Quando una storia può aiutare a cambiare

di Francesca Romani e Giordana Ercolani

Ogni individuo nel corso della propria storia di vita può attraversare situazioni in grado di contribuire alla costruzione di credenze e regole su sé stesso e su gli altri. Questo processo inizia fin da bambini. Infatti è proprio nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza che le esperienze quotidiane con i genitori, prima, e successivamente con i compagni ed altri adulti significativi (es. familiari, insegnanti, allenatori etc.) sono in grado di suggerire una versione del mondo che con il tempo potrebbe irrigidirsi e diventare la sola “lente” con cui leggere gli eventi, le persone e sé stessi. Dunque quando questa “lente” si è costruita sulla base di esperienze accompagnate, ad esempio, da sensazioni di intensa frustrazione, critica, inadeguatezza, rifiuto o esclusione con conseguenti emozioni di rabbia, senso di colpa, ansia o tristezza, la sofferenza emotiva segue, solitamente, una traiettoria negativa che può condurre a profili psicopatologici più o meno precoci.

Nella psicoterapia Cognitivo-comportamentale (CBT) è consuetudine affrontare con il paziente proprio questo sistema di regole e credenze che caratterizza tipicamente il suo funzionamento psicologico, dedicando maggiore attenzione a quelle responsabili della sofferenza.

L’obiettivo è quello di ridurne la rigidità, favorire una defocalizzazione dall’ipotesi peggiore e affiancarvi punti di vista alternativi (Buonanno, Gragnani, 2021) con un successivo incremento della flessibilità psicologica responsabile di più alti livelli di benessere. Anche negli interventi con bambini e ragazzi si procede allo stesso modo; sebbene la giovane età può far credere che tale sistema non sia poi così disfunzionale, è esperienza comune per i terapeuti dell’età evolutiva imbattersi in idee già estremamente rigide e pervasive, inserite in quadri di sofferenza emotiva già ben strutturati.

In CBT tale processo di ampliamento del punto di vista e disponibilità a considerare una versione differente delle cose riguardanti se stessi e gli altri, prende il nome di ristrutturazione cognitiva.

Tante sono le tecniche e gli strumenti in grado di favorirla e tra questi si trovano anche le favole per bambini. Riprendendo l’esempio della “lente” usato poco fa, potremmo dire che una storia ha il potere di ridurne l’utilizzo e alimentare l’assunzione di una nuova prospettiva da cui guardarsi intorno per poi trarre conclusioni. Di fatto, nel caso delle favole, grazie al processo di identificazione con le situazioni e i personaggi, è possibile prima di tutto normalizzare la propria sofferenza; sapere infatti che anche altri soffrono come soffriamo noi ci fa sentire meno soli. Altresì la lettura di una storia, anche se di fantasia, può offrire la possibilità di rintracciare nelle vicende altrui, temi di sofferenza simili ai propri e avere così la possibilità di prendere in esame delle alternative che prima di allora non si erano considerate.

Pertanto, da un’esigenza clinica di questo tipo nasce la storia de “Il cappello Matteo” che siamo qui a condividere affinché possa essere di aiuto non solo al bambino per cui è stata scritta ma anche a tutti quelli che come lui, dopo una delusione, si sono ritrovati a pensare di non essere abbastanza di valore per ottenere l’affetto e la vicinanza degli altri, decidendo così di isolarsi e rinunciarvi per sempre.

 

Il cappello Matteo: clicca qui per scaricare la storia completa in formato pdf

Illustrazione di @disegniperlasalutementale

 

Riferimenti bibliografici
Buonanno C., Gragnani A. (2021). Le tecniche di ristrutturazione cognitiva. In: Perdighe C., Gragnani A. (a cura di) (2021). Psicoterapia cognitiva. Comprendere e curare i disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore.

