Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) persegue l’obiettivo psicoeducativo di fornire informazioni al paziente e ai familiari riconoscendo precocemente i segnali d’allarme e le credenze disfunzionali. Attraverso sedute strutturate, il paziente potrà lavorare sulla visione negativa di sé (io inadeguato e difettoso), sull’interpretazione negativa delle esperienze (lette come sconfitte, privazioni, denigrazioni) e sulla visione negativa del futuro (previsione omogenea alle esperienze), identificando e ristrutturando i bias cognitivi (deduzione arbitraria, astrazione selettiva, ipergeneralizzazione, minimizzazione/ingigantimento, personalizzazione, pensiero dicotomico). Per migliorare a lungo tempo l’esito della terapia e ridurre la probabilità di ricadute, la CBT prevede che il paziente acquisisca abilità di “problem-solving”, vale a dire capacità di regolazione emotiva e strategie adattive di fronteggiamento degli “stressor” psico-sociali.

Una terapia integrata (terapia farmacologia combinata con psicoterapia), quindi, migliora notevolmente la prognosi e permette all’individuo di sperimentare un senso di potere personale che incide sul miglioramento della propria qualità di vita.

Per approfondimenti

Ankarberg P., Falkenstrom F. (2008), “Treatment of depression with antidepressants is primarily a psychological treatment”. Psychoterapy Theory, Research, Practice, Trainig, Vol. 45, 3, September 2008, p. 329-339 (APA Journals)

Arieti S., Bemporad J. (1978), La depressione grave e lieve. L’orientamento psicoterapeutico. Ed. it., Feltrinelli Editore, Milano, 1981

Beck A. (1970), “The core problem in depression: the cognitive triad”. In: Masserman J. (a cura di), Science and Psychoanalysis, vol. 17, Grune & Stratton, New York. Citato in: Arieti S., Bemporad J. (1978), La depressione grave e lieve. L’orientamento psicoterapeutico. Ed. it., Feltrinelli Editore, Milano, 1981

Beck A. (1976), Cognitive Therapy and the Emotional Disorders, International Universities Press, New York. Citato in: Arieti S., Bemporad J. (1978), La depressione grave e lieve. L’orientamento psicoterapeutico. Ed. it., Feltrinelli Editore, Milano, 1981

Il bambino triste

di Emanuela Pidri

Dall’attaccamento alla strutturazione della personalità

I processi di maturazione hanno il loro fulcro nella costruzione dell’identità e si articolano caratteristicamente nel corso dell’adolescenza, attraverso momenti di fisiologica instabilità che comportano anche bruschi abbassamenti del tono dell’umore (cosiddetta “depressione fisiologica”), espressione di riassetti critici dell’equilibrio interno, in rapporto alle modalità soggettive di assimilare e riferire a sé l’esperienza vissuta. Pertanto, nel corso della preadolescenza e adolescenza, fisiologiche variazioni del tono dell’umore rivestono un ruolo fondamentale nella maturazione e quindi nella strutturazione della personalità. Tali modulazioni del tono dell’umore, più o meno brusche, intense e durature, sebbene costituiscano momenti di “crisi” possono dar luogo a esiti diversi, sia di tipo adattivo e quindi maturativi, sia di tipo disadattivo con oscillazioni che si esprimono attraverso disturbi psicopatologici di vario tipo e gravità.

La Teoria dell’Attaccamento ha dimostrato il ruolo della Sintonizzazione Madre-Bambino come elemento cardine dello sviluppo dell’attaccamento e come fattore predittivo dello sviluppo della personalità, sottolineando il ruolo di alcuni elementi fondamentali: primato dei legami emotivi intimi con le figure di attaccamento, schemi di attaccamento e condizioni dello sviluppo, persistenza degli schemi comportamentali, percorsi dello sviluppo della personalità. Lo sviluppo non viene più visto, seguendo gli studi dello psichiatra statunitense Daniel Stern, nell’ottica di punti di fissazione e di regressione, ma come differenti percorsi di sviluppo, più o meno sani, imboccati dal soggetto in base al suo corredo biologico in continua interazione con l’ambiente.

