“Non devi avere paura”: imperativi da evitare

di Monica Mercuriu

La paura ha uno scopo protettivo, permette a un bambino di non mettersi in pericolo, di poter pensare prima di agire, lo tutela dal non farsi male

Molto spesso gli adulti, i genitori, e le altre figure di riferimento per i bambini, di fronte ad un evento, che potenzialmente potrebbe intimorire un bambino, sia esso rappresentato da una novità, da una persona, evento o luogo sconosciuti, denotati da caratteristiche minacciose (luoghi bui, essere lasciati da soli con bambini che non si conoscono, partecipare ad una gara sportiva), rivolgendosi al bambino, utilizzano la frase: “Non devi avere paura”.
Sarà mai possibile non avere paura quando tutto il mio corpo, i sensi e i miei pensieri mi fanno percepire un pericolo? E soprattutto: perché un bambino non dovrebbe avere paura in quelle circostanze? Leggi tutto ““Non devi avere paura”: imperativi da evitare”

Quando la Schizofrenia si manifesta in età evolutiva

di Maria Pontillo e Stefano Vicari

 A partire da una vulnerabilità genetica, fattori come la malnutrizione materna prenatale, un basso quoziente intellettivo, traumi o abuso di cannabis, possono determinare l’esordio del disturbo

 La Schizofrenia è un complesso disturbo del funzionamento cerebrale che si caratterizza per un’ampia variabilità dei sintomi e del corso della malattia. Tra i disturbi psichiatrici, rappresenta la categoria diagnostica con il più alto grado di invalidità sul piano sintomatologico e prognostico.

L’esordio in età evolutiva si caratterizza per elevata frequenza di allucinazioni uditive, estrema gravità della sintomatologia negativa associata, significativa compromissione neuropsicologica e prognosi negativa nel lungo termine. In sostanza, rispetto alla Schizofrenia in età adulta, le condizioni ad esordio al di sotto dei diciotto anni di età rappresentano forme più severe e disabilitanti del disturbo.

Una maggiore comprensione può essere favorita considerando la Schizofrenia come un vero e proprio disturbo del neurosviluppo, derivante dall’interazione tra fattori neurobiologici e fattori di rischio ambientali. Leggi tutto “Quando la Schizofrenia si manifesta in età evolutiva”

Trauma interpersonale in età evolutiva: l’importanza di una diagnosi adeguata e specifica

di Emanuela Pidri

In tutto il mondo, secondo i dati riportati dalle Nazioni Unite (2006), circa un terzo dei bambini è stato esposto a maltrattamenti e/o violenze, dato rilevante da un punto di vista clinico poiché l’essere soggetti ad un trauma interpersonale può cronicamente e pervasivamente alterare lo sviluppo ed il benessere psicofisico dell’individuo (Burns et al., 1998; Cook et al., 2005; Spinazzola et al., 2005). Il trauma interpersonale è l’esposizione in età evolutiva a diverse forme di vittimizzazione ove, secondo Finkelhor (2008), la vittimizzazione  può essere definita come danno che viene arrecato agli individui da parte di altri che ne violino i diritti e le norme sociali (abusi fisici e sessuali, aggressioni psicofisiche, bullismo, abbandono, nucleo familiare problematico …).  I bambini esposti a trauma interpersonale, spesso, soddisfano i criteri per diagnosi di disturbi psichiatrici (ADHD, Depressione, Disturbi di Ansia, Disturbi della Condotta) in comorbidità o meno con il PTSD (Copeland et al., 2007).
D’Andrea et al. (2012), nello studio qui elaborato, si è posto l’obiettivo di esaminare, mediante una meta-analisi, la fenomenologia del trauma interpersonale in età evolutiva col fine di suggerire delle indicazioni per effettuare una diagnosi precisa ed adeguata preddittrice di un trattamento terapeutico ad esito positivo. Come riporta D’Andrea et al. (2012), numerosi studi sottolineano che: Leggi tutto “Trauma interpersonale in età evolutiva: l’importanza di una diagnosi adeguata e specifica”

Riconoscere e accettare le emozioni dei propri figli e accompagnarli nella crescita

di Antonella Rainone

Non molto tempo fa un mio amico infermiere di pronto soccorso mi raccontava che molti neogenitori, a tarda sera del giorno delle dimissioni dal reparto maternità, arrivano al pronto soccorso con il loro cucciolo urlante tra le braccia chiedendo disperati aiuto: “Non riusciamo a farlo smettere”. Non tornano chiedendo aiuto su come cambiargli il pannolino o allattarlo, per quello bastano le istruzioni che hanno ricevuto in pochi giorni da una brava ostetrica. Sono disperati e spaventati perché non sanno come gestire l’espressione più autentica e spontanea (e scontata) dell’emozioni del bambino: il pianto. Il-linguaggio-del-cuore_590-0762-3Quando ho letto il libro uscito da poco di Claudia Perdighe, “Il linguaggio del cuore” (edito dalla Erickson), mi è venuta l’idea di chiamare il mio amico infermiere: finalmente una guida per gestire le emozioni del cucciolo umano! Perché ciò che rende così difficile il mestiere di genitore è in gran parte dovuto alla natura emotiva del bambino e del genitore stesso. Il fatto che i genitori in quanto esseri umani siano emotivi a loro volta e quindi possiedano le emozioni, le esperiscano continuamente non rende per niente scontato che le sappiano riconoscere, accettare e gestire funzionalmente nel loro cucciolo. Anche perché i neogenitori sono alle prese con una serie di proprie emozioni forti, a volte impreviste e non desiderate (perché negative) che il diventare genitori scatena dentro. Leggi tutto “Riconoscere e accettare le emozioni dei propri figli e accompagnarli nella crescita”

