L’arte del perdono

di Emanuela Pidri

Un valido ed efficace strumento terapeutico che riduce ansia e ruminazione

Il perdono non è oblio, non è negazione del torto, non è giustificazione, non è rassegnazione a subire e non significa necessariamente riconciliarsi. Se si considera la parola “perdono”, si nota come sia composta di un prefisso rafforzativo “per”, cioè super, e dalla parola “dono” cioè regalo. Il perdono, dunque, come grande regalo, come atto di magnanimità con cui la vittima rimette il debito a chi lo ha offeso o ingiustamente danneggiato e riconosce al colpevole la sua dignità di essere umano e dunque il suo diritto a non essere escluso e disprezzato.

In psicologia, il perdono rappresenta un complesso fenomeno affettivo, un meccanismo sociale importante in quanto mezzo per recuperare un rapporto che viene compromesso restaurando la fiducia. I modelli psicologici del perdono sono raggruppabili in tre gruppi: 1) i modelli evolutivo-cognitivi evidenziano il passaggio, con la crescita, da un perdono vendicativo a uno compensativo fino a raggiungere forme più alte di perdono basate sull’armonia sociale e sull’amore; 2) i modelli processuali  delineano i percorsi e le dinamiche delle componenti cognitive, emotive e comportamentali che vengono messi in atto durante il perdono; 3) i  modelli psico-sociali inseriscono il perdono all’interno delle dinamiche relazionali il cui scopo è quello di evitare comportamenti distruttivi a favore di azioni in grado di favorire il benessere relazionale. La psicologia pone attenzione al tema del perdono solo dopo aver riscontrato i numerosi benefici raggiunti rispetto al benessere mentale che si riesce a raggiungere quando si arriva a perdonare qualcuno per il torto subito e ad andare avanti senza più rimuginare sul rancore provato. Un ulteriore impulso è stato dato dalla psicofisiologia e dagli studi di neuroimaging che che studiano le basi biologiche sottostanti. Il perdono è stato inoltre impiegato come strumento educativo con buoni risultati e ha anche dimostrato di essere benefico per le vittime di abusi e infedeltà. Il processo del perdono è il risultato di un lungo lavoro psicologico: nel perdonare le emozioni e il giudizio negativo nei confronti di chi ci ha fatto del male vengono alleviati e sostituiti da atteggiamenti di compassione. La ricerca in psicologia ha esplorato e identificato diverse variabili individuali e sociali da cui dipenderebbe la tendenza al perdono: connessione tra aumento dell’età e propensione al perdono (infatti  le persone più anziane sono più inclini a perdonare);  soggetti con tratti più ansiosi, narcisisti, depressi e ostili risultano meno inclini al perdono; intimità, fiducia e empatia favoriscono il perdono che correla positivamente alla percezione di controllo sull’ambiente e alla riparazione di un senso di potere personale. La “Terapia del Perdono” prevede: la riflessione su situazioni del passato in cui il paziente ritiene di essere stato trattato ingiustamente o crudelmente riconoscendo tali ingiustizie; la comprensione che il dolore emotivo è il passo successivo e naturale quando si reagisce alle ingiustizie; la consapevolezza che se non si trova una soluzione al dolore emotivo, il paziente continuerà ad essere arrabbiato per questa situazione e il dolore persisterà, sviluppando quella che viene chiamata “rabbia malsana”, una rabbia profonda capace di influenzare il sonno, i pensieri e i comportamenti ed indurre gravi sintomi depressivi e di ansia. Il modello dello psicologo statunitense Everett Worthington identifica effetti diretti del perdono sulla salute mentale in termini di riduzione dei sentimenti di rivalsa, riduzione di stress e ansia, riduzione della ruminazione e dei pensieri intrusivi che coinvolgono emozioni di risentimento, ostilità, rabbia e paura. È dimostrato, inoltre, un calo della pressione cardiaca, la riduzione di sintomi depressivi e la presenza di sintomi psicosomatici. In psicoterapia, il perdono sembra essere un valido strumento per combattere l’autocritica, la depressione, atti di autolesionismo e differenti forme di dipendenza e per il trattamento di particolari gruppi di soggetti, come donne che hanno abortito, individui vittime di abusi sessuali, familiari di alcolisti o di disabili, coppie in crisi o separate, malati terminali. 