Attraverso il legame con i genitori, in particolare con la figura di attaccamento, il bimbo comincia a integrare le sue sensazioni emotive, con specifiche azioni, percezioni e ricordi, cominciando così a costruire la propria soggettività, riconoscendosi sempre più come entità differenziata dalle cose e dagli altri. Dagli anni ’80, il lavoro di Vittorio Guidano e Giovanni Liotti, ha evidenziato come il contributo dell’attaccamento rivesta un ruolo centrale nella costruzione del sé e nel mantenimento della coerenza di tale organizzazione intermodale. Nell’adolescente esiste la tristezza, la collera, il sentimento di inutilità, il pessimismo, la colpa, l’umiliazione, l’isolamento.  La presenza di questi aspetti nel corso dei processi normali di sviluppo fanno pensare che non ci sia adolescente senza depressione. Evidentemente si osserva l’esistenza di diversi processi a carattere depressivo: separazione, rottura di legami, perdita; aggressività e sentimenti di colpa; effetto depressivo di base (isolamento, pessimismo, noia, timidezza, tedio, tono affettivo basso) che se non vengono ben gestiti dalla sintonizzazione madre-bambino (attaccamento non sicuro) assumono significati differenti nello sviluppo evolutivo e identitario dell’individuo.

Lo stile affettivo (modalità adulta di stabilire legami, compreso l’amore), essendo una forma matura di affettività, ha come caratteristica di avere maggiori possibilità di astrazione rispetto all’attaccamento infantile e tende nelle situazioni “normali” ad arricchirsi e articolarsi nel corso della vita. C’è una modalità dello sviluppo umano in cui il senso di solitudine sembra acquisire una centralità e una prevalenza legata a specifiche esperienze di vita e di attaccamento. Lo stile depressivo è uno stile affettivo derivante dall’attaccamento evitante in cui, per il bambino, l’accesso alla figura di attaccamento è chiaramente poco o per nulla accessibile. La caratteristica centrale di questo stile è la sensazione di solitudine, di separazione dal resto del gruppo, dovuta all’esperienza di perdita, di abbandono, con il conseguente senso di auto-sufficienza sperimentata fin dall’infanzia, che porta a una posizione, nell’adulto, di evitamento dei rapporti affettivi. Le emozioni prevalentemente attivate sono la disperazione e la rabbia, è intorno a queste due polarità che si costruisce un tema di significato personale.

Per approfondimenti:

 

BARA B. (1990). Scienza cognitiva. Torino, Bollati Boringhieri.

BARA B.G. 2000. Il metodo della scienza cognitiva: un approccio evolutivo allo studio della mente. Bollati Boringhieri, Torino

BRACONNIER A. (2002). Minaccia Depressiva e depressione in adolescenza. In “adolescenza e psicoanalisi”. Anno II- N°3 Settembre.

CUTOLO G. (2012). L’empatia: comprendere gli altri facendoci capire da loro. Neuroni specchio, mentalizzazione, attaccamento” su L’Altro, anno XV, n.1 genn.-apr.2012, pag.12-19

GUIDANO V.F. (1992) “Il sé nel suo divenire” Bollati Boringhieri Torino

LAMBRUSCHI F. (2004). Psicoterapia cognitiva dell’età’ evolutiva. Bollati Boringhieri

LIOTTI G., (2001). Le Opere della Coscienza. Raffaello Cortina, Milano. Mantovani N., L’elefante invisibile, Giunti, Firenze.

NARDI B, (2004). La depressione adolescenziale in Psicoterapia Cognitiva dell’età evolutiva, a cura di F. Lambruschi., Bollati Boringhieri, Torino

REDA AM. E CANESTRI L.  (2012). “All You Need is Love”: La Rilevanza dello Stile Affettivo in Psicoterapia Post-Razionalista. XIII CONVEGNO DI PSICOLOGIA E PSICOPATOLOGIA

 

Photo by Kat J on Unsplash

Sguardo tra le oscillazioni dell’umore

di Alessandra Lupo

Nella mia febbre cerebrale, o follia, non so come chiamarla, i miei pensieri hanno navigato molti mari. Vincent Van Gogh