“L’amore è l’unica cosa”

di Caterina Villirillo

L’intervento di Steve Hayes e altri spunti per il trattamento dell’età evolutiva al Congresso Intermedio SITCC

Un congresso tra amici e colleghi in atmosfera natalizia con vista mare: è il ricordo che conservo del Congresso Intermedio SITCC che si è svolto dal 9 all’11 dicembre 2022 ad Ancona. Un congresso per la prima volta interamente dedicato all’età evolutiva: un’occasione unica di confronto e formazione che ha coinvolto diversi colleghi che operano nel territorio nazionale e che si occupano quotidianamente di questa particolare fase della vita. Il programma è stato ricchissimo e variegato. La prima giornata ha previsto tre workshop paralleli esperienziali dedicati all’Acceptance and Commitment Therapy, alla Theraplay e al trattamento dei disturbi da Tic e della Sindrome di Tourette. Nelle giornate successive, in due tavole rotonde diversi membri dell’equipe per età evolutiva SPC-APC hanno avuto il piacere di esporre i propri lavori sul tema dei disturbi specifici di apprendimento e dei disturbi di personalità, nell’ottica dello sviluppo nell’arco della vita. Ci sono stati, inoltre, sei simposi paralleli dedicati a lavori clinici e di ricerca.
Gli spunti offerti da questi interventi e l’esposizione delle tecniche che hanno stimolato il desiderio di lavorare in modi alternativi con i pazienti sarebbero già stati sufficienti a rendere questo congresso imperdibile, ma la main relation di Steve Hayes, fondatore dell’Acceptance and Commitment Therapy, ne ha definito l’unicità. È stato emozionante ascoltare il professore che, con la semplicità che lo contraddistingue, ha spiegato come è necessario occuparci del benessere infantile, considerando il mondo attuale in cui i bambini vivono, in continua trasformazione. Secondo Hayes, è necessario reinventarci ogni giorno, senza perdere mai l’entusiasmo e la passione per il nostro lavoro: “Il mio messaggio per voi è quello di guardare alla scienza della flessibilità psicologica, – ha detto – ma anche a come questa possa rendere noto ciò che già conoscete, ovvero portare amore a voi stessi; anche quando è difficile, – ha aggiunto – vi aiuterà a portare amore nel mondo nel modo in cui volete portarlo nel mondo, perché l’amore non è ogni cosa, l’amore è l’unica cosa”. Parole che costituiscono una bussola che potrà guidarci e indirizzare i nostri valori nella professione di terapeuta.
Non sono mancati i momenti di convivialità ed è sempre bello osservare come a fare ancora più grande il valore di molti colleghi stimati sia la capacità di sapersi prendere con leggerezza, di appassionarsi e divertirsi: un grande valore aggiunto al mestiere del terapeuta, soprattutto quando ci si trova di fronte a piccoli e giovani pazienti. Il senso di appartenenza a questo gruppo io l’ho sentito, è stato bello ritrovare colleghi che per vie diverse hanno fatto parte del mio percorso e vedere come tutte le strade si ricongiungono in una rete coesa di collaboratori preziosi, che parlano la stessa lingua, che ogni giorno si impegnano a perseguire l’obiettivo di favorire il benessere e migliorare la qualità di vita di bambini e adolescenti. I dati sulla sofferenza psicologica in età evolutiva, condivisi anche durante il convegno, sono purtroppo allarmanti ed è importante dare maggiore rilievo a questa tematica perché conoscere e condividere tecniche sempre più aggiornate può permetterci, in tempo reale, di intervenire sulla vulnerabilità storica degli adulti di domani. Queste sono occasioni davvero preziose e mi auguro che il successo di questa prima edizione possa incoraggiare la scelta di rendere il congresso SITCC per l’età evolutiva un appuntamento fisso. E intanto arrivederci a Bari per il congresso SITCC di settembre 2023!

Foto di Nothing Ahead:
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Prevenire la sofferenza in età evolutiva

di Giordana Ercolani

Nuove prospettive e linee di intervento al Congresso Intermedio SITCC 2022      

Metti una società scientifica e professionale con oltre 2000 soci che si occupano di psichiatria, neuropsichiatria infantile, psicologia clinica e psicoterapia. Una tradizione di quasi 40 anni di lavoro dedicato all’approfondimento di aspetti teorici, clinici e applicativi nell’approccio cognitivo comportamentale. Un gruppo di colleghi che in questa società scientifica esprimono il loro particolare interesse sulla psicoterapia dell’età evolutiva.
Aggiungi un programma scientifico ricchissimo, che in tre giornate ha offerto: tre workshop dal taglio pratico su modelli specifici di intervento in età evolutiva; due tavole rotonde sul tema dei disturbi specifici dell’apprendimento e dei disturbi di personalità, in un’ottica di sviluppo e nell’arco di vita; la main relation del prof. Steven C. Hayes, ideatore e co-sviluppatore dell’Acceptance and Commitment Therapy; sei simposi paralleli in cui sono stati presentati lavori clinici e di ricerca relativi all’applicazione della terapia cognitivo comportamentale (CBT) in età evolutiva.