Per approfondimenti: 

Barcaccia B. Mancini F. (2013) Teoria e Clinica del Perdono. Raffaello Cortina Editore
McCullough M.E & Witvliet C., The Psychology of Forgiveness.
McCullough M.E. Forgiveness as human strength: Conceptualization, measurement and links to well-being. J of Soc and Clin Psychology, 19, 43-55.

L’arte rivoluzionaria del perdono

di Elena Bilotta

Appunti dal Corso “Teoria e clinica del perdono interpersonale” tenuto da Barbara Barcaccia presso l’APC di Roma

Da un punto di vista etico, esistono numerose offese considerate imperdonabili. Da un punto di vista psicologico, invece, il perdono è un atto sempre possibile. Questa la prima dicotomia che può fungere da ostacolo al processo del perdono. Ma l’aspetto morale non è l’unico impedimento. È facile, infatti, associare il perdono alla religione, identificandolo come atto di misericordia possibile solo a chi abbia una fede che lo aiuti e sostenga. In realtà, come ha scritto Hanna Arendt, anche se dobbiamo la scoperta del ruolo del perdono a Gesù di Nazareth, “non è una ragione per prenderla meno sul serio in un senso strettamente profano”.
La ricerca psicosociale sul perdono interpersonale ne testimonia, infatti, i suoi numerosi benefici osservati indipendentemente dal credo religioso. Tra i principali, vi è un maggiore benessere psicofisico nella vittima, indipendentemente dalla gravità dell’offesa ricevuta. Chi perdona è meno soggetto a sperimentare odio, ostilità, tristezza e ansia ed è meno assorbito in processi di ruminazione rabbiosa. Ha minori livelli di stress, senso di solitudine e depressione, ed è in generale più soddisfatto di sé e della propria qualità di vita.
Perdonare è tuttavia un processo difficile e doloroso, che non viene attuato semplicemente per una impossibilità di vendicarsi o per il timore di una ritorsione da parte del colpevole. Il perdono non è sinonimo di impotenza, ma è una scelta.
Per poter scegliere attivamente di perdonare chi ci ha fatto del male può essere utile fare chiarezza sul significato del perdono e sulle sue principali implicazioni:
Perdonare non è cancellare il torto. Se così fosse, avrebbe un potere magico. Il perdono può, però, ridurre notevolmente le conseguenze del torto, legate alla sofferenza psicologica.
Perdonare non vuol dire dimenticare. Un atto di oblio volontario è impossibile, specialmente quando le offese subìte sono state gravi. Per poter perdonare un torto bisogna ricordare di averlo subìto, ma lo si fa attraverso un processo diverso dalla ruminazione.
Perdonare non è sinonimo di riconciliazione. Pur essendo potenzialmente un passo verso la riconciliazione, non la implica necessariamente. Anzi, spesso la riconciliazione va evitata, specialmente se il colpevole è una persona potenzialmente pericolosa. Il perdono può essere un processo unilaterale, non è cioè necessario dichiarare al colpevole l’intenzione di perdonare, e si può perdonare anche chi non c’è più.
Perdonare non è giustificare. Non vuol dire sminuire l’entità dell’offesa subita, né deresponsabilizzare il colpevole, né negare o scusare il colpevole per ciò che è accaduto.
Perdonare non è un atto di sottomissione o debolezza. Al contrario, è un processo lungo e tumultuoso che necessita di forte motivazione al cambiamento e tolleranza alle frustrazioni.
Perdonare, insomma, è un processo molto più attivo e laico di quanto si potrebbe pensare. Non presuppone solo l’interruzione e l’abbandono di ruminazioni rabbiose e desiderio di vendetta, ma implica anche una crescita, perché contiene una dimensione costruttiva. Il perdono aiuta a modificare nel tempo le emozioni, i pensieri e le attitudini nei confronti di una persona che ci ha fatto del male. E questo va sempre a vantaggio della vittima, e mai del colpevole.

 

Per approfondimenti:

Barbara Barcaccia (2017). Il perdono interpersonale: analisi del costrutto. Efficacia, rischi e benefici per il benessere psicologico della terapia del perdono. Rassegna di Psicologia, XXXIV, 3, 55-66.

Barbara Barcaccia e Francesco Mancini (2013). Teoria e clinica del perdono. Raffaello Cortina Editore.