L'autismo attraverso le parole e gli occhi di due padri

di Alessandra Micheloni

Domenica 3 novembre oltre 200 persone si sono recate a Villa Ada a Roma in occasione della I° Edizione dell’evento ‘Corriamo per l’autismo’ organizzata dall’associazione ‘Divento Grande Onlus’.

Alla gara, competitiva (percorso di 8 km) e non competitiva (4 km) erano presenti sportivi, amanti dello sport, famiglie, genitori e bambini che tutti insieme hanno creato un clima di vicinanza, condivisione e solidarietà per dare un segnale e sostenere la causa dell’autismo.

Subito dopo la ‘gara’ ho avuto la possibilità di conoscere Salvatore Bianca, vicepresidente dell’associazione e soprattutto padre di un figlio autistico, il quale ha parlato dell’evento come occasione di “Sfida” che coinvolgesse il mondo dei runner, in questa mattinata, per il piacere di stare insieme, per puntare sul volontariato e sul sostegno all’associazione affinché possa realizzare progetti che incrementino sia l’autonomia che la socializzazione, una delle più grandi difficoltà che i bambini si trovano ad affrontare.

Questo “esperimento”, così lo chiama Salvatore Bianca, ha permesso di “stare insieme, correre insieme e dare un contributo alla solidarietà” e di “scoprire con entusiasmo che si può fare, si può correre di nuovo nei prossimi anni divenendo un appuntamento fisso per lo sport e la solidarietà”.

Queste riflessioni provengono da un padre che apertamente e con semplicità ha espresso la propria felicità per aver potuto regalare al proprio figlio quattordicenne, momento di crescita in cui sta maturando maggior consapevolezza, una giornata di festa, di affetto, di sorrisi provenienti da tante persone presenti che gli vogliono bene e che non considerano lui né gli altri bambini ‘diversi’ ma ‘speciali’.

Salvatore Bianca con tante altre famiglie presenti hanno creato relazione con tutti i bambini, sono stati con e insieme a loro. Ho visto bambini ridere, divertirsi e correre incitati dalle persone vicine o viceversa che loro stessi trascinavano con allegria e senso di libertà.

L’autismo “non è una malattia ma una condizione” afferma Salvatore Bianca che quella domenica, grazie allo sport e a coloro che hanno partecipato, ha avuto modo di comunicarlo.

C’è chi, invece, per comunicare al mondo l’essenza della relazione con il proprio figlio autistico ha utilizzato l’arte, la fantasia, la personalità facendo degli scatti con la sua macchina fotografica. E’ il caso del fotografo e padre Timothy Archibald che ha fotografato suo figlio Elijah.

ECHOLILIA, UN PADRE E L`AUTISMO DEL FIGLIO

Le foto esprimono ciò che gli occhi di questo padre vedono, osservano e che ha dato loro modo di “sperimentare insieme”. Sono emozioni, momenti, attimi in cui padre e figlio “creano un contatto unico e speciale”. Credo sia qualcosa che vada al di là del significato della parola ‘autismo’, delle diagnosi da manuale o delle parole degli esperti.

Intensive Behavioral Intervention for school-aged children with autism: Una Breccia nel Muro (UBM)—A Comprehensive Behavioral Model

di Leonardo Fava, Stefano Vicari, Giovanni Valeri, Lidia D’Elia, Serena Arima, Kristin Strauss

 

Abstract

Although, reviews and outcome research supports empirical evidence for Early Intensive Behavior Intervention in pre-scholars, intensive behavioral service provision for school- aged children with autism spectrum disorders (ASD) are less subject to research studies. In order to provide effective behavioral interventions for school-aged children it was first necessary to comprehend key variables that are common to empirically validated programs and to tailor the to the needs of older children and their families in community settings. The proposed Comprehensive Behavioral Model ‘‘Una Breccia nel Muro’’ (UBM) includes individualized assessment and skill building, treatment provision in inclusive setting and cross-service collaboration, parent inclusion and support, and intensive training for parents, staff as well as school teachers.