Infine, immagina la tanta voglia di stare insieme e di confrontarsi dopo un lungo periodo di pandemia e la location suggestiva di una città sul mare come quella di Ancona: il risultato è senza dubbio un’esperienza positiva. Così è stato il Congresso Intermedio SITCC 2022 intitolato “La terapia Cognitivo Comportamentale in età evolutiva: nuove prospettive e linee di intervento”.

Grazie al lavoro svolto dal comitato scientifico, rappresentato dalle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva APC-SPC e la Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva SBPC, per tutti i soci è stato possibile partecipare al primo congresso SITCC dedicato interamente all’età evolutiva. L’imbarazzo della scelta sui panel da seguire è stato costante, ma al tempo stesso l’indecisione è stata piacevolmente modulata dalla soddisfazione nel vedere così tanti terapeuti distribuiti nelle aule e dalla possibilità di confrontarsi con colleghi che avevano seguito simposi diversi dai propri. Sono stati, infatti, davvero tantissimi gli spunti di riflessione da cogliere durante le tre giornate di lavoro, nella comune convinzione che, grazie a una vincente integrazione tra scienza, pratica clinica e creatività, sia possibile intervenire nel percorso di vita dei nostri giovani pazienti prima che diventino degli adulti sofferenti. A partire dalla giornata di workshop, si è potuto sperimentare, ad esempio, quanto con la Theraplay si possa avere accesso al mondo interno di bambini e adolescenti con attività che apparentemente sembrano “solo” ludiche. Ciò avvalora ulteriormente quanto una puntuale rappresentazione del funzionamento del paziente nella mente del suo terapeuta, unita a un razionale strategico che ne tenga conto, siano elementi fondamentali in grado di trasformare una “semplice” pratica di confronto giocoso in una preziosa occasione di consapevolezza, elaborazione della sofferenza e cambiamento. Allo stesso modo, proseguendo con i simposi e le tavole rotonde, è stato possibile constatare, a conferma di quanto già riscontrabile nella pratica clinica quotidiana, come quei bambini e ragazzi che fin dai primi anni di vita si trovano costretti a confrontarsi con una vulnerabilità neuropsicologica crescano costruendo una immagine di sé stessi e del mondo attorno strettamente vincolata a esperienze di svantaggio in molti domini di vita. Il risultato è una marcata ricaduta negativa sull’immagine di sé e sulle relazioni interpersonali, spesso origine di sofferenza psichica che, se trascurata o considerata solo marginalmente, li porterà con grande probabilità ad essere degli adulti ancor più problematici. Riassumere tutto in poche righe è davvero un’impresa impossibile, non resta che aspettare il prossimo congresso organizzato dai colleghi dell’area di Interesse sulla Psicoterapia dell’Età Evolutiva e parteciparvi, così da essere ancora più numerosi e alimentare uno scambio scientifico sempre più stimolante.

Foto di Artem Podrez:
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Tutti i colori del Congresso SITCC

di Rosaria Monfregola

Report dell’’evento ad Ancona sull’età evolutiva

Quest’anno è stata Ancona, la città dei due soli, a ospitare il congresso intermedio SITCC, che si è svolto a dicembre; nell’intero weekend non è stato possibile vedere i due soli (l’alba e il tramonto sul mare) a causa di forti piogge, ma l’ultimo giorno l’immagine di un arcobaleno sul mare ancora riaffiora nella mia mente, a suggellare l’esperienza di questo congresso.

In apertura gli organizzatori forniscono qualche dato dalle sfumature grigiastre: “Si consideri che la metà degli adulti con una patologia psichiatrica hanno un esordio prima dei 14 anni” (Rapporto dell’OMS del 2021) e “in Italia circa 400.000 minori sono in carico ai servizi sociali, di cui 77.000 per maltrattamento” (Rapporto CISMAI del 2021). Queste solo alcune ragioni a favore di un congresso incentrato sulla psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, sottolineando l’importanza dell’intervento terapeutico in età precoce. E con l’avvio dei lavori inizia a colorarsi il panorama congressuale.