Ti perdono, lo faccio per me!

di Antonella D’Innocenzo

Perdonare è una scelta che fa bene, prima di tutto, alla mente e al corpo di chi la compie

Vendetta, evitamento e perdono sono possibili risposte che un individuo può attivare in seguito a un’offesa percepita; a differenza dei primi due, quest’ultimo implica la rinuncia al diritto di provare rancore nei confronti dell’offensore e la modificazione di pensieri ed emozioni negative, insieme a un incremento di sentimenti di compassione e di benevolenza verso chi riteniamo ci abbia fatto del male.
Perdonare non equivale a giustificare, scusare, dimenticare o minimizzare: per farlo è necessario che l’evento sia ricordato e che si abbia chiara consapevolezza delle sue conseguenze dannose. Le modalità di questo processo, tuttavia, non sono rabbiose e dolorose, ma consistono nel ripercorrere e rielaborare la sofferenza in modo funzionale, allo scopo di poter essere capaci di riporla nella giusta dimensione: il passato.
Perdonare non coincide necessariamente con la riconciliazione con l’offensore, anzi, essa va evitata, se può mettere a rischio l’incolumità psicofisica della vittima: mentre per riconciliarsi è infatti opportuna la negoziazione tra offensore e vittima, il perdono è un atto unilaterale e può essere praticato in qualunque circostanza e situazione.
È utile perdonare? La ricerca sul perdono in ambito psicologico ha mostrato come gli adulti con una più elevata disposizione al perdono facciano meno uso di farmaci, siano meno depressi, meno rabbiosi, meno ansiosi, presentino una più elevata qualità del sonno, in generale una maggior soddisfazione di vita e benefici per la salute fisica.
Incrementando i comportamenti di perdono, aumenterebbero anche altre variabili di benessere, come la fiducia, la speranza, l’auto-efficacia e la gioia. Gli individui con una bassa disposizione al perdono tendono a essere più rabbiosi e a ruminare di più sulle offese passate; un’intensa rabbia disfunzionale sembra essere correlata a un rischio più alto di diverse problematiche psicologiche, inclusa la depressione. In effetti, avere difficoltà a perdonare può implicare la tendenza a mettere in atto comportamenti vendicativi, aggressivi o di evitamento, portando a rottura delle relazioni, isolamento, solitudine e mancanza di risorse affettive; condizioni che contribuiscono alla genesi e al mantenimento di stati depressivi. Il processo del perdono può essere invece considerato una forma efficace di autoregolazione emotiva, in grado di modulare i sentimenti negativi e di preservare e riparare le relazioni interpersonali.
Negli ultimi vent’anni, in psicoterapia, si è tentato di utilizzare il potenziale benefico del perdono per la riduzione del malessere e l’incremento del benessere psicologico.
Sono due i principali modelli d’intervento, connessi al perdono, utilizzati: quello di Robert Enright & Human Development Study Group e quello di Everett Worthington; entrambi lavorano per favorire la consapevolezza di come l’ingiustizia ricevuta abbia provocato sofferenza, al fine di motivare all’assunzione del perdono come via d’uscita da questa condizione.
In questo processo, si aiuta l’individuo a modificare pensieri, emozioni e azioni nei confronti dell’altro, nella direzione della benevolenza e della compassione.
In molte tipologie di disturbi mentali, i problemi dei pazienti possono essere legati a tematiche relazionali irrisolte, a difficoltà nello stabilire rapporti duraturi e a lasciare andare offese passate: incoraggiare il paziente al perdono può rappresentare un’ottima opportunità per aiutarlo a uscire dalla sofferenza che sta sperimentando.