Il 30 marzo si è celebrata la giornata mondiale del disturbo bipolare. Questa data coincide con la nascita del famoso artista Vincent Van Gogh, affetto da disturbo bipolare. Il connubio della sua genialità con il disturbo, che a colpi di pennello ha caratterizzato la sua arte e le sue opere, ci incita ad andare oltre l’etichette del criterio diagnostico dei nostri manuali. Divulgare la conoscenza di questa patologia, vuol dire non solo fare prevenzione, ma anche riuscire a vedere gli aspetti umani e tipici dell’alternarsi delle fasi cicliche che si succedono durante la fase di malattia. Tutti sanno che il disturbo è una patologia psichiatrica complessa. Nello specifico, il DSM-5 (il manuale diagnostico e statistico sui disturbi mentali) identifica tre forme diverse di disturbo bipolare (disturbo bipolare I, disturbo bipolare II, disturbo ciclotimico). Ognuno di questi è caratterizzato da sintomi maniacali, la cui durata e gravità è differente nei vari tipi. Viene definito “disturbo bipolare” in quanto la patologia è caratterizzata da una sintomatologia che si sposta su un continuum di due polarità opposte: mania e depressione. La mania è uno stato che predispone il soggetto a una forte esaltazione, (l’autostima del soggetto è ipertrofica, con un senso di grandiosità), sfociabile anche in irritabilità e che si riflette sul proprio modo di pensare, parlare e agire. Nella mania, le persone percepiscono la velocità del susseguirsi dei pensieri, degli impulsi: iniziano ad agire in modo insolito, diventando più espansive, disorganizzate e disinibite, mettendo in atto comportamenti rischiosi, spese azzardate, guida imprudente, comportamenti sessuali a rischio. L’irritabilità può seguire l’esaltazione della fase maniacale, con disforia, senso di irrequietezza e smania immotivata. Con il termine “ipomania” si intende una fase simil maniacale con una sintomatologia più lieve rispetto la mania vera e propria.

Il disturbo bipolare tipo I è caratterizzato da almeno un episodio maniacale preceduto o seguito da episodio depressivo maggiore. L’esordio di solito è intorno ai 18 anni di età. Nel disturbo bipolare tipo II, si registra la presenza di almeno un episodio ipomaniacale e almeno un episodio depressivo maggiore, senza aver mai sperimentato episodi manicali. L’esordio è tardivo, intorno ai 35 anni di età. Nel disturbo ciclotimico, i pazienti hanno prolungati periodi (oltre i due anni) che comprendono sia episodi ipomaniacali che depressivi, tuttavia questi episodi non soddisfano i criteri specifici per un disturbo bipolare.

Volendo approfondire l’aspetto percettivo di questo disturbo, ci dobbiamo porre degli interrogativi: come i pazienti sperimentano le oscillazioni dell’umore? Come cambia la percezione di sé e del mondo?
A tal proposito, sono diverse le testimonianze di autori, scrittori e artisti che hanno dovuto convivere con il disturbo, imparando ad assecondare ogni oscillazione dell’umore. Tra i tanti autori che soffrono del disturbo bipolare, c’è la famosa professoressa statunitense Kay Redfield Jamison, docente di psichiatria alla Johns Hopkins University School of Medicine, e professore onorario alla University of St. Andrews. La Jamison ha reso pubblico il suo disturbo attraverso libri come “Manic- Depressive illness”, un vero e proprio trattato sulla malattia maniaco depressiva, e “An Unquiet mind”. In quest’ultima opera autobiografica, lei stessa descrive perfettamente le oscillazioni dell’umore e gli switch che avvengono durante il decorso della patologia:

“La mia mente cominciava ad arrancare per star dietro a sé stessa, i pensieri si susseguivano così veloci da intersecarsi l’uno con l’altro a ogni angolazione possibile. Nell’autostrada del mio cervello si stava verificando un tamponamento a catena di neuroni, e più cercavo di rallentare il pensiero più mi rendevo conto di non poterlo fare… Ero sempre più irrequieta, irritabile e desideravo una vita eccitante; tutto a un tratto mi ribellavo proprio a ciò che amavo di più in mio marito: la sua gentilezza, il suo equilibrio, il suo calore e il suo amore. Mi protesi d’impulso verso una vita nuova…”.

E ancora:

“Penso che la malattia mi abbia costretto a mettere alla prova i limiti della mia mente (che resiste, pur se è carente) e quelli della mia educazione, della mia famiglia, della mia cultura e dei miei amici.”