Uno dei colori è rappresentato dal confronto tra professionisti su tematiche specifiche. Ad esempio, nella prima tavola rotonda, con focus sui disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e sulle comorbilità psichiatriche, si è parlato dell’importanza della diagnosi esplicativa nelle comorbilità dei DSA, delle co-occorrenze con i disturbi esternalizzanti che rappresenta un importante fattore di rischio in età evolutiva. Nella seconda tavola rotonda, incentrata su disturbi di personalità, prodromi e modelli di intervento, i colleghi hanno condiviso l’importanza di rintracciare i precursori di rischio e i fattori protettivi per uno sviluppo armonico della personalità in età evolutiva, ma soprattutto la necessità di effettuare una diagnosi precoce. Di grande rilevanza, ad esempio, il contributo sui comportamenti suicidari e l’autolesività non suicidaria in adolescenza.

Un altro colore di questo congresso è dato dall’esplicazione di numerosi modelli di intervento presentati nei workshop, nella presentazione di casi clinici, oppure proposti in forma descrittiva nei vari simposi: per citarne alcuni, si pensi alla Trauma Focused Therapy (TF-CBT) che ha dominato il simposio sul trauma, al Modello a Tre assi (TAM) esposto nel simposio sull’Adolescenza, o al Cool Kids Program, il modello scopistico presentato in più di un lavoro o un protocollo di promozione del benessere volto al miglioramento della qualità di vita nei ragazzi con DSA.

L’esperienzialità è stata una tinta accesa dei tre workshop in parallelo che hanno introdotto nell’applicazione di modelli specifici di intervento. Nel workshop “La Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi da tic e della Sindrome di Tourette”, la dott.ssa Monica Mercuriu ha presentato il modello di terapia cognitivo comportamentale integrata (CBTI), arricchito da video e vignette cliniche. Il fare esperienza di un’esemplificazione di trattamento in diretta, mediante collegamento online con un giovane paziente con sindrome di Tourette, è stato un momento prezioso per toccare con mano l’applicazione dell’Habit Reversal Training (H.R.) e dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP), tecniche evidence based per la sintomatologia ticcosa.

Non sono mancati i lavori di ricerca che hanno consentito di portare dati di efficacia nei diversi ambiti di applicazione della terapia cognitivo comportamentale in età evolutiva.

Un nuovo colore è stato dato dalle nuove prospettive, tra le quali quella proposta dall’ospite internazionale, il prof. Steven C. Hayes: l’Extenden Evolutionary Meta-Model (EEMM), un approccio evolutivo basato sui processi, che attenziona la natura multidimensionale e multilivello del funzionamento umano. Oltre alle sei dimensioni psicologiche, l’autore cita i livelli biofisiologici e socioculturali osservabili nei processi di cambiamento.

Infine, un tocco di luminosità è stato dato dalla condivisione con i colleghi: nei coffee break e nel corso dell’immancabile e briosa cena sociale, il confronto è stato quel quid in più che ha permesso la condivisione di idee e l’arricchimento della rete di relazioni.

È con un arrivederci a Bari 2023 (save the date: 21-24 settembre) che si è concluso questo congresso SITCC!

 

Foto di Alexander Grey:
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Think Good, Feel Good

di Claudia Perdighe

I colleghi che hanno rispettivamente tradotto e curato la versione italiana di “Think Good, Feel Good” Allenati a pensare diversamente per sentirti meglio, Elena Cirimbilla e Giuseppe Romano, mi hanno chiesto di leggere questo libro per una eventuale recensione. Lo ho preso in mano ed è stato un amore a prima vista. Proverò quindi a spiegare per quali buone ragioni merita di essere letto da qualunque terapeuta, anche se come me non si occupa di psicoterapia in età evolutiva.