 

Per approfondimenti:

Barbara Bracaccia, “Il perdono interpersonale: analisi del costrutto. Efficacia, rischi e benefici per il benessere psicologico della terapia del perdono”, RASSEGNA DI PSICOLOGIA, n.3, vol.XXXIV, 2017 ISSN: 1125-5196 pp. 55-66

Mi vendico o ti perdono?

di Barbara Basile

Quale intervento prediligere rispetto a torti passati subiti: uno studio sul bullismo e l’Imagery with Rescripting

Il bullismo rappresenta un fenomeno sociale sempre più diffuso, con gravi ripercussioni su chi lo subisce. Le conseguenze influiscono sull’autostima di chi ne è vittima, sul maggior rischio di fare uso di sostanze, sullo sviluppo di difficoltà scolastiche e, in generale, su una maggiore probabilità di sviluppare dei disturbi psicologici. Episodi o ricordi relativi a questo tipo di esperienze emergono spesso in psicoterapia e possono essere trattati con tecniche diverse, tra cui quelle di immaginazione. Un esercizio particolarmente utile, che consiste nell’aiutare la persona a identificare e soddisfare, tramite immaginazione, i propri bisogni frustrati in età infantile è l’Imagery with Rescripting (IwR), letteralmente “immaginazione con ri-scrittura”. Leggi tutto “Mi vendico o ti perdono?”

“Non ti perdono”

Narcisismo e assenza di perdono interpersonale

di Graziella Pisano
curato da Elena Bilotta

Le ricerche sul perdono dimostrano che vi è un alto grado di variabilità individuale nel reagire alle trasgressioni altrui, ed il narcisismo pare avere un effetto inibitore sul processo del perdono. Il narcisismo è caratterizzato dalla tendenza a reagire difensivamente quando la persona sente una ferita al proprio valore, dall’aspettativa che tutto sia dovuto (senso di diritto) in virtù delle proprie doti, dalla tendenza allo sfruttamento e manipolazione interpersonale e dalla mancanza di empatia nei confronti degli altri. I narcisisti tendono a comportarsi in maniera aggressiva in situazioni in cui ravvisano rifiuto sociale e in generale hanno una bassa tendenza a reagire alle offese interpersonali con il perdono. Nello specifico,l’aspettativa di ricevere un trattamento privilegiato pare collegato alla ridotta capacità di perdono. In un recente studio che ha analizzato la relazione tra narcisismo e disposizione al perdono, il narcisismo è stato concettualizzato come il risultato dell’interazione tra le seguenti strategie sociali:

“Ammirazione”, cioè una propensione all’auto-valorizzazione attraverso l’autopromozione. Empiricamente l’ammirazione è correlata all’uso di strategie adattive, spavalderia e reazioni alle offese interpersonali basate sul problema.

“Rivalità”, cioè una propensione all’auto-protezione antagonistica tramite l’autodifesa. È collegata all’uso di strategie disadattive, come l’aspettativa che tutto sia dovuto e l’ostilità. Leggi tutto ““Non ti perdono””

Perché il perdono può essere talvolta una via d’uscita dalla sofferenza emotiva?

di Barbara Barcaccia

Quando sentiamo che abbiamo subìto un torto ingiusto e che qualcuno ha violato i nostri diritti o i princìpi in cui crediamo, ci sentiamo feriti, offesi. A seconda del nostro sistema di valori, l’offesa sarà per noi più o meno grave. Ma conta anche il modo in cui è stata perpetrata l’offesa, ad es. quanto siamo convinti che il comportamento offensivo dell’altro sia stato intenzionale: quanto è stato deliberato il torto commesso? Quanta responsabilità ha la persona che ci ha fatto del male, secondo noi? Infatti, quando una vittima pensa che l’offensore sarebbe stato perfettamente in grado di controllare il proprio comportamento, e invece non lo ha fatto, tende a provare più rabbia. Tra le altre variabili che possono incrementare il peso dell’offesa, ci sono la reiterazione, per cui essa viene ripetuta più e più volte, ma anche il grado di vicinanza con la persona (più si è in una relazione stretta, più intensa sarà la sofferenza), e se lede gravemente la dignità della persona. Infine, il fatto che chi ci ha offeso non riconosca il danno compiuto e che non chieda scusa per la propria azione, rendono ancora più bruciante la ferita.

È noto che, alle offese percepite come gravi si tende a reagire, istintivamente, con l’odio e la vendetta, oppure con l’evitamento e la fuga. Si tratta di reazioni che, pur messe in atto nella convinzione di poter essere risolutive, purtroppo tendono a peggiorare la sofferenza della vittima dell’offesa. In pratica, i tentativi di soluzione diventano problemi, ed è per questo che la psicologia ha cominciato a occuparsi del perdono, intravedendone le potenzialità benefiche in termini psicologici. Leggi tutto “Perché il perdono può essere talvolta una via d’uscita dalla sofferenza emotiva?”