Le innumerevoli ipomanie, e le manie stesse, hanno introdotto nella mia vita una diversa intensità di percezione, di emozione e di pensiero. Anche nei peggiori momenti di psicosi, di mania, di delirio e di allucinazione mi rendevo conto di scoprire nuovi angoli della mia mente e del mio cuore. Alcuni tanto incredibili e belli da togliermi il respiro e farmi sentire che se fossi morta in quell’istante quelle visioni mi avrebbero accolto. Altri tanto grotteschi e brutti che non avrei mai voluto conoscerne l’esistenza né vederli di nuovo: ma sempre, c’erano angoli nuovi, e quando mi sento me stessa, cosa di cui sono debitrice ai farmaci e all’amore, non riesco ad immaginare di essere stanca della vita proprio perché so che esistono quegli angoli infiniti dalla prospettiva sconfinata”.

Cercare di condividere le esperienze di chi è affetto della patologia permette non solo di conoscere il disturbo, ma anche provare a comprendere come possa essere dura la vita di un soggetto con bipolarismo. Oggi sappiamo che le cure farmacologiche, associate a un trattamento psicoterapeutico, consentono al soggetto di vivere una vita dignitosa e meno invalidata dalla propria tempesta emotiva.

Stabile come una montagna

di Elena Bilotta

Una pratica di Mindfulness per aiutarsi nei momenti di instabilità emotiva e umorale

Claudia sperimenta spesso oscillazioni dell’umore durante le quali osserva le cose con occhi diversi. Ci sono giorni in cui si sente triste e abbattuta, tutto le sembra pesante e si vede come una persona di poco valore. Allora si chiude in casa, ritirandosi dal mondo. Altri giorni sente invece di potercela fare a superare tutte le difficoltà che la vita le propone, pensa che tutto sommato nella vita non sia tutto da buttare e prova a riprendere contatti con le persone che la circondano.
Marco si sente instabile emotivamente: prova spesso ansia e rabbia molto intense che lo portano ad agire d’impulso, pentendosi quasi sempre delle sue azioni. Ha sbalzi d’umore nel corso della giornata, che gli creano uno stato di confusione mentale, perché non riesce più a capire se lui è “quello triste”, “quello arrabbiato”, o “quello ansioso”.
A Giorgia capita spesso di avere improvvisi attacchi d’ansia all’idea che possa accadere qualcosa di brutto ai suoi figli. Una settimana fa ha dato un pugno alla porta in preda a una intensa ruminazione rabbiosa. Oggi è molto triste perché ha appena saputo che il colloquio di lavoro che ha fatto non è andato a buon fine, ma è anche arrabbiata perché pensa che sia un’ingiustizia. Per questo ha chiamato il datore di lavoro insultandolo pesantemente al telefono.
Tre esempi di storie frequenti, fatte di emozioni e umore altalenanti che spesso portano ad agiti impulsivi, che a loro volta creano nuove situazioni problematiche. Ma non sono solo le conseguenze comportamentali a creare problemi quando ci si sente instabili. L’instabilità emotiva e umorale genera anche confusione mentale. Se si ha la tendenza a identificarsi con ciò che si prova, sarà facile etichettarsi come “cattivo” quando si prova rabbia, “fifone” quando si prova paura, “inetto” quando si prova vergogna o tristezza, e così via. Sarà facile cioè confondere uno stato transitorio come l’emozione con un giudizio, che per sua natura è stabile e immutabile. Quando non si è consapevoli dell’effetto temporaneo dell’umore sullo stile di pensiero e la visione di sé, quest’ultima oscillerà insieme all’umore, amplificando la sofferenza.
Se ti capita di confondere le emozioni con giudizi su di te, di sperimentare emozioni intense che si alternano con velocità nel corso delle tue giornate, oppure ti trovi ad avere oscillazioni dell’umore che ti creano sofferenza, puoi provare a coltivare la stabilità con la pratica di Mindfulness della montagna.
Siediti comodamente e osserva il respiro per dieci minuti. È possibile che la mente venga distratta da pensieri, rumori, sensazioni fisiche. Ogni volta che la mente si distrae, torna al respiro senza giudicarti.
Ora immagina di avere davanti a te una montagna. Può essere una montagna che conosci e che hai frequentato, oppure una montagna che hai visto anche solo in fotografia. Osserva la sua forma, la vetta, i versanti, la base della montagna. Osservane la maestosità e la stabilità, perfettamente radicata. Forse la sua cima sarà innevata, o sulla sua superficie saranno presenti boschi e sentieri. Osserva come si alternano le giornate e le stagioni, e come la montagna cambi aspetto lentamente e gradualmente, accogliendo ogni mutamento, senza opporsi, permettendo che ciò avvenga.
Ora prova ad avvicinare lentamente l’immagine della montagna a te. Diventa montagna. I tuoi piedi diventano la base della montagna, le tue braccia i versanti, la tua testa la vetta. Incarna la stabilità della montagna. Osserva, ora che sei montagna, che le emozioni e i pensieri sono come le giornate e le stagioni, costantemente mutevoli, e tu puoi osservarli arrivare e andare via, proprio come fa la montagna, diventando testimone del cambiamento, accogliendolo momento per momento, senza identificarti con esso.
Continua a osservare il respiro e a coltivare il tuo senso di stabilità, nutrendoti dalla saggezza della tua montagna.

