Come distinguerlo dalle altre attività mentali e come affrontarlo
Che differenza c’è tra un rimuginio normale e uno patologico? Come faccio a capire se sto rimuginando? Davvero sto rimuginando? No, sto solo pensando, riflettendo, vagliando le alternative, ripensando alle cose che mi sono successe durante la giornata, la settimana, il mese!
Capita spesso di ritrovarsi a pensare in modo ripetitivo, a pensare ad altro rispetto a ciò che facciamo, a fare errori dovuti alla distrazione che l’attività mentale spesso costituisce. Allora, cerchiamo di vederci più chiaro.
Elenchiamo alcuni processi dell’attività mentale:
- Il mind wondering è un costrutto molto ampio, caratterizzato dal naturale processo della “mente che vaga”, che occupa quasi il 50% del nostro tempo e ha la funzione di programmare il futuro, di favorire la creatività e l’insight, di integrare le funzioni cognitive.
- Il rimuginio è un’attività mentale che implica il continuare a ragionare in maniera ripetitiva su alcuni pensieri, ipotesi o giudizi: normalmente crea infelicità, ansia, depressione, rabbia.
- La ruminazione differisce dal rimuginio poiché focalizzata su eventi passati o su stati emotivi presenti, perdendo la caratteristica predittiva e configurandosi più come un’attività analitica tesa a identificare le implicazioni e le ragioni di un evento negativo, che andranno cercate nel proprio comportamento, nella propria natura e nella storia personale. Il rimuginio gestisce pensieri automatici minacciosi (“Cosa succederebbe se…”), mentre la ruminazione cerca di rispondere al perché di quanto accade. In entrambi i casi, il punto di partenza è l’intrusione mentale che emerge dalla discrepanza tra lo stato attuale e quello desiderato.
Dal punto di vista clinico, il rimuginio si accompagna alla maggior parte dei disturbi con componente ansiosa come processo transdiagnostico, differenziandosi dal rimuginio normale nella misura in cui nei soggetti ansiosi permane nel tempo, mentre tende a scemare nei non ansiosi. In particolare:
- è uno stile di pensiero relativo a preoccupazioni o incertezze future;
- è ripetitivo, gira a vuoto intorno alle stesse minacce;
- è un’attività prevalentemente verbale e il ragionamento assume la forma di un dialogo interno. La verbalizzazione potrebbe essere una strategia di gestione dell’ansia, poiché disimpegna da materiale eccessivamente carico emotivamente;
- è uno stile di pensiero astratto, prende in considerazione minacce teoriche, molte delle quali non si realizzeranno mai;
- è un’operazione costosa poiché impegna la memoria di lavoro per lungo tempo: le conseguenze di tale dispendiosa attività hanno ripercussione sul benessere, portando a numerosi sintomi fisici invalidanti, come maggiore tensione muscolare, insonnia, irrequietezza, mal di testa, irritabilità, problemi cardiovascolari, tutte problematiche mantenute dall’alto livello di arousal che il perdurare di sintomi ansiosi produce.
Il punto nodale nella comprensione del meccanismo di ricorsività del pensiero è costituito dalle “metacredenze”: le metacredenze negative riguardano pericolosità e incontrollabilità del rimuginio, quelle positive l’utilità dello stesso come strategia di regolazione delle intrusioni mentali negative.
In terapia cognitiva risulta importante ed efficace la concettualizzazione dell’attività ruminativa e delle relative metacredenze che la sostengono, per descrivere e condividere il funzionamento del paziente: sulla base del classico ABC (evento-pensiero-emozione), il terapeuta aiuta il paziente a rispondere a domande quali: “come viene valutata l’informazione che giunge alla coscienza?”, “quali strategie di rimuginio o soppressione del pensiero vengono avviate?”, “qual è la metacredenza implicita?”.
Aumentare la consapevolezza fa meglio comprendere le fattezze del “nemico”, in modo poi da poter scegliere le armi migliori per affrontarlo.