La prima cosa che mi ha colpito è il fatto che nel primo capitolo c’è una presentazione della psicoterapia cognitiva essenziale, semplice nel linguaggio e chiarissima nei concetti che spiega in modo essenziale cosa è la psicoterapia cognitiva e su quali principi scientifici si basa. Il rasoio di Occam usato bene. In particolare mi ha impressionato l’abilità dell’autore di spiegare in poche parole sia le specificità delle cosiddette tre onde della CBT (il comportamentismo, il cognitivismo e le terapie terza onda) e sia il quanto siano integrabili senza forzature, non solo su un piano tecnico (nell’uso di tecniche efficaci, anche se sviluppate in “un’altra onda”), ma anche su un piano concettuale; ad esempio, l’autore evidenzia la non contraddizione nell’usare le procedure di terza onda che “non hanno lo scopo esplicito di modificare le cognizioni”, e basarsi su una teoria che prevede che il cambiamento dei sintomi segua il cambiamento della cognizione (il fatto che, per esempio, la mindfulness non agisca in modo esplicito sulla cognizione, non implica che non la modifichi e che il cambiamento avvenga a quel livello!).

Un secondo ottimo motivo per leggere questo libro è che, da non esperta del tema, ho avuto l’impressione che contenga una “cassetta degli attrezzi”, nei termini dell’autore, completa. Non ci sono protocolli per singoli disturbi, ma ci sono tutti gli strumenti di cambiamento utili nel curare i disturbi emotivi, nel costruire competenze e, in ultimo, migliorare complessivamente il funzionamento e il benessere del bambino. Le procedure tipiche della CBT sono presentate in capitoli,  in forma già adattata all’età evolutiva e spesso tradotte in schede di lavoro direttamente applicabili; per esempio, il debating prevede delle schede con le domande tipiche della discussione che si possono o compilare insieme o dare come strumento da usare da solo al paziente.

In ultimo, una cosa che mi ha colpito molto è l’idea del paziente e dei disturbi mentale che traspare, che definirei di grande fiducia nel paziente e nelle sue risorse: i sintomi e le difficoltà del paziente (e dei genitori) sembrano concettualizzate nella mente del terapeuta sempre come modalità disfunzionali si, ma anche sempre orientate a soddisfare bisogni, perseguire scopi e desideri del tutto legittimi e condivisibili.

Stallard P. (2021), Think Good, Feel Good. Allenati a pensare diversamente per sentirti meglio. (Edizione italiana tradotta da E. Cirimbilla e curata da G. Romano), Roma, Giovanni Fioriti Editore

The Space Program

di Sonia Ghislanzoni

I disturbi d’ansia, tra i disturbi psichiatrici, sono quelli più diffusi nell’infanzia, sono un onere per la famiglia, comportano costi per la società e un impatto negativo sullo sviluppo del bambino. La CBT è spesso efficace per l’ansia infantile, ma molti bambini continuano anche dopo il trattamento a presentare sintomi significativi. La CBT aiuta a sviluppare abilità per identificare i pensieri disadattivi, autoregolare l’ansia e richiede collaborazione tra bambino e terapeuta, spesso non raggiungibile. Molti pazienti rifiutano di partecipare alla terapia per evitare di confrontarsi con le proprie paure o perché preferiscono non ammettere di avere un problema e altri potrebbero evitare l’ansia attraverso l’accomodamento familiare. Tendenze oppositive potrebbero precludere una alleanza produttiva tra clinico e bambino e se non è possibile che il bambino partecipi al trattamento o se non è responsivo alla terapia, il training parentale può offrire un’alternativa. La formazione dei genitori è risultata efficace nel trattamento di altri disturbi e nei disturbi esternalizzanti, in cui la motivazione del bambino al trattamento è spesso bassa, il parent training è un risultato efficace. Il ruolo dei fattori famigliari nell’ansia infantile e il successo del lavoro dei genitori in altri disturbi hanno evidenziato che il coinvolgimento dei genitori nel trattamento d’ansia infantile potrebbe migliorarne i risultati. Varie teorie, come la teoria dell’attaccamento, descrivono il legame tra genitori e figli e il modo in cui l’ansia attiva quei legami, stimolando i bambini a ricercare sicurezza e protezione. L’ansia è adattiva in caso di una minaccia reale, ma è disadattiva se ripetutamente attivata da stimoli innocui. Le risposte dei genitori all’ansia del bambino potrebbero diventare un “innesco” ripetuto del sistema di attaccamento che porta i genitori a essere protettivi e questo può incoraggiare la continua dipendenza dei bambini dai genitori per regolare o evitare il loro stato affettivo interiore. The Space Program, progettato per 10/12 sessioni settimanali, è un intervento rivolto ai genitori, li aiuta a indirizzare aspetti della relazione genitori/figli plasmati dall’ansia ricorrente e si basa sulla modifica del comportamento con un atteggiamento meno protettivo, sostituendolo con uno di supporto che favorisca le capacità di coping e di autoregolazione. Fornisce strumenti pratici per superare le difficoltà tra cui insegnare l’autodisciplina, affrontare i comportamenti distruttivi e migliorare la collaborazione tra i genitori. Uno studio di 10 sessioni settimanali a cui parteciparono genitori di 10 bambini di età fra 9 e 13 anni che avevano rifiutato il trattamento individuale, ha riportato un miglioramento significativo nell’ansia del bambino, nel coinvolgimento famigliare e sulla motivazione del bambino al trattamento individuale. The Space Program è risultato efficace nell’ansia infantile, tuttavia necessitano ulteriori e più controllati studi per indagare l’efficacia di questo programma, dato che le variabili genitoriali e famigliari, come l’ansia dei genitori e altre psicopatologie, potrebbero potenzialmente influire sulla capacità di beneficiare del programma.