Riferimenti bibliografici

Fava, L., Vicari, S., Valeri, G., D’Elia, L., Arima, S., Strauss, K. (2012), Intensive Behavioral Intervention for school-aged children with autism: Una Breccia nel Muro (UBM)—A Comprehensive Behavioral Model. Research in Autism Spectrum Disorders, Volume 6, Issue 4, October–December 2012, Pages 1273-1288 

Distrarsi paga

di Carlo Buonanno 

Le scimmie utilizzano la distrazione per controllare l’impulsività. Qualche anno fa, Theodor A. Evans e Michael J. Beran (2007) lo hanno dimostrato con un paradigma sperimentale già utilizzato negli anni settanta con i bambini (Mischel, et al., 1972; Miller et al., 1976; Toner et al., 1977). L’esperimento è stato condotto con 4 soggetti, impegnati in un compito di accumulo di caramelle. In una delle due condizioni sperimentali e diversamente dall’altra, le caramelle erano disponibili in ogni momento e venivano progressivamente accumulate in un contenitore adiacente all’animale. Tuttavia, l’accesso alle caramelle ne bloccava la somministrazione. Leggi tutto “Distrarsi paga”

Affrontare il tema della morte con i bambini: L’anatra, la Morte e il Tulipano

di Claudia Perdighe

Era da un po’ che l’anatra aveva una strana sensazione: “Chi sei, e perchè mi strisci alle spalle?” domandò.
“Finalmente te ne sei accorta” … “Io sono la Morte”. L’anatra fu presa dal terrore. E non si poteva darle torto. “Sei venuta a prendermi?”
“Ti sarò accanto… nel caso…”
“Nel caso?” domandò l’anatra.
“Si nel caso ti capiti qualcosa. Un brutto raffreddore, un incidente: non si può mai sapere”.
“E all’incidente ci pensi tu?”
“All’incidente ci pensa la vita, come anche al raffreddore, e a tutte le altre cose che possono capitare a voi anatre. Per esempio la volpe”.
L’anatra non ci voleva nemmeno pensare. Le venne la pelle d’oca. La Morte le sorrise in modo amichevole. In fondo era gentile, anzi molto gentile, se si esclude che era quello che era.

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Pubblicate le nuove linee guida per la diagnosi ed il trattamento dell’ADHD

di Carlo Buonanno

Sul numero di Ottobre di Pediatrics sono state pubblicate a cura dell’American Academy of Pediatrics le nuove linee guida per la diagnosi ed il trattamento dell’ADHD (clicca qui per scaricare l’articolo). La principale novità riguarda l’estensione dei criteri diagnostici a bambini più piccoli, con un gruppo che includerà soggetti in età compresa tra i 4 ed i 18 anni.

Oltre ai richiami alle terapie combinate (metlfenidato e terapia comportamentale), le nuove linee guida si caratterizzano per certificare la cronicità della sindrome, elemento che nel corso degli anni aveva già trovato riscontro clinico ed epidemiologico.

Tra le raccomandazioni da seguire, la valutazione di condizioni in comorbilità (DOP, DC, ansia e depressione); l’utilizzo di report e l’acquisizione di informazioni attraverso il contributo di insegnanti, genitori, clinici ed operatori della salute mentale che si occupano del bambino; il richiamo esplicito ad interventi comportamentali nei quali coinvolgere sia il bambino, sia i genitori, sia gli insegnanti.

E’ evidente che, in qualche modo, l’inclusione di bambini più piccoli avvalora la necessità di un intervento di prevenzione che miri ad interrompere precocemente la spirale descritta in letteratura che, in molti casi, conduce progressivamente allo sviluppo di DOP, DC e, in età successive, di personalità antisociale.

Per bambini in età prescolare (4-5 anni), l’intervento comportamentale da somministrare nel corso di programmi di parent training è rivolto esclusivamente ai genitori (Head Start and Children and Adults with Attention Deficit Hyperactivity Disorder CHADD www.chadd.org). Intervento che in questa fascia d’età risulta essere di prima scelta.

Il richiamo all’uso della fase di gestione delle contingenze di rinforzo si fà più esplicito in riferimento al gruppo di adolescenti (14 anni). Anche in questo caso, le procedure implicherebbero il coinvolgimento diretto dei genitori in programmi di parent training, chiamati ad intervenire per modificare le circostanze ambientali che favoriscono il mantenimento del disturbo. In particolare, si tratterà di istruire i genitori all’uso e alla manipolazioni di rinforzi (premiare le condotte adeguate, ignorare le condotte mediamente negative), con l’obiettivo di alimentare progressivamente le aspettative di successo nella realizzazione di diversi compiti.

Infine, resta da chiarire nel dettaglio la natura degli interventi comportamentali, tenendo conto come nemmeno nel caso degli adolescenti sia previsto un richiamo a procedure che favoriscano l’automonitoraggio, che alimentino la motivazione al trattamento o che considerino gli stati mentali attivi nella mente dei pazienti. Se non altro, la cronicità come esito più probabile suggerirebbe la necessità di considerare le conseguenze che sul piano relazionale l’adhd produce, conseguenze che meriterebbero di essere affrontate con programmi di social competence training che abbiano al centro la consapevolezza dei propri stati mentali. Dunque, non insegnare sic et sempliciter come ci si comporta, ma perché sarebbe utile farlo.