Umore fluttuante: ordine nel disordine

di Jacopo Biraschi
a cura di Carlo Buonanno

Mi sveglio al mattino un venerdì e sono consapevole di avere avanti a me un weekend stimolante. La giornata parte molto bene, finché non mi ritrovo in un noiosissimo meeting di lavoro con il mio capo ed alcuni colleghi; al meeting però la mia collega Giulia mi guarda un paio di volte e mi lancia un sorriso. Situazioni come quella appena descritta ricorrono continuamente nella vita di ognuno di noi, infarcite delle peculiarità che caratterizzano la nostra routine. Quello che è interessante notare è che un breve frammento di vita come questo contiene elementi appartenenti a ordini temporali differenti: il weekend dura alcuni giorni, il meeting di lavoro alcune ore, lo scambio di sguardi con la collega alcuni istanti. Ma cos’è che accomuna esperienze appartenenti a ordini così temporali differenti (giorni, ore, secondi) in un’esperienza unitaria? La risposta è nelle fluttuazioni dell’umore, ovvero nel modo in cui il nostro umore cambia in risposta alla situazione.

È un fatto consolidato che le fluttuazioni dell’umore, nel momento in cui deviano da un determinato status, vengano gestite tramite un meccanismo di regolazione omeostatica; tuttavia, questo tipo di funzionamento sembra essere insufficiente a spiegare la complessa flessibilità del sistema affettivo. L’ipotesi di ricercatori spagnoli è che il sistema affettivo operi piuttosto su diverse scale temporali (giorni, ore, secondi, come nell’esempio precedente), manifestando una multistabilità tipica di altri sistemi fisiologici e regolata da un controllo di tipo allometrico, sovraordinato rispetto all’omeostatico. L’allometria è un fenomeno biologico che descrive l’accrescimento relativo di una o più parti di un organismo rispetto all’organismo stesso, come ad esempio la velocità di crescita dei palchi di un cervo rispetto all’intero animale: il fatto che tale accrescimento funzioni su diverse scale temporali sotto controllo allometrico significa che, cambiando la scala temporale presa in esame, il rapporto di crescita resta invariato (invarianza di scala). In altri termini, il rapporto fra la velocità di crescita del cervo nel suo complesso e quella relativa ai suoi palchi, resta costante sia considerando un mese di sviluppo dell’animale, un anno o l’intero ciclo di vita. All’inizio degli anni ’90 è stato dimostrato che diversi sistemi fisiologici, come le fluttuazioni del battito cardiaco, della respirazione ecc, non sono casuali bensì frattali; un frattale è un oggetto caratterizzato da autosimilarità, ovvero un oggetto simile a se stesso. Ciò significa che questo presenta la stessa “forma” su scale diverse, come nelle diverse scale temporali dell’esempio iniziale. Nell’articolo preso qui brevemente in esame gli Autori hanno valutato la presenza di una struttura frattale – autosimile – delle fluttuazioni del sistema affettivo. Viene quindi postulato che tali fluttuazioni abbiano la stessa struttura su scale temporali diverse (secondi, ore, giorni): questo significa che le fluttuazioni dell’umore sono le stesse a prescindere dal fatto che si consideri l’intero weekend (giorni), il meeting di lavoro (ore) o lo sguardo d’intesa con Giulia (secondi). L’autosimilarità del sistema affettivo risulta adattiva in quanto positivamente correlata con la flessibilità psicologica: dunque il sistema affettivo è stabile perché multistabile, cioè frattale.

Per approfondimenti:

Bornas X., Balle M., Morillas-Romero A, Aguayo-Siquier B. (2015): Allometric control of daily mood and anxiety fluctuations, Springer Science+Business Media, New York.