Riferimenti bibliografici

Eli R. Lebowitz, Haim Omer, Holly Hermes, Lawrence Scahill, Parent Training for Childhood Anxiety Disorders: The SPACE Program, Cognitive and Behavioral Practice, Volume 21, Issue 4, 2014, 456-469
https://doi.org/10.1016/j.cbpra.2013.10.004.

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Disturbo d’ansia sociale nei bambini

di Elena Cirimbilla

Strutturare l’intervento sul bisogno del singolo: uno studio sul DAS in età evolutiva

Il disturbo d’ansia sociale (DAS) o fobia sociale è caratterizzato da una marcata paura o ansia rispetto a una o più situazioni sociali in cui l’individuo è esposto al possibile esame degli altri e nelle quali teme di mostrare sintomi che verranno valutati negativamente. Nei bambini, l’ansia si manifesta sia nell’interazione con l’adulto sia con i pari e può essere caratterizzata da pianti, scoppi di collera, ritiro, immobilizzazione o impossibilità a parlare in situazioni sociali.

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT), in genere applicata in protocolli che si focalizzano su riduzione dell’ansia, esposizioni e sviluppo di nuove abilità, risulta essere il trattamento più efficace nei disturbi d’ansia in età evolutiva. Nonostante ciò, è stato dimostrato che la fobia sociale, uno dei disturbi d’ansia più comuni tra i bambini e gli adolescenti, sembra rispondere meno degli altri a questo tipo di CBT.

A partire da queste considerazioni, si è sviluppato il recente studio di Liesbeth G. E. Telman e colleghi che hanno applicato al DAS un protocollo suddiviso secondo due linee di trattamento: una procedura di intervento CBT divisa in moduli, tesa all’adattamento secondo le necessità e i bisogni del singolo individuo, e una parte a integrazione, con interventi di mindfulness.

Lo studio è stato realizzato su dieci giovani di età compresa tra gli 8 e i 17 anni con Disturbo d’Ansia Sociale. Oltre alle misure adottate per la diagnosi e per la rilevazione dei sintomi d’ansia, gli autori hanno previsto anche la valutazione della flessibilità dei terapeuti, caratteristica indispensabile per costruire un intervento personalizzato e adattato al singolo paziente. Elemento interessante della ricerca, infatti, è l’opportunità dei terapeuti di poter scegliere tra dieci diversi moduli, strutturando l’intervento sulla base delle componenti individuali da trattare. È stato possibile decidere il numero di sedute, le caratteristiche dei compiti assegnati e i moduli sui quali concentrarsi, includendo e favorendo gli elementi che avrebbero potuto incrementare l’efficacia del trattamento, come ad esempio la ristrutturazione cognitiva, il trattamento espositivo, le abilità di coping e/o gli esercizi di mindfulness.

Lo studio ha condotto a risultati interessanti. Innanzitutto, dopo una media di undici sedute, il 50% del campione non risultava più rispondere ai criteri per il DAS al re-test e l’80% al follow-up. Gli autori sottolineano come la brevità dell’intervento, inferiore rispetto alla media di molti studi, possa essere imputabile alla possibilità di concentrarsi solo sugli elementi (e quindi moduli) ritenuti necessari per ogni singolo caso. In secondo luogo, i giovani sembrano aver beneficiato dell’accostamento della mindfulness agli elementi base della CBT, proposto nel 50% dei casi. Secondo gli autori, si tratta del primo studio in cui è stato aggiunto un intervento mindfulness a una CBT divisa in moduli in età evolutiva.

I risultati presentati favoriscono importanti riflessioni cliniche: la possibilità di muoversi all’interno dei protocolli della CBT tradizionale e scegliere in modo flessibile le aree sulle quali concentrarsi nel trattamento, integrando, quando utili, interventi di terza generazione, ha permesso di adattare e personalizzare l’intervento. Un protocollo modulare e flessibile permette così al terapeuta di strutturare un trattamento che “osservi” realmente le necessità personali e che consenta di trattare il bisogno individuale anziché il disturbo nella sua accezione di etichetta diagnostica.

Per approfondimenti

American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM-5. Arlington, VA. (Tr. it.: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014).

Liesbeth G. E. Telman, Francisca J. A. Van Steensel, Ariënne J. C. Verveen, Susan M. Bögels & Marija Maric (2020): Modular CBT for Youth Social Anxiety Disorder: A Case Series Examining Initial Effectiveness, Evidence-Based Practice in Child and Adolescent Mental Health, DOI: 10.1080/23794925.2020.1727791

Senso di colpa in età evolutiva

dalla Redazione

Un importante lavoro di ricerca, utile per coloro che si occupano di psicopatologia in età evolutiva, è stato di recente pubblicato nella sezione dedicata a infanzia e adolescenza della rivista  Journal Frontiers in Psychiatry,.

A Systematic Review of Instruments To Assess Guilt In Children and Adolescents: questo il titolo dello studio realizzato da Vittoria Zaccari, Marianna Aceto e Francesco Mancini dell’Associazione Scuola di Psicoterapia Cognitiva (APC – SPC) di Roma, con l’intento di far luce sulla valutazione psicodiagnostica della colpa nei bambini e negli adolescenti.

Fino ad ora, la relazione tra l’emozione di colpa e la psicopatologia è stata poco approfondita in relazione all’età evolutiva. Tuttavia alcuni studi hanno dimostrato che il senso di colpa gioca un ruolo fondamentale nei comportamenti adattivi e disadattivi, evidenziando correlazioni significative con diverse manifestazioni sintomatologiche.

Lo studio dell’Associazione Scuola di Psicoterapia Cognitiva raccoglie e passa in rassegna tutti gli studi che hanno utilizzato specifici strumenti di valutazione che misurano il senso di colpa in bambini e adolescenti, analizzando i contributi esistenti in letteratura che illustrano la validità empirica degli strumenti disponibili utilizzati e che rivelano la natura del loro background teorico.

Per approfondimenti:

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyt.2020.573488/full?&utm_source=Email_to_authors_&utm_medium=Email&utm_content=T1_11.5e1_author&utm_campaign=Email_publication&field=&journalName=Frontiers_in_Psychiatry&id=573488

A me gli occhi, please

di Monica Mercuriu

Il contatto di sguardo è essenziale perché il bambino e l’adulto comunichino e decodifichino le emozioni

Molti teorici interessati alle prime forme di comunicazione, allo sviluppo del linguaggio e alla psicopatologia dello sviluppo hanno sottolineato che i primi vis à vis costituiscono la culla di tutte le successive abilità sociali che un bambino può sviluppare nel corso della sua vita.

Il contatto di sguardo, l’osservazione del volto e delle espressioni del caregiver regolano l’impegno reciproco nell’interazione, l’attenzione coordinata e congiunta dei processi intenzionali di comunicazione che portano all’uso della lingua.

Lo psicologo neozelandese Clowyn Trevarthen, con il costrutto di “intersoggettività primaria”, definisce un’innata capacità di condivisione del bambino, che nasce con i mezzi per ottenere una comprensione intima di un partner attento. Secondo questo approccio, il bambino nasce con un interesse per le emozioni e le motivazioni del suo caregiver e s’impegna, fin dall’inizio, in un immediato contatto emotivo con gli altri, acquisisce abilità comunicative e conoscenze su persone e oggetti.

Numerosi studi che hanno utilizzato lo “Still Face Experiment” in cui, durante un’interazione tra madre e bambino, la madre assume l’espressione del “volto immobile”, hanno messo in evidenza come  il bambino tenti di sollecitare, quasi immediatamente, l’attenzione della madre, mostrando una serie di tipici gesti di segnalazione, come sorridere, vocalizzare, gesti di risposta o altri segnali gestuali. Finché persiste l’episodio di Still-Faced e i  tentativi dei bambini falliscono per sollecitare la risposta materna, i bambini si impegneranno anche nel modificare la propria autoregolazione, distoglieranno lo sguardo per evitare lo stimolo stressante, si fermeranno, protesteranno o si mostreranno tristi e arrabbiati.

La pronta riparazione dell’interazione, da parte della madre, ristabilisce l’equilibrio e fornisce supporto e nuovo stimolo alla comunicazione. Il contatto di sguardo è quindi essenziale perché il bambino e l’adulto comunichino e decodifichino le emozioni, costruendo significati nella relazione via via sempre più complessi ed articolati.

Alcune condizioni di rischio presenti nei caregiver e nel bambino possono influenzare lo sviluppo di questa capacità e portare a una deviazione rispetto al normale processo di sviluppo delle capacità comunicative nel bambino. La presenza di condizioni psichiatriche nei genitori portano inevitabilmente alla costruzione di modelli interattivi disadattivi. Ad esempio, la mancanza di risposta riparativa da parte del caregiver (come negli esperimenti still face), può avere effetti a lungo termine sullo sviluppo del bambino, a causa della sua reiterazione cronica che porta inevitabilmente a una loro auto-amplificazione.

La ricerca sulla depressione post partum ha provato che i bambini di madri depresse mostrano alte probabilità di mostrare maggiori comportamenti autoconsolatori nonché utilizzare comportamenti meno interattivi. Deviazioni dai tipici schemi interattivi sono state osservate anche nella diade con madri associate ad alto rischio, esposte a farmaci, alti livelli di stress genitoriale e fattori di rischio parentale. I modelli di scambi affettivi negativi sono stati osservati anche in diade con madri che facevano uso di droghe e questi rappresentano i livelli più alti d’impegno negativo del careviger nell’interazione con il proprio bambino.

In psicopatologia dello sviluppo, alcuni bambini presentano una difficoltà specifica nel riuscire a decodificare lo stato mentale dell’altro, e/o lo stato emotivo. Il costrutto dell’empatia, da sempre d’interesse per i clinici, può essere descritto come un insieme di  diversi sistemi neurocognitivi tra loro connessi che si sviluppa nel bambino grazie all’interazione con l’ambiente e al supporto dei genitori. Le figure genitoriali lo aiutano a creare uno “stato sanzionatorio interno”, teso a sviluppare l’emozione della colpa e dell’empatia, che lo guiderà nel comportarsi in modo adeguato seguendo le regole della famiglia e degli altri ambienti di vita del bambino. In maniera sintetica, sia può distinguere l’empatia cognitiva, legata alla comprensione esplicita dello stato mentale altrui, dall’empatia emotiva, legata alla condivisione dello stato emotivo dell’altro attraverso la decodifica dei segnali facciali o corporei dell’interlocutore, dall’empatia motoria, che implica l’assunzione di risposte motorie dell’altro.

All’interno dei Disturbi dello spettro dell’autismo e dei disturbi del comportamento in età evolutiva, è possibile rintracciare una precisa difficoltà a entrare in relazione attraverso il canale visivo, in modo particolare sostenere lo sguardo dell’altro non è sempre possibile. Molti interventi terapeutici hanno come obiettivo proprio quello di allenare i bambini a prestare attenzione allo sguardo, promuovendo un aumento della loro sensibilità alle risposte emotive e cognitive dell’altro.

In tempo di pandemia da Covid-19 ci viene chiesto di limitare le nostre interazioni fisiche e sociali, il volto è coperto dalla mascherina ma gli occhi sono rimasti liberi dalla minaccia del virus, possiamo impegnarci ancora di più a comunicare attraverso lo sguardo, aiutando i bambini ad allenare questa importante abilità.

Per approfondimenti

I disturbi del comportamento in età evolutiva, Muratori  P. Lambruschi F